Questa sezione raccoglie scritti, articoli, storie, usi e costumi
della tradizione cauloniese

           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




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Sullo stesso tema un'altra nenia veniva eseguita per tutto il periodo di Avvento:

"Allestimundi cari amici,
ca su jorni di Natali
oh chi festa, oh chi trumbali
e groglia Patri,
allu celu gran festa si faci.
Jamu alla chjesa e cantamulu ancora
E la terra ciò chi ci duna di rosi e hjuri.
E' nesciutu lu Redenturi
Porta groglia e porta vita,
e li grazi c'annui 'ndi faci
……………
porta groglia e porta vita.
Porta groglia pe' li boni,
pe' li mali lu soi aiutu.
Tutti chidi chi l'hannu perdutu
Lu jirunu a trovari.
Ha lasciatu na bona via,
ma lu celu non era via,
ca lu fici illu………
Non guardati ch'è piccirillu
Ch'esti grandi, onnipotenti
è sicuru ed assistenti finu alla morti.
E' nesciutu di menzanotti
friddu e nudu e poverellu
e tuttu rispettusellu 'nta la pagghja
fu fasciatu 'nta na tuvagghja,
fu fasciatu cu veru amuri.
La sua Mamma cu tantu splenduri
lu stringia a lu so'pettu.
Oh divinu mio pargulettu
Li sant'angeli calaru
e a Maria la cumbitarunu 'nta na capanna
e lu celu chi chjovia manna
chida notti disijata
e l'erba era argentata
e scurria meli………
risplendenti jamu a lu celu
risplendenti jamu alla grutta
risplendenti è l'aria tutta,
e Maria matri amorosa,
nui pregamu alli gran Santi
viva Diu e tutti li Santi."

La medesima tenerezza affiora in un altro canto popolare, che assume sempre più le caratteristiche di una simpatica filastrocca:

"Bombinuzzu di docu fora
venitindi a casa mia

ca ti conzu lu letticedu
'nta sta povera anima mia.
Ti lu conzu d'icona d'oro,
venitindi gran tisoru
bambinuzzu di supra lu celu
accoppatu cu lu velu
e la menti si risbigghja.
Si lu pigghja cu lu voli
Bombinuzzu arrobba cori
Bombinuzzu meu pulitu
abitanti di la luna
e mandatimi sonnu in celu,
pe' l'amuri di Maria
si tu non mi lu mandi
eu non ti tegnu 'n sinu
e poi miu picciottinu
ca cu ttia vorrai jocari.
Jocamu a chi jocamu
e jocamu o mio diletto.
'nta na scorza di nucilla
'nc'è na naca piccirilla
c'annacava lu Missia
ch'era figghju di Maria.


In fine due ultime creazioni, molto simili tra di loro, conservando tutte le proprietà delle filastrocche infantili, sanno ricreare l'aria di festa tipica di quei santi giorni:

I
Maria lavava
Giuseppi stendia.
Lu figghju ciangia
ca friddu 'ndavia.
Zittu me'figghju
c'adessu ti pigghju.
Di latti ti dugnu
ma pani non c'è.
A nivi supa i munti
cadia du celu.
Maria cu so' velu
copria Gesù."

II
"Maria lavava
Giuseppi lamprava.
Ninnillu ciangìa
ca latti non avìa.
Ccittu ninnillu
ca ora ti pigghju.
Ti fazzu la ninna
e ti tornu a curcà.

A coronamento del periodo natalizio per il giorno di capodanno sul far del mezzogiorno si assisteva alla particolare e originale processione del "Bambinuzzu supa a palla". Con questa espressione in Caulonia, ancora oggi, si identifica la statua lignea di "Gesù Bambino sovrastante il globo terracqueo sorretto da due angeli".

La statua nel corso dei secoli ha subito diverse ridipinture e la sostituzione sempre in legno del Bambinello.Pare che la scultura fosse di proprietà dei padri domenicani, ordine detentore della chiesa, prima del passaggio di quest'ultima all'Arciconfraternita del SS. Rosario. Sullo scannulo sembrano librarsi i due leggiadri angioletti reggenti la sfera della terra. Entrambi nudi, solo nella parte bassa sono amorevolmente avvolti da panneggi che sanno terminare in graziosi svolazzi.I puttini, dai bei riccioli e dalle fattezze grassocce, sono modellati con vezzoso gusto Rococò; i delicati ombelichi sui teneri ventri, i visetti che finiscono nella perfetta curva del mento e le gambette, di cui una scompare tra le nuvole, tutte espressioni della tipica motilità infantile, stanno, altresì, a testimoniare la sicura e raffinata arte dell'ignoto artista.Vestito con abiti di stoffa appare il Redentore Infante, che con un piede rimane in equilibrio sopra il mondo, mentre con la paffutella mano benedice l'intero universo, redento dall'amore di bambino.

Un mantello di seta rosso rifatto e una veste bianca, anch'essa restaurata di recente, completano il suo abbigliamento. La mantellina viene impreziosita da semplici decorazioni e da galloni in oro; la tunica, arricchita sul davanti da un damasco con tralci e fiori d'oro, ha come polsini due fini merletti. La testa presenta occhi di vetro, parrucca lunga di veri capelli ed è cinta da tiara in argento. Siamo di fronte al culto del Bambinello Divino che dal Monte Carmelo in Terrasanta si diffuse in tutto il mondo cristiano e soprattutto in quello iberico. Con molta probabilità tale devozione è giunta a noi con la dominazione spagnola. Processione delicata e discreta quella che il primo gennaio di ogni anno, ancora oggi, si consuma nelle cerchia di un esiguo gruppo di cauloniesi. Per tradizione è la processione dei bambini che vengono invitati ad indossare i paramenti da "fratello". Tale usanza venne sancita dall'Arciconfraternita nel regolamento del 1929, in cui si stabilì: "che per la festa del Bambino Gesù in Capod'anno, la processione venga fatta con soli confratelli dai cinque ai Dodici anni appunto per praticare il bel motto di Gesù: 'Lasciate che i pargoli vengano a me'." Processione di bambini era questa che si avviava in tono minore, anzi intimo, subito dopo mezzogiorno del primo dell'anno e dopo un breve tragitto per le vie adiacenti, essa faceva rientro in chiesa.

Rito molto antico, anche questo, e quasi certamente legato alle funzioni religiose dei padri domenicani; di conseguenza la brevità della cerimonia che la caratterizzava, come se fosse una processione intra moenia riservata agli appartenenti dell'ordine religioso. Il Divino Infante rientrava al Rosario, ma la nostra magica stagione non conosceva ancora fine; ben altri sei giorni di intensa festa bisognava consumare. Si attendeva l'Epifania, o meglio "i vattisimi". Per quella data i Magi avevano percorso la loro lunga strada e guidati dalla stella cometa, erano giunti alla grotta; quindi ogni bambino si prendeva la briga di accostare all'imbocco del "Sacro Antro" i propri pupazzetti, i quali erano meglio conosciuti, come ancora una volta ci rammenta O. Di Landro, con il termine più efficace di "papàtuli". Per la sera del sei gennaio tutto era pronto per la cerimonia di addio. Anche questa volta si trattava di un semplice rito familiare, in cui spesso il più piccolo di casa aveva il compito di togliere Gesù Bambino dal presepe e accostandolo di bocca in bocca con un bacio dava appuntamento alle festività dell'anno successivo. Si! erano quest' ultimi giorni di festa che vedevano tutta la nostra gente esultante. Del resto, ancora non erano stati consumati tutti i dolcini preparati con tanta cura durante i giorni antecedenti il dì della Santa Vigilia.

Tutta la nostra pasticceria era casereccia (panettoni e spumanti non avevano preso il loro posto). Naturalmente era la "Pitta i San Martinu" a costituire il "pezzo- forte". Essa prende nome, probabilmente dal protettore di ogni "beone", il Santo che sa tramutare ogni mosto in vino e, appunto, da un processo di ebollizione del mosto si ricava il "vino cotto", elemento principe di questa nostra tipica schiacciata. Tale dolce, ancora oggi, sa prendere la graziosa forma di stella dalle molte punte o, meglio, ricorda il disegno del cosiddetto "fiore spagnolo" e su di esso si evidenzia la maestria di ogni mamma che mette tanta cura nella decorazione. In tutte queste forme sembra, ancora una volta, emergere la componente della nostra cultura figurativa arabo- ispanica che giust'appunto negli arabeschi seppe dare una nota altamente raffinata. Era la sfoglia croccante a dare la struttura, ma il suo sapore fruttato, tipico di un dolce secco, veniva affidato ad un impasto di fichi secchi (fica tosta), noci, uva sultanina (passuli), mandorle (ammenduli), lavorati con il vino cotto, già messo da parte fin dall'ultima vendemmia.

Alla "Pitta i San Martinu", regina della pasticceria cauloniese si affiancavano le "pignolate" e le "cicerate". Le prime, di origine siciliana, non erano altro che un assemblaggio di palline fatte con farina, zucchero, uova e liquore, cotte nell'olio e ricoperte da miele locale. Le "cicerate" si ottenevano usando una purea di ceci mista a cioccolato che farciva una specie di fagottino a mo' di panzarotto. Le "cicerate", ultimate, venivano ricoperte anch'esse da un dolcissimo miele liquefatto. Una notte particolare era quella del cinque gennaio, la notte della Befana, quando ogni bimbo non andava a letto senza aver appeso la sua calza per ricevere con i semplici doni un bel pezzo di carbone.

Ancora Santa Claus, Babbo Natale, non aveva varcato l'Atlantico per giungere fino a noi; perciò anche a Caulonia la Befana portava via tutte le feste. In giornata del sette gennaio si smontava ogni cosa, solo presso alcune famiglie, come nelle chiese, si sceglieva di lasciare il presepe fino al due febbraio, giorno della candelora, quando trascorsi i quaranta giorni di purificazione Gesù viene presentato al Tempio. A questo punto le statuine dei pastori venivano riposte nello scatolone e un bel pizzico di malinconia soleva porre fine alla nostra tradizionale simpatica storia.




Un sentito ringraziamento a:
Franco Amato, Luigi Briglia/A.R.P.A., Gustavo Cannizzaro,
Rinaldo D'Aquino, Pino Lamberto, Lina Lombardi Michelotti, Ercole Sansalone

per le splendide foto forniteci.


Il nostro più affettuoso pensiero e ringraziamento per il Prof. Gustavo Cannizzaro
per questo nuovo ed inedito lavoro pubblicato sulle nostre pagine.

Ci auguriamo che tutti questi scritti sinora pubblicati possano essere raccolti
ed inseriti in un unico volume, da distribuire nelle scuole del nostro territorio
per far conoscere, tenere vivo, apprezzare, la cultura e il folklore delle nostre terre.

U sei i Nicola, l'ottu i Maria... U vinticincu lu bellu Misìa;
ovvero

La grande attesa per il Natale cauloniese.

di Gustavo Cannizzaro
www.caulonia2000.it - Marzo 2002



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