L'incontro
succede alla Busterna. La reliquia è riconsegnata al clero
; e nello stesso punto dove il giorno innanzi si era dato
il bacio dell'arrivederci, torna la ressa con maggiore fervore,
e minor cortesia, a dare il bacio del benvenuto. Bisogna
che la si baci, bisogna giocar di gomiti per arrivarvi,
debbono baciare anche i più teneri bambini, sollevati dalle
braccia dei genitori; e chi non può aver la fortuna di farlo
con le labbra tocca almeno il sacro argento con le dita
e poi se ne bacia i polpastrelli. E il "vecchierello" frattanto
sorridente e mite, assieme alla sua reliquia, scortata da
tanti burbanzosi armati con i tromboni fumanti ed infiorati
entra trionfalmente in città. Quando giunge dinanzi alla
porta della sua chiesa, ch'è la Matrice, un fuoco nutrito,
assordante, diabolico, di mortaretti, castagnette, pistoni
scoppia contemporaneamente e dura per otto dieci minuti,
avviluppando ogni cosa in una nube grigiastra attraverso
della quale si scerne la statua del protettore, che aspetta
anche lui, e gode del poderoso saluto finale del popolo
che grida: evviva S.Ilario!"
Sempre
per mattina di sabato ogni ragazzo, individualmente o in
gruppo, andava fiero del proprio "carvariedu",
si trattava di un altarino mobile, o meglio, di una edicoletta
montata su baretta con sopra il "Santino". Il tutto veniva
costruito in miniatura e si andava a gara nel proporre un
proprio allestimento. Tutte le "barette"
accompagnavano la processione fino al Calvario, dove si
collocavano sui vari ripiani dell'altare del sacro edificio,
per rimanervi fino al rientro (il giorno dopo).
La statua del Santo è una scultura in legno policromo eseguita
da un'artista serrese nel 1815, come riporta il Prota rifacendosi
ad un vecchio libro di appunti della famiglia Romano "…è
tradizione che il giorno 8 ottobre 1815, giorno della consegna
(della statua)…, anche l'artefice assistesse all'entrata
trionfale del simulacro verso un'ora di notte in Catelvetere;
e tenendo lo scultore gli occhi fissi negli occhi della
sua statua e camminando a ritroso, ha pianto per tutta la
processione. Quando poi è entrato in chiesa, inconsolabile
di doversi dividere dall'opera sua, promise di non toccare
più scalpello. E così avvenne, perché appena tornato in
Serra si è ammalato e in pochi giorni è morto. E si racconta
pure che i caulonesi ammirando purtroppo la statua,osservarono
che la barba dell'Anacoreta era troppo prolissa, ed egli
l'accorciò. Ma quando lo ripregarono a scorciare anche le
ciocche dei capelli, rispose: lo farò, ma per ogni colpo
di scalpello pretendo dodici carlini. A tal proposta non
si è stimato prudente di insistere."
Ancora
una bella leggenda, una storiella che rende sempre più cara
la figura del Santo al devoto cauloniese. La scultura, di
recente restaurata, è rinchiusa in una figura piramidale
e alla sua base trovasi una rozza croce, che sembra essere
stata abbozzata su secco arbusto e una "coccolina"
(teschio), che rappresenta i l"memento mori" di
ogni buon padre eremita.
Sicuramente il suo autore avrà letto o appreso la vita che
del Nostro fece San Gerolamo perché da essa sembra derivare
nel suo impianto iconografico. Il Taumaturgo in atteggiamento
di preghiera viene rappresentato con il nerbo della disciplina
in mano, con lunghi capelli divisi in ciocche e folta barba
grigia; dalla cintola in giù è avvolto da mantello rosso
che funge da perizoma, mentre si presenta nudo nel resto
del corpo ischeletrito per eccessiva magrezza, come chi
appare scarno da lungo digiunare, mentre il viso invocante
Dio esprime tutta la sua intensità d'asceta. Un semplice
nimbo in ferro fa da corona al suo capo. L'opera, classica
nella sua impostazione piramidale, denuncia la sua derivazione
da modelli di arte tardo-barocca nelle sue linee spezzate,
nei panneggi ricchi a pieghe profonde, nel volto fortemente
espressivo, nella lunga e vistosa barba e soprattutto in
quella torsione dinamica del corpo che sembra volerlo rinchiudere
in un'ellisse. In essa il suo autore evidenzia come lo stesso
aveva appreso bene ogni regola del contrapposto in quel
suo spingere il torso con il capo leggermente inclinato
su un lato, gli arti inferiori, con una gamba portata in
avanti e l'altra in posizione fortemente arretrata, su un
altro lato, dandone così una visione armonica almeno da
otto distinti punti di vista secondo i suggerimenti di B.
Cellini.
La
scultura, inoltre, è da ritenersi importante anche dal punto
di vista iconologico. L'Asceta, come sopra si è detto, fu
un Santo orientale e la sua raffigurazione in una scultura
lignea sta ad indicare come, nella nostra lunga storia,
al cristianesimo di rito greco sia subentrato un cristianesimo
di rito latino. Il primo diffuso presso di noi dal dominio
di Bisanzio e tenuto vivo dai monaci basiliani, il secondo
introdotto con l'arrivo dei normanni prima e in modo preponderante
dalla lunga dominazione spagnola. I viceré spagnoli già
dalla seconda metà del XVI sec. favorirono maggiormente
quel processo che doveva spingere i fedeli verso riti religiosi
più consoni ad un loro più forte controllo sulle masse.
Non si vuole più una spiritualità libera, individuale e
anarcoide alla quale tendeva la religiosità orientale, bensì
una liturgia atta a spingere verso modelli di comportamento
di maggiore ubbidienza nei confronti del sovrano e della
loro alleata, la chiesa di Roma, in quel momento impegnata
nella lotta alla Riforma Luterana. Gli spagnoli e i rappresentanti
del clero latino favorirono, appunto, il culto delle statue,
che prenderanno il posto delle sacre icone ed è, appunto,
in questo lunghissimo processo di assimilazione che rientra
il culto del nostro Santo, che da greco diviene latino.
Diversi
e colmi di amore sono gli inni che i devoti cantano lungo
la processione. Uno in forma dialettale, oltre a tessere
le lodi del Santo, ricorda il famoso paragone della rosa
usato da San Gerolamo a proposito della nascita del Santo
Eremita e ne sanziona definitivamente il legame alla sua
portentosa immagine:
Evviva
Larione e chi lo creò.
Pe' mari e pe' terra si nominatu tu.
Santu Lariu benedittu si chinu di virtù. (rit.)
E chi lu teni per avvocatu di Santu Lariu sarà aiutatu,
Sarà aiutatu a tutti l'uri ca Santu Lariu è lu protetturi.
E' protetturi di tutta la genti ca Santu Lariu è riccu
e potenti. (rit.)
E Santu Lariu riccu e potenti è nominatu di tutta la genti.
E si li grazi nu' volimu a Santu Lariu nui ricurrimu.
E si 'nta na manu portati la rosa e 'nta l'atta la disciplina.
Evviva Larioni di'la Palestina. (rit.)
E Santu Lariu di la Palestina la rosa e la spina glororiosa
spuntò,
La rosa e la spina graziosa spuntò.
E nui cantami 'stu bellu Santu, lu Patri e lu Figghju
e lu Spiritu Santu.
Lu Patri e lu figghju e lu Spiritu Santu.
E 'nu cantami cu dolce armonia viva Larioni e viva Maria.(rit.)
Maria Santissima che tutto puoi prega pe' miseri e prega
per noi.
Oggi e nell'ultima ora di morte s'apron le porte dove
sei Tu.
La valle ed i monti rispondono al canto evviva il gran
Santo
Che Dio ci donò, evviva il gran santo che Dio ci donò.
(rit.)
E Santu Lariu fici n'aspra vita, 'nta na montagna
Di voscu avanzata, fici la festa Sua tantu pulita
Chi di li foresteri è visitata. ( 2 volte rit.)
E si li grazi nui cercamu Santu Lariu 'ndi porgi a manu
(rit.)
Molto
elementari e piuttosto gustose sono le composizioni che
vanno sotto il nome di rosari. Sono tutte delle preghierine
che a mo' di cantilena vanno a sostituire le dieci "Ave
Maria" nella recita del SS. Rosario. Di esse
se ne servivano abbondantemente i fedeli disposti a trascorrere
la notte di veglia al Calvario:
|
"Arco
di giglio, garonfulu e rosi
Arco d'amuri che in Dio
si ripose
E noi cantiamo con dolce armonia
Viva Ilarione e Viva Maria."
|
Un'orazione
molto popolare e quindi spesso eseguita, ricorda ancora
una volta come la rosa, regina dei fiori, fosse legata alla
figura del nostro Santo:
"Venite
verginelle venite con amore
Portate le rose e datili a Larione.
Larione s'inchina, si prende le rose
Chi belli rose chi date a Larione."
Infine
un "rosario" originale
e "divertente" è quello
che nella sua tiritera sostituisce in modo progressivo il
numero 1 fino a dieci:
"E
si unu milli voti veneramu a Santu Lariu
Veneramulu
a tutti l'uri ca Santu Lariu è lu Protettori."
Naturalmente
alla fine delle dieci orazioni cantate, ogni posta si chiudeva
con un gloria, anch'esso improntato sull'immagine del Santo:
|
"Groglia
al Padre, Figghiu e Spiritu Santu
Santu
Lariu è 'nu gran Santu
Gran Santu di valuri, Santu Lariu è lu protettori.
Alli mani porta grazi, alli pedi rosi e hjiuri,
Cunciditici la grazia, pe'l'amuri di 'lu Signori."
|
Tutti
i canti in onore del Nostro Santo culminavano in una canzone
con versi settenari, divisi in undici quartine, ciascuna
delle quali chiusa da un ritornello di due versi. In essa
ad una iniziale invocazione si evidenzia come il Santo di
Gaza abbia sempre protetto la nostra Comunità dai vari terremoti,
e soprattutto dai periodi di siccità:
|
"Volgi
benigno il ciglio
Gran
Sant'Ilarione
A
noi che in questo esilio
Abbiam fiducia in te.
Evviva Ilarione, Ilarione evviva
Evviva Ilarione e chi lo creò.
Paga la dolce brama
Di un popolo fedele
Che oggi t'invoca e chiama
Suo protettore in ciel. (Rit.)
Così da te protetti
Verremo un giorno uniti
Al gaudio degli eletti
Nella Tua Patria in Ciel. (Rit.)
Lungi
dal patrio suolo
Rammenta i figli tuoi
E muta il loro duolo
Nel gaudio della fe'. (Rit.)
Pe' mari e pe' terra
Si nominatu tu
Sant'Ilarione benedettu
Si chinu di virtù. (Rit.)
O splendore di Caulonia
O gran Sant'Ilarione
De' tu porgi a tutti i doni
Tu la pace del Signore. (Rit.)
O
Patrono nostro amato
Da Dio stesso a noi mandato
Per guidarci d'ogni orrore
Salve o Santo Protettore.(Rit.)
Caulonia
da te protetta
Sempre fuggi dal terremoto
E ogni alma prediletta
Va riuscendo a te devota. (Rit)
La tua aspra penitenza
Ti condusse al Paradiso
Uno sguardo di clemenza
Volge a noi col tuo bel viso.(Rit.)
Il
miracolo che facesti
La tua festa raddoppiò
Il tuo popolo sempre giubilo
Col suo labbro ti lodò. (Rit.)
O Patrono nostro amato
Onoriamo la tua festa
Nell'ottobre a te sacrato
Salve Santo da noi amato. (Rit.)
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<< Parte
seconda Parte quarta >>
Novene,
scampanii, suoni e canti per Sant'Ilarione Abate
ovvero
Credenze e preparativi
per il Santo Patrono
di
Gustavo Cannizzaro
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- Febbraio 2002
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