Castelvetere
di
Mario Pellicano Castagna
Panorama
di Caulonia Superiore
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Di
probabili origini tardo romane o piuttosto bizantine, l'antica
Castelvetere si affaccia all'età medievale con tutti i dubbi e
le incertezze che accomunano tanti centri del nostro Mezzogiorno,
intorno ai quali sarebbe persino vano chiedere l’apporto
della letteratura storiografica contemporanea o di altro tipo
di informazione e documentazione.
E le stesse fonti cinque - seicentesche, alle quali si è voluto
dare finora troppo e immeritato credito, non solo non ci aiutano
a colmare un vuoto plurisecolare, ma sembrano anche del tutto
smentite dalla più recente critica storica e dai ritrovamenti
archeologici di Capo Stilo.
E del resto esse non hanno mai offerto alcunché di positivo e
di concreto circa i primordi della nuova cittadina;
per cui, in sostanza, non ci resta che il solo nome, Castrum
Vetus, e non è molto, cui appigliarsi per testimoniarne una relativa
antichità.
Sennonché, altri centri in Campania (Castelvetere di Val Fortore
in provincia di Benevento e Castelvetere sul Calore in provincia
di Avellino) ed in Basilicata (Vietri di Potenza) sono noti nelle
carte coeve con lo stesso nome di Castelvetere, e ciò ha fuorviato
gli storici locali, tra cui il Prota, facendoli cadere in equivoco
laddove introducono nella serie dei feudatari di Castelvetere
un Malgerio di Altavilla, la cui presenza è dubbia (essendo manifestamente
sospetto il documento che lo riguarderebbe), o un cavalier Roberto
de Vetro o un Muscatello, che non hanno attinenza alcuna con la
nostra terra.
Ed anche il nome del Filangieri sembrerebbe inaccettabile, ed
altrettanto sospetto il documento che lo riguarda: tanto più che
l'anno ivi indicato, il 1262, viene coperto da un nome famoso,
Galvano Lancia, stretto congiunto di Re Manfredi e sicuramente
in quel tempo signore di Castelvetere in diocesi di Gerace, destinato a fare sei anni appresso ben triste fine in Roma,
impiccato col figlio Galeotto dopo la giornata di Tagliacozzo.
Siamo già in età angioma e le tenebre incominciano a diradarsi,
almeno per quel che attiene alle feudalità, che spesso è la componente
meno oscura di storia paesana; ed i nomi del provenzale Matteo
de Hyères (de Era o de Area 1269 -72), Scarano di Taranto (1272-78),
Ancel ed Hervé de Chevreuse padre e figlio (1278 - c. 1283) ,
sicuramente signori feudali di Castelvetere, riempiono i primi
anni del regno di Carlo I ; e subito dopo, durante la prima fase
della guerra del Vespro, Castelvetere balza,
forse per la prima volta agli onori della cronaca
su piano regionale,
poiché risulta, e per un periodo abbastanza lungo (1283
- 1302), più volte difesa, occupata o rioccupata dalle milizie
siciliane dell' ammiraglio Ruggero di Lauria.
Segue un altro periodo di incertezza fino al 1331 in cui troviamo
Castelvetere, e forse lo è già da tempo, inserita nel vasto dominio
dei Ruffo conti di Catanzaro poi marchesi di Cotrone,
la potente casa calabrese così legata alle vicende storiche della
regione, sotto cui rimane, salvo qualche breve parentesi, fino
alla loro definitiva scomparsa nel 1466.
L'epoca è punteggiata da alcune investiture fatte dai Ruffo, nella
loro qualità di signori di Castelvetere, di beni feudali in favore
di loro aderenti e cortigiani: suffeudo di Tarsia (1331) a Giovanni
de Bosco, che lo Zangari ritiene a torto feudatario di Castelvetere;
suffeudo di Landolfo o Sant'Alessandro (1429 o piuttosto 1439)
in pro del cotronese Vincio Lucifero, ascendente ed anticausa
delle famiglie Terza e Lucano.
Ma l'episodio più saliente, finora sconosciuto e per la verità
non del tutto chiaro, resta l'assedio postovi dal Cardona
nella primavera del 1445 contro il ribelle marchese di Cotrone
Antonio Centelles, marito dell'ultima Ruffo, che proprio a Castelvetere
oppone l'ultima resistenza alla vigilia di una resa ineluttabile
ma non ingloriosa.
Già da qualche mese (febbraio 1445), per attirarle più facilmente
alla sua causa, Re Alfonso ha sottoscritto con le
terre del Centelles grazie e capitoli, sciogliendole dal vassallaggio.
Anche in Castelvetere spira aria di Regio Demanio; ed è in tal
frangente che vi appare il nome del famigerato Galeotto Baldaxi,
il Baldassino delle cronache, che il Prota erroneamente qualifica,
esaltandone la figura, come il primo marchese di Castelvetere
di cui è invece soltanto il R. Governatore. Già valoroso commilitone
di Re Alfonso, non esita a schierarsi contro il suo erede durante
la guerra del 1459-62 in cui si dimostra, per dirla col Pontieri,
"un essere spietato che furoreggiò col suo terrorismo nel
contado e nei centri abitati", fino alla sua fuga in Sicilia
di dove è originario.
Dopo una nuova fugace apparizione del Centelles ( 1462-66), ancora
alcuni anni di R.Demanio, sotto il governatorato di Giacomo Carafa,
un patrizio napoletano dell’antichissimo e rigoglioso ceppo dei
Caracciolo Carafa, il cui mausoleo ne perpetua ancora oggi la
memoria.
Anche lui vecchio e prode soldato, fedelissimo
degli aragonesi come tutti quelli di sua gente, ha acquistato
fama e meriti nelle guerre di Alfonso e Ferrante I, durante le
quali ha avuto al suo fianco il giovinetto figlio Vincenzo; ed
è in premio di tanta fedeltà che il re gli concede in feudo per
sé e discendenti in perpetuo la terra di Castelvetere con i casali
ed intero stato (7 maggio 1479) e l'anno appresso la vicina Roccella,
che già in passato ha avuto con Castelvetere, e le avrà fino al
1806, vicende feudali comuni. Pare che Giacomo Carafa non lasci
di sé un buon ricordo; "persona autoritaria e dispotica"
lo definisce lo Zangari; e difficili appaiono i primordi del figlio ed erede Vincenzo (1489-1526), sotto cui il Regno è scosso
dalla calata di Carlo VIII e poi dall'intervento militare di Ferdinando
il Cattolico che segna la fine della dinastia aragonese. E non
è improbabile che Castelvetere, ove è ancor vivo e recente l'anelito
della goduta demanialità, approfitti dell'occasione per scuotere
il giogo baronale; ed occorre un ordine regio al castellano Jacopo
Conti perché la riduca all'obbedienza (4 dicembre 1496).
Ma contemporaneamente vengono sottoscritti Capitoli e Grazie
e sono chieste ed ottenute precise garanzie, tra cui
la restituzione dei beni burgensatici e delle scritture
dei beni feudali, già stati dei loro antecessori e che i Carafa
hanno tolto a due fra i più eminenti cittadini, i nobili Cola
ed Antonio de Girace (Hyeraci).
Confermato definitivamente dal
Re Cattolico (1505) e da Carlo V (1521), accresciuto col tempo
tramite acquisti e succesioni fino a diventare un complesso territoriale
di grande rilevanza nella Calabria feudale, il dominio dei Carafa
la cui successione è abbastanza nota perché la si ripeta in questa
sede si protrarrà ininterrotto fino alle leggi eversive del 1806;
e la loro presenza nella zona, in qualità di grandi proprietari
terrieri, avrà un seguito, veramente eccezionale, all' epoca presente.
L'età per così dire moderna, il cui inizio coincide grosso modo
con l'instaurazione del viceregno, consente una analisi introspettiva
meglio approfondita degli aspetti di vita municipale, civile ,
religiosa ed economica; e quindi dei rapporti o contrasti con
l'apparato feudale, dell' amministrazione interna, dei ceti sociali
ecc.
Quanto ai primi, a parte i capitoli del 1496, sappiamo che sono
regolati dalle Pandette di Vincenzo Carafa del 1514
e da quelle del 1535 di GiovanBattista (1526-1552), suo figlio
ed erede, e primo Marchese di Castelvetere (privilegio del 5 giugno
1530). Malgrado la sua figura di prode soldato e suddito fedele
di Carlo V ci si presenti oggi adombrata dal noto processo e dalla
sua tragica fine sul patibolo, non si può tuttavia negare che
le Pandette, delle quali purtroppo non si conoscono che pochi
elementi filtrati attraverso fonti diverse, rappresentino, come
lo scrivente ebbe già ad esprimersi in altro luogo, "un compromesso
abbastanza favorevole alla libertà cittadina", improntate,
come appaiono, ad una certa larghezza.
Esse sono poi, molto più tardi, sostituite o integrate da quelle
meglio conosciute di Carlo Maria Carafa Branciforte (nato in Castelvetere
26.2.1651, morto improle 1.7.1695), il principe letterato, fisico,
urbanista, che si mostra a volte paterno, a volte intransigente
e bacchettone, ma fondamentalmente retto e sinceramente attento
al benessere dei sudditi.
Prescindendo da ogni retorica, poiché anche le buone norme restano
vana retorica quando non vengono applicate con coscienza e scrupolo,
è da tenere nella giusta considerazione
la costante presenza in loco della casa baronale fino a tutto
il secolo XVII, come attestano i libri battesimali di Santa Maria
dei Minniti; e questa presenza, oltre a creare necessariamente
rapporti civili e bonari di familiarità, dimestichezza e quieto
vivere, nello stesso tempo esclude o quanto meno tempera l'asprezza
e la disinvoltura di governatori, auditori, razionali e percettori
che formano la curia marchesale ed amministrano la giustizia e
le finanze e che vengono indicati un po' ovunque , più del barone,
come la vera piaga dell'epoca.
Ciò non toglie che i Carafa vi abbiano una preminenza ben salda
ed assoluta, tanto più che essi vi hanno saputo creare, così come
hanno fatto a Roccella col Priorato gerosolomitano, una
specie di secondo potere parallelo che presiede alla vita religiosa
del paese, attraverso una fitta rete di juspatronati di chiese,
cappelle, altari e benefici, e soprattutto tramite l'Arcipretura,
fonte pure essa cospicua di redditi oltre che di autorità morale
e di prestigio, e costantemente in possesso di cadetti della casa.
E tra essi, che sono pure alti dignitari della Chiesa e governano
a mezzo di proarcipreti, sono da segnalare i nomi di Carlo seniore
(+1644) e di Carlo juniore (+1680) suo nipote, rispettivamente
Arcivescovo di Aversa
e Cardinale di S.R.C.
Per quanto riguarda l'università (ossia il comune), essa si amministra
come tutti gli altri centri del Regno su un sistema consuetudinario
molto antico, a volte regolato da precise norme, e nell'ambito
di un corpo municipale (Reggimento) liberamente eletto ogni anno
dai cittadini riuniti in pubblico parlamento; anche se possiamo
accettare per buona l'osservazione in proposito espressa
da B. Croce: "... tra il disinteresse dei più e i
brogli di pochi".
Sotto questo profilo, Castelvetere offre un particolare che è
in se stesso un aspetto caratteristico della sua storia, e meritevole
studio: e cioè la rigida separazione di ceti che si estrinseca
nel classico istituto del doppio sindacato, con un Sindaco ed
Eletti dai Nobili, ed un secondo Sindaco ed Eletti del Popolo,
in teoria su posizioni paritarie ma nella realtà, questi ultimi,
con funzioni più formali e subordinate.
Ed è questo corpo di Nobiltà Separata (cui fanno capo tanti figli
illustri di Castelvetere), ricca di censo, di privilegi e di investiture
suffeudali (dal che gli intestatari usano qualificarsi baroni),
ligia per necessità alla casa principesca, che dirige e monopolizza
di fatto la vita pubblica cittadina nei suoi molteplici aspetti
ed intrecci.
Si conoscono nomi dei suoi componenti attraverso gli atti parrocchiali
e notarili superstiti ed opere a stampa, tra cui quella di padre
Fiore (che in Castelvetere ha trascorso parecchi anni nel convento
dei cappuccini e che si dimostra un attento osservatore delle
cose locali), ed il famoso Apprezzo del Gallerani del 1707, in
parte riportato dal Prota.
E sappiamo pure che, col passare delle generazioni , molte di
queste famiglie scompaiono, estinte o espatriate ; sicché dall'Onciario
del 1755 risultano ancora residenti appena dieci, suddivise in
18 capifamiglia (e di cui oggi non sussistono che Asciutti, Hyerace,
Musco e Sergio).
Ciò rende sempre più aleatoria e difficile la consueta e richiesta
alternanza di nomi e soggetti manca il ricambio; e le cariche
municipali si trovano a dovere essere coperte, anno dopo anno,
sempre dalle stesse persone. D'altra parte il secolo
è in fermento, alla ricerca di aperture ed innovazioni anche se
variamente interpretate e desiderate.
Ed in tale atmosfera di rinnovamento, si pongono in Castelvetere
alla ribalta alcune famiglie del ceto popolare che per motivi
di censo o di titoli dottorali si ritengono idonee a rinsanguare
la vecchia classe patrizia e ne chiedono la formale aggregazione.
Non sappiamo a quali pretesti si appigli il principe Gennaro Carafa
Cantelmo Stuart per appoggiare e caldeggiare la loro candidatura,
o se voglia fare un dispettuccio ed imporre la sua autorità ai
vecchi Nobili o più semplicemente, come è probabile crearsi nuove
aderenze. E gli stessi nobili sono divisi: alcuni
pochi, come il barone Fonte, propensi ad inchinarsi e transigere;
altri, la maggior parte, con a capo i Musco, fermi e tenaci nel
diniego.
Ed il fatto inaudito provoca echi e commenti anche nei paesi viciniori,
come per esempio a Stilo il cui Sindaco dei Nobili, attraverso
un atto notarile che ci è pervenuto non si astiene dallo esprimere
stupore per l'opposizione di quei gentiluomini all'Altezza Serenissima
(sic) del loro principe.
La vicenda, che si trascina per anni suscitando rancori ed inimicizie
profonde e che lascia persino dietro di sé due vittime, si conclude
poi con un accomodamento: l'aggregazione viene concessa, ma la
carica di Sindaco dei Nobili resta di competenza esclusiva dei
patrizi originari
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Il
decennio francese che apre il nuovo secolo, mentre pone fine alla
feudalità, trova anche giusto affossare l'antichissimo istituto
del Sindacato elettivo che era stato, bene o male, libera espressione
di volontà popolare, per sostituirlo col decurionato, una ristretta
oligarchia di famiglie meticolosamente vagliate in base al censo,
ed inamovibili, da cui per decenni, fino all'unità, vengono scelti
ed imposti dall'alto sindaco e consiglieri. E qui finiscono pure
le vicende di Castelvetere ed incominciano quelle dell'attuale
Caulonia, un nome nuovo, incomprensibile e artificioso che col
suo recente passato (ed è quasi un millennio) non ha niente a
che vedere.
SERIE
DEI FEUDATARI DI CASTELVETERE E DEI TITOLARI DEL MARCHESATO
FINO AL PRESENTE*
GALVANO
LANCIA (c. 1262-1268)
MATTEO
DE HYERES (c. 1269-1271)
SCARANO DI TARANTO (1271-C.1278)
ANCEL
DE CHEVREUSE (e. 1278 -……)
HERVE' DE CHEVREUSE forse figlio (.... - 1283)
III
RUFFO DI CALABRIA conte di Catanzaro (c. 1331 + 1340)
ANTONELLO
RUFFO DI CALABRIA, figlio, idem (1340+1377)
NICOLO'
RUFFO DI CALABRIA, figlio, idem e march. Crot. (1377 +c.1434)
GIOVANNELLA
RUFFO DI CALABRIA, figlia, idem, (1434+1435)
ENRICHETTA RUFFO DI CALABRIA, sorella, idem, moglie di
ANTONIO
CENTELLES VENTIMIGLIA, idem (spos. 1441, spodestato 1445)
Regio
Governatore Galeotto Baldaxi (tra il 1445 e il 1462)
ANTONIO
CENTELLES VENTIMIGLIA predetto, ristab. 1462,spodest. 1466.
Regio
Governatore Giacomo Carafa ( c. 1466-1479)
DOMINIO DEI CARAFA (1479-1806)
GIACOMO
CARAFA predetto, I° Barone di Castel. 7.V. 1479+8.6.1489)
VINCENZO CARAFA figlio, idem e I° conte di Grotteria
(1489+5.9.1526)
GIOVANBATTISTA
CARAFA figl., idem I° Marc.
di Castel. dal 1530 + 1552)
GERONIMO
CARAFA, figlio, 2° Marchese (1552+28.8.1570)
FABRIZIO
CARAFA, FIGLIO, 3° Marc.
e I° Princ. di Rocc. dal 1594 1629)
GERONIMO
lI CARAFA, figlio, 4° Marchese ecc. (1629 +22.X. 1652)
FABRIZIO
lI CARAFA, figlio, 5° Marchese
ecc. (1652+24.2.1671)
CARLO
MARIA CARAFA BRANCIFORTE, figlio, 60 March. (1671+1.7.1695)
GIULIA
CARAFA BRANCIFORTE, sorella 60 March. ecc. (1695+4.XII.1703)
Dal
1703 al 1707 controversie col R. Fisco e con la Casa d'Avalos
per la successione degli Stati di Roccella
VINCENZO
CARAFA, 3° Duca di Bruzzano, congiunto prossimiore, riconosciuto
erede della casa di Roccella 3 giugno 1707.
7°
Marchese di Castelvetere ( 1707+26.4.1726)
GENNARO
M. CARAFA CANTELMO STUART, figlio, 9° March. (1726+31.X.1767)
VINCENZO
CARAFA CANTELMO STUART, figlio, 10° Marc., (1767, ultimo feudatario
colpito dalle leggi eversive, +20.3.1814)
SEMPLICI
TITOLARI DAL 1806 AD OGGI
GENNARO
CARAFA CANTELMO STUART, figlio del precedente, XI° Marchese
di Castelvetere ecc. (1814 +l0.XI.1851)
VINCENZO
CARAFA CANTELMO STUART, figlio XII ° March. (1851+19.7.1879)
GENNARO
CARAFA CANTELMO STUART, figlio XIII °
March., (1879+24.9.1903)
LUIGI
CARAFA CANTELMO STUART , fratello, già Conte di Grotteria, XIV°
March. ecc. (1903 + 7.5.1913)
VINCENZO
CARAFA CANTELMO STUART, figlio, XV°
March. (1913+16.X.1918)
GENNARO
CARAFA CANTELMO STUART, figlio, XVI0 March. (1918+
1982)
GREGORIO
CARAFA CANTELMO STUART, nipote ex-frate Luigi predefunto, n.
1945 domiciliato in Milano, è l'attuale XVII0 Marchese
di Castelvetere.
(*
Recenti studi hanno accentato che Scarano di Taranto non fu
feudatario di Castelvetere, ma detentore di beni in Castelvetere
(R. Fuda) e che all'elenco dei feudatari vanno aggiunti Giovanni
de Bosco e Leone de Regio (V. Naymo).
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