Itinerari
- Itinerario n°1 (Parte Seconda)
di Gustavo Cannizzaro
Chiesa
di Santa Maria dei Minniti "Badia"
Chiesa di S. Maria dei Minniti:
Cimasa
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La
chiesa ha un'elegante facciata di stile tardo barocco di derivazione
napoletana, sul portale in granito si legge la data del 1768 che
verosimilmente indica l'anno di costruzione. La chiesa fino al
1783 faceva parte del monastero di Santa Maria di Valverde. L'interno
è ad unica navata con decorazione a stucchi del settecento, soprastante
l'ingresso è il coro, anch'esso decorato con stucchi e con le
aperture coperte da grate di ferro. Sulla parete di destra, sotto
l'arco mediano, una finestrella, oggi murata, serviva in origine
per la comunione delle monache; la porta, a fianco, metteva in
comunicazione, tramite una scala, la chiesa con il coro. Sul primo
altare della parete di sinistra la tela con "Sant'Anna, la Vergine,
San Carlo e altri Santi" è opera di pittore meridionale del secolo
XVIII influenzato dal Solimena. Interessante è l'altare maggiore,
in marmi mischi e scolpiti, opera di maestranze locali (serresi
? ), che si rifanno a modelli illustri napoletani. Sul paliotto
si legge la data del 1779. Lasciata la Badia ci si immette nella
via Vincenzo Niutta e piegando a destra si sale verso il Baglio;
al numero civico 40 trovasi il "vecchio" palazzo Hyerace costruito
alla fine del '700 e modellato sullo schema dei palazzi napoletani
del sec. XVIII, con ampio portale in granito locale , bugnato,
sormontato da stemma e balcone in ferro battuto. La via ha sbocco
nel piano del Baglio, antico centro commerciale del paese. Sull'antica
importanza di questa zona si riporta quanto dice il Prota: "la
considerevole piazza che gli si apre innanzi col nome di Baglio,
oggi molto ristretta per le frane, per il taglio eseguito della
strada nuova e per le nuove costruzioni, era una specie di gran
cortile esterno, destinato a piazza d'armi, mercati, fiere e maneggio
dei cavalli. Si é detto Baglio o Baglìo dalla voce
baglivo, che era un magistrato giudicante i delitti causati dalle
mandre e dagli armenti … Questo Baglio era il luogo dove si faceva
il mercato ogni settimana, e ,annualmente la gran fiera, che cominciava
dal giorno di San Nicola e durava per otto giorni". Oggi
il Baglio si presenta come un'area attrezzata a servizio della
città. I recenti nuovi lavori ne hanno ridisegnato lo spazio,
per anni condizionato dalla presenza di una zona recintata a servizio
di una scuola. lI prolungamento della Via Niutta, un'area di sosta
e gioco e un percorso pedonale per l'affaccio verso la vallata
del l'Allaro arredano in modo nuovo il Piano Baglio. Fanno parte
della zona Baglio i ruderi del Castello, ben poca cosa di quello
che doveva essere la testimonianza architettonica più antica di
Castelvetere. L'inespugnabile fortezza era di notevole dimensione,
come si riscontra nella stampa del su ricordato Pacichelli. A
quando risale la sua costruzione e per chi è stato costruito,
sono queste domande che difficilmente troveranno delle risposte;
con molta probabilità la fortezza ha dato il nome alla città e
sicuramente è stata la dimora dei vari feudatari, che nel corso
dei secoli hanno imposto la loro signoria sull'intera zona. L'attestazione
più antica della fortificazione, che ne documenta con certezza
l'esistenza, risale all'anno 1323 quando era signore del castello
il milite Leone de Regio, gran siniscalco del regno (documento
edito da V. Naymo in
Castello: Lato Sud
Castello: Lato Nord
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"Le pergamene angioine dell'archivio Carafa di Roccella"). Da
una descrizione (edita dallo stesso Naymo) risalente alla seconda
metà del XVI sec. si rileva che le dimensioni del maniero erano
di così vasta mole da includere quattro appartamenti che potevano
ospitare contemporaneamente altrettanti principi. Si sa che almeno
dal 1479 al 1673 il maniero è stato sede dei Carafa della Spina,
marchesi di Castelvetere; dalla fine del '600 fino al 1783, anno
del famoso terremoto, esso fu residenza di gente fidata dei Carafa,
che vi hanno governato
con il titolo di "vicemarchese". Dai documenti risulta che continue
modifiche sono state apportate allo stesso. Tali modifiche sono
avvenute sia per continui adattamenti rispondenti all'esigenza
di nuove tecniche militari, sia per risistemarlo dai danni subiti
dalle frequenti scosse sismiche, che come sappiamo hanno distrutto
più di una volta gli edifici di Castelvetere. Dopo il terremoto
del 1783, che distrusse in gran parte il castello, si ebbe un
periodo di totale abbandono. Nel 1842 tutti i "ruderi" furono
censiti da Ilariantonio Taranto, che oltre ad impiantarvi un filatoio
vi costruì un ponte in muratura, tuttora esistente, con cui fu
sostituito l'antico ponte levatoio. In seguito, il castello, passando
a vari proprietari, fu trasformato prima in giardino e poi vi
si edificarono nuove abitazioni. Negli anni '60, infine, una parte
del terreno venne espropriata dalla Prefettura di Reggio Calabria
su richiesta della Cassa per il Mezzogiorno, con un provvedimento
quanto meno infelice, finalizzato alla costruzione di un invasivo
serbatoio per il rifornimento idrico-urbano. Delle antiche strutture
si sono conservate fino ad oggi il portale d'accesso, due rampe
dello scalone e tratti delle cortine perimetrali con il maschio
di forma quadrata sul lato settentrionale e il torrione a mezzogiorno.
Ritornando sulla parte bassa del Baglio, attraverso il breve tratto
terminale di via Vincenzo Niutta, ha inizio, dal numero civico
8, via del Rosario, che rappresenta uno tra i più caratteristici
aspetti di Caulonia: "i vinedi". Sono questi vicoli che terminano
in piccoli slarghi e che, snodandosi tra case basse o a più piani,
collegati da archi, ripide scale in pietra, quasi tutte con ballatoio,
conducono alla chiesa del SS. Rosario, sede dell'omonima arciconfraternita.
Panorama
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La
Chiesa SS. Rosario
Chiesa del SS. Rosario
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La
chiesa in origine faceva parte del convento dei Padri Domenicani,
fondato nel 1540 sotto la protezione di Livia Spinelli, moglie
di Geronimo Carafa, danneggiato dal terremoto del 1783 e ricostruito
nel 1788. In seguito sotto l'occupazione francese il convento
fu soppresso e l'arciconfraternita, che in antico aveva la sua
sede nel convento, ne ereditò la chiesa. Essa ha un'unica navata
ed è stata ampiamente rimaneggiata nel corso dei lavori di abbellimento
terminati nel 1895. Questa data è leggibile sul pavimento sotto
il portale d'ingresso.
A quell'epoca risalgono il soffitto cassettonato con rosoni dorati
e gli stucchi dell'abside. Interessante il pulpito in legno di
noce eseguito da artigiani reggini tra la fine del sec. XIX e
l'inizio del secolo XX. Inoltre, si segnalano due tele raffiguranti
la "Annunciazione" e "il miracolo di San Domenico in Soriano",
dipinti dall'artista locale Vincenzo Raschellà nel 1898; paramenti
del XIX sec.; un'ostensorio dell'argentiere napoletano G. Mercurio;
alcuni pastori napoletani del '700 e '800 e una lapide in marmo
bianco su cui vi è scolpita una figura femminile di giacente con
abiti di foggia cinque-seicentesca. La pietra tombale, di bottega
meridionale dei secoli XVI - XVII, per tradizione viene definita
"la tomba della principessa", ma non si è mai saputo con precisione
di quale principessa. Il Prota avanza l'ipotesi che possa trattarsi
della lastra sepolcrale di Giulia Tagliavia d'Aragona, moglie
di Fabrizio Carafa, morta il 25 novembre 1621, ma un monogramma
posto sul retro della lapide fa pensare che fosse quella della
tomba di Livia Spinelli, il cui nòme, come sopra si è detto, era
molto legato al convento e alla chiesa dei domenicani. A tal proposito,
si ricorda che detto luogo fu sempre caro ai membri della casa
Carafa. Carlo Maria Carafa e Branciforte, Principe di Butera e
della Roccella, nel suo testamento (parte del quale riportato
da F. Racco nell'opera "Una codificazione feudale del seicento
calabrese") dispose che in caso di morte in terra di Calabria
la sua salma fosse seppellita nella chiesa della SS.ma Annunciata
dei P.P. Domenicani in Castelvetere, come allora veniva chiamata
la chiesa del Rosario. lI principe si spense il primo giugno 1695
in Sicilia nella città di Mazzarino e qui, sempre per sua volontà,
fu tumulato nella chiesa di Santa Maria di Gesù. Usciti dalla
chiesa, scendendo per l'omonima via, ci si immette in via Vincenzo
Niutta.
Via Vincenzo Niutta
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Questa
via, fatta costruire nella seconda metà del XIX sec. e lastricata
nei primi anni del XX sec., è stata ricavata dall'abbattimento
dei vicoli Santa Barbara, San Felice e Santa Maria. Un esempio
provinciale, questo, di quella politica di sventramenti che hanno
caratterizzato gli interventi urbanistici dell'Italia umbertina
(Napoli, Roma, Firenze). La via divide la zona alta del paese
in due parti e a mò di serpentina si snoda da via Roma al Baglio.
Risalendo la via si raggiunge la piazza Mese; sul lato sinistro,
prima di arrivare in piazza, si affaccia il palazzo Hyerace del
XIX secolo. |