Questa sezione raccoglie scritti, articoli, storie, usi e costumi
della tradizione cauloniese

           
     

  

 

     
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In Calabria molto noti sono i “fòcara” i grandi roghi che bruciano nelle feste ricordate di Santa Lucia, Natale, Capodanno ed Epifania a Savelli nella Sila Grande e in San Giovanni in Fiore, dove vengono denominati “Foceri”, mentre a Gioiosa Jonica, sempre per la festa di San Giovanni, si svolge una sorta di rito propiziatorio: una coppia di persone, tenendosi per mano, deve riuscire a saltare i tizzoni accesi per ottenere la realizzazione di un loro desiderio. Ma i due falò più famosi, destinati a rimanere nella memoria di ogni uomo sensibile, sono quelli che si consumano nell'Amarcord di Fellini e nelle pagine immortali de “La luna e i falò” di Cesare Pavese. In Pavese il falò subisce una sua trasfigurazione lirica in quanto diviene punto di legame tra il presente e il passato: è il falò che da bambino vedeva accendere dai contadini delle langhe per attirare le piogge e rendere, con le rimanenti ceneri, più fertile la terra, generatrice di nuovi frutti; ma è anche il falò che diede morte alle vite e alle idee dei giovani della Resistenza. “A mezzogiorno era tutto cenere. L’altro anno c’era ancora il segno, come il letto di un falò”.

Anche le “luminarie” cauloniesi conoscevano le loro varianti: il falò del S.S. Rosario si caratterizzava perché alla fine i fedeli più operosi ripagavano ogni fatica degustando ottime castagne e pannocchie di granturco, “paniculu“, abbrustolite sulla rimanente brace accesa; quello dell’Immacolata trovava la sua peculiarità nella gran mole e maestosità del rogo, che dava la possibilità, a tante nonne, quando si esauriva, di riempire i loro bracieri con tizzoni ardenti attenuando così il rigore del freddo tipico di quella Santa Notte. Comunque, la regina delle luminarie cauloniesi era quella che si faceva in onore di Santa Maria di Crochi. Essa consisteva in una serie di tanti falò allestiti, come si è detto, sui colli prospicienti la “cannavata” della fiumara Amusa. Si ! perché a differenza delle due altre nostre luminarie, per Crochi erano diversi i roghi delle varie zone, che talvolta entravano in competizione tra loro. Una volta dato alle fiamme il proprio falò, ogni gruppo continuava la festa scendendo verso la chiesetta, di fronte alla quale, sul greto dell’Amusa, si appiccava fuoco ad una catasta più grande, verso cui ogni fedele lanciava un proprio ramoscello accompagnandolo col grido “in groglia a Madonna i Crochi”.

La serata di veglia non aveva fine se non si faceva ballare ed esplodere “u ciucciu”. Era quest’ultimo un simpatico intreccio di canne a forma di asinello, a cui venivano legati fuochi pirotecnici (frischiaredi, tric – trac, surfaroli e bombe – carta). “U ciucciu” era presso di noi un semplice e rudimentale drago cinese e per poter farlo saltare, sempre correndo un certo rischio, un volontario, tra i più temerari, con addosso un sacco fortemente impregnato d’acqua, si collocava sotto l’intelaiatura dell’allegro fantoccio e a ritmo di una vorticosa tarantella lo faceva esplodere tra la gioia, le risa e gli applausi dei festanti. Terminava così la vigilia e si rientrava nelle “casede” in attesa dell’appuntamento del giorno dopo.


I festeggiamenti in onore della Madonna di Crochi costituivano per tutta la nostra gente la classica festa extra-moenia, che ancora oggi vede qui confluire persone da tutte le località dell’immenso territorio cauloniese. Per noi Crochi potrebbe essere paragonata a una piccola Polsi, con tutte le caratteristiche che le sono proprie. Di Crochi si parla da tempi remoti e in un documento, risalente a subito dopo il 1669, trovato e pubblicato da Vincenzo Naymo, così si legge “…vi è un’antica Chiesa di Reverendi Padri Agostiniani detta Santa Maria dei Crochi, ricovero dei foresi nell’inverno e nell’estate per l’acqua fredda che li passa di sotto ed è grangia del convento dei Reverendi Padri Agostiniani di Castelvetere e vi mantengono un laico et alcuna volta va pure detta messa per sua devozione ad habitarvi”. Una tradizione, riportata dal Prota, ricorda come la Madonna apparsa ad un devoto, abbia ordinato di erigere in questo ameno luogo un tempio a Lei dedicato e che la Stessa abbia pronunciato la frase “hic habitatio mea est, et Ego protecto populi hujus civitatis ero

Sempre dal Prota apprendiamo che l’antica chiesetta fu sommersa da una delle piene del fiume e l'odierna costruzione venne edificata nell’attuale sito alla fine del XIX secolo. Di Crochi e della sua Madonna ci parla una bellissima leggenda. Si racconta che uno dei principi Carafa, feudatario della nostra città, avesse una figlia bellissima e muta. L’illustre padre, non rassegnandosi alla menomazione della sua ragazza, l’accompagnò a dorso di mulo presso un padre eremita, che viveva, in odore di santità in un romitorio lungo il corso medio della fiumara Amusa. Il principe sperava tanto in un miracolo e pare che la principessina, avvicinandosi al luogo indicato, nell’attraversare la fitta boscaglia, rimanesse, col velo del suo capo, impigliata tra gli sterpi.

Sempre la leggenda riferisce che la giovine donna nel tentativo di tirare il suo copricapo dai rami intricati, abbia pronunciato un suono gutturale identificato in “Croc”. Quella fu la sua prima parola e Crochi fu il nome scelto dal principe padre per designare quel luogo prodigioso. Ancora per volere del principe in quel posto fu eretta una chiesa in onore della Madonna e per la realizzazione della statua di Maria fece posare la nobile figlia.
Il simulacro presenta la Vergine Santissima con sembianze di giovane adolescente, avvolta da manto azzurro con orlo dorato e cosparso di stelle, poggiante su un grossolano ammasso di nuvole. A ricordo della gustosa leggenda il suo copricapo finisce svolazzante al vento come se stesse sul punto di impigliarsi. La scultura lignea e policroma è una rappresentazione elementare, oserei dire molto modesta, di un’iconografia che trae origine da esemplari molto illustri. Vorrebbe ripetere (ma nel nostro caso, a dire il vero, molto poco ci riesce) schemi diffusi in tutto il nostro meridione, che trovavano in artisti come B. E. Murillo gli esempi più alti. Quest’ultimo fu grande esponente di quell’arte di umana bellezza atta ad essere recepita dalla gente più umile e sinceramente devota, quell’arte che ha saputo rappresentare il divino nel linguaggio popolare, ma essa materializza ampiamente  quei caratteri di arte popolare che fanno dire al nostro più grande scrittore C. Alvaro “. . . i santi coi loro volti di popolani che non hanno più da faticare e stanno nel silenzio spazioso delle chiese”. La statua da poco restaurata è tuttora conservata nella chiesetta ubicata sul poggio sovrastante il greto della fiumara Amusa. Di recente la stessa è incoronata con uno stellario in oro che nelle solennità sostituisce il vecchio nimbo a raggiera.

La corona è stata offerta circa dieci anni fa dal devoto Rocco Manno, un nostro emigrato in Australia, la cui moglie avendo sognato la Signora di Crochi sentì il bisogno di offrirle un diadema d’oro. Essa, però, morì all’improvviso, mentre dalla lontana Australia si accingeva a portarle il prezioso dono. Rimase al marito, quindi, il compito di esaudire il desiderio della sua cara. Anche la chiesa è stata da poco, più che restaurata, ristrutturata. Essa è composta da tre navate, una centrale e due laterali su pianta a croce latina. Il suo interno è decorato in modo lindo e semplice e ricorda le pievi di campagna. All’abside è attaccata la canonica, oggi purtroppo tutta malmessa. Quest’ultima doveva essere ciò che rimaneva dell’antica grangìa agostiniana. Ritornando alla festa, che è il tema principale del nostro racconto, dopo i fuochi e l’ebrezza della vigilia, la mattina di domenica era (è) il momento più importante per i fedeli della Madonna di Crochi.

Già fin dalle prime ore dell’alba tutta le gente si raccoglieva di nuovo per cantare le lodi della Madonna; dalla tarda mattinata prendeva e ancora oggi prende inizio la processione con la statua della Vergine Santa. Si ! quella di Crochi è una vera processione e di questa ne ha tutte le caratteristiche; infatti a differenza di un pellegrinaggio che si sviluppa in linea verticale e vede muovere i fedeli verso un luogo sacro, il Santuario; la processione procede in un corteo recante oggetti sacri quali appunto statue, vessilli, reliquari, croci astili, candelieri e l’intero gruppo si muove seguendo una traiettoria circolare. Si parte dal luogo sacro, la chiesa, quindi si percorre tutta una fascia perimetrale, circoscrivente il territorio che va benedetto, e dopo un certo arco di tempo si rientra in chiesa. I fedeli in entrambi i cortei sono spinti da desideri di purificazione e spesso sono mossi per chiedere una guarigione o per assolvere a qualche voto. La processione con la Protettrice di Crochi esce dalla chiesa alla fine della celebrazione della Santa Messa; talvolta lungo il suo tragitto qualche devoto soleva allestire un addobbo con altarino, presso cui il corteo religioso sostava per una preghiera o meglio una benedizione.

Durante tale cerimonia i numerosi fedeli, accorsi da ogni località del nostro comune, innalzavano i loro canti, sciogliendo, così, un loro voto, che spesso chiedeva l’intercessione della Madonna per una grazia particolare, quale appunto una guarigione:

“Madonna mia di Crochi ti saluto
vinni ca’ ndaju u cori straziatu
vinni mu ti portu lu me vutu
pe cchidu meu tisoru abbandunatu
‘nta cchidu lettu cerca sempi aiutu
guarda chistu meu pettu scunsulatu
ca vegnu di luntanu e pedi toi
 Regina bella aiutami ca poi”.

Un’altra ottava del medesimo ciclo, nel ricordare i propri cari lontani dalla loro terra, ci riporta alla memoria quanto struggente fosse la condizione di ogni emigrato:

"Chi parte per l'Australia nel petto
porti il Tuo nome e sopra il cuore scritto,
quando sarà sul mare, poveretto !
baci la Tua medaglia s’ egli è afflitto
sicuro del Tuo aiuto benedetto
traendo dal Tuo aiuto gran profitto.
Piangendo lascia afflitti i cari suoi;
Vergine bella aiutali che puoi”

 


Settembre, tempo di vacanza per ogni buon cauloniese
ovvero

ritualità e costumanze in onore di S. Maria di Crochi,
festa extra-moenia

di Gustavo Cannizzaro

www.caulonia2000.it - Novembre 2001



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