Queste
le funzioni religiose e ad esse veniva affiancato un ricco
programma di manifestazioni cosiddette civili. La municipalità
di Caulonia andava fiera di patrocinare con un suo contributo
le varie iniziative culminanti nell'addobbare la via principale
con fantastici archi luminosi e nell'allestire un magnifico
palco sormontato da cassa-armonica, sul quale per due sere
si esibiva il popolare complesso bandistico "Città
di Caulonia", quando non venivano ospitate bande
molto note.
Era, principalmente, in serate come queste che la gente di
Caulonia poteva appagare la sua voglia di ascoltare della
buona musica. Brani sinfonici e in larga misura operistici
costituivano il repertorio eseguito, ma soprattutto si attendeva
la conclusione del concerto con "il
canzoniere", quando i motivi più celebri e in particolare
le melodie napoletane riempivano di dolcezza mista a malinconia
l'animo di ciascuno.
La
festa culminava dopo la mezzanotte di domenica con uno spettacolo
pirotecnico e all'uopo si esibivano i maestri fuochisti più
noti della nostra terra.
Per tutto il periodo festivo aveva luogo la fiera più importante
dell'anno e numerose erano le bancarelle dai colori vivaci
con la merce esposta. Ogni ragazzino riceveva la sua "fera",
una regalìa per lo più consistente in una piccola somma con
cui poter comprare i dolcini o meglio il giocattolo ardentemente
desiderato.
A tal proposito A. Cavallaro nel suo romanzo "l'ombra
del passato" scrive una pagina delicata offrendoci
così un quadretto veramente vivo: "…il
giorno di festa del Santo Patrono era arrivato… Lungo le vie
principali le donne contrattavano con i venditori delle bancarelle
per l'acquisto di un pezzo di tela per il corredo delle figlie
o per uno scampolo di stoffa e gli uomini adocchiavano i picconi
e i tridenti, luccicanti sotto il sole, per acquistarli se
si fossero accordati sul prezzo. I ragazzini, invece, guardavano
avidamente i dolci esposti nelle casse aperte dalle venditrici,
che vestivano i costumi dei loro paesi d'origine e, sedute
su una seggiola, sonnecchiavano o filavano in attesa dei compratori.
Intanto mentre le mosche roteavano sopra quei dolci ingialliti
dal sole, qualcuna, non vista, si introduceva attraverso le
pieghe del velo che li copriva o attraverso i fili sdruciti
e si divertiva a posarsi ora sull'uno ora sull'altro, beata
di godere di tanta abbondanza… Gli asini, legati agli anelli
fissati ai muri delle stradine secondarie, combattevano con
le mosche implacabili e, di tanto in tanto, un raglio si levava
sonoro nell'aria cristallina, mescolandosi al vociare diverso
della gente, mentre il fetore degli escrementi si mescolava
al puzzo di vino proveniente dalle bettole e a quello del
sudore e del sudiciume, diversamente distribuito in quella
grande folla, accorsa da ogni dove."
Competizioni
sportive, giochi di abilità e gare di tanti generi riempivano
interi pomeriggi di quei giorni di festa. L'albero della cuccagna
"a 'ntinna", corse con
i sacchi, la gara della pentolaccia "pignatedi",
corse di asini e di muli, conoscevano un loro momento di gloria,
ma sicuramente la regina di ogni sfida rimaneva quella delle
"carrette" o meglio dei
"carrettuni". Erano quest'ultimi
dei piccoli carri a quattro ruote, interamente costruiti dai
ragazzi e utilizzati, appunto, per le competizioni della festa
di Sant'Ilarione.
Già nei giorni precedenti la disputa sportiva, alle prime
ore dell'alba quando suonavano le campane per la novena, molti
ragazzi saltavano giù dal letto per andare a fare gli allenamenti
in vista della prova finale. Tutto ciò se era cagione di gioia
e allegria per i più giovani, costituiva motivo di facile
collera per molti "papà"
che venivano svegliati alle primissime luci del nuovo giorno
dai rumori assordanti di questi rudimentali go-kart e non
di rado si apriva qualche finestra da dove veniva buttata
dell'acqua per colpire "i piccoli
disturbatori".
Non vi era ragazzo di Caulonia che non avesse provato un senso
di gioia nel costruire una propria carretta, come lo stesso
R. D'Aquino riferisce con dei versi pregni di forte nostalgia:
Certamente
i festeggiamenti in onore del Santo Patrono rimanevano impressi
nel cuore di ogni buon cauloniese per lungo tempo e il loro
ricordo era saldo nella mente di tanti nostri concittadini
costretti, in cerca di lavoro, a lasciare la propria casa.
Le comunità degli emigrati cauloniesi in Argentina, nel nord
America e in Australia, provavano maggiormente il sentimento
di nostalgia con l'approssimarsi di questa ricorrenza. Non
vi era emigrante che dimenticasse di mandare un suo contributo
in denaro per la buona riuscita della festa. Si sa che da
nostri emigrati in Diverson (USA) proviene il contributo per
la costruzione del piccolo campanile e per l'acquisto delle
relative campane per il "Calvario"
(costruzione eretta alla fine del XIX sec. in onore del Santo).
Si narra che un gruppo di minatori all'interno di una miniera
del West-Virginia sono stati avvertiti da un "vecchierello
dalla lunga barba bianca" ad abbandonare al più
presto quel posto e una volta fuori, la vecchia miniera crollò.
Si gridò al miracolo e, nel generoso "Vecchio",
il cauloniese Tommaso Argirò seppe fare identificare il nostro
potente Taumaturgo. Da qui la raccolta di fondi a cui contribuirono
non solo gli emigrati cauloniesi, bensì tutti i minatori di
quel distretto minerario. Sempre ad un altro nostro emigrato,
Francesco Dimasi, è legato un altro fatto portentoso. Il nostro
concittadino raccontava che durante una sua traversata dell'Atlantico
a bordo di una nave fu colto da una tremenda tempesta. Il
capitano aveva già avvertito i passeggeri della difficile
situazione in cui tutti si erano venuti a trovare. La paura
invase il cuore di ogni uomo e molti furono quelli che si
misero a pregare.
Il
capitano ritornato, una seconda volta sotto-coperta, portò
la bella notizia dello scampato pericolo e raccontò una storia
sensazionale. Disse che trovandosi sulla tolda della nave
in balìa delle onde vide una cosa strana: un vecchio molto
magro e semivestito che sosteneva la parte della nave che
stava per inabissarsi. Anche il nostro capitano seppe, poi,
riconoscere in Sant'Ilarione il "vecchierello"
della sua visione e subito contribuì con una sua offerta per
glorificare chi aveva salvato tante vite umane. F. Dimasi
con i soldi raccolti fece chiudere il Calvario con la magnifica
cancellata in ferro battuto e datata 1898, dopo aver dotato
l'altare del sacro edificio con una tela raffigurante il "Vecchierello
Santo".
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Una
particolare devozione verso il nostro Santo era presente nella
comunità emigrati cauloniesi in Adelaide, tant'è vero che
gli stessi, riuniti nella parrocchia di San Francesco d'Assisi
che faceva capo al convento di Cambletown (in seguito trasferitasi
presso la chiesa Mater Christi a Seaton) diedero origine alla
venerazione del Santo Eremita in quel lontano luogo. Così
anche nel "mondo nuovissimo"
ci si unì nel nome di Ilarione e nello stato del South-Australia
nacque il primo comitato pro-festa, composto da Giovanni Costa,
Giuseppe Ciccarello, Ilario Fazzolari, Ilario Lamberto.
Fin
dal 1957 una statua del Santo, eseguita dai maestri cartapestai
in Lecce sull'originale in legno in nostro possesso, fu portata
in processione per le strade di Adelaide.
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Ben
presto il luogo della festa in tale ricorrenza divenne un
grosso punto di riferimento per tutta la nostra gente e tale
culto si diffuse tanto che il Grande Anacoreta venne riconosciuto
come il Santo protettore di tutta la comunità calabrese in
terra di Australia. Naturalmente tale manifestazione religiosa
che, a dirla con C. Augias, "si svolgeva
prevalentemente in strada, con processione, festa chiassosa,
un'allegria scomposta, balli e grandi banchetti",
attirò la curiosità e nello stesso tempo l'ironia della componente
anglosassone di fede anglicana. Anche sul suolo australiano
avvenne quanto era successo all'inizio del XX sec. in New-York,
quando i cattolici irlandesi e in minor misura polacchi, secondo
quanto lo stesso Augias riferisce: "…rimproveravano
agli italiani varie cose …e criticavano con asprezza anche
maggiore un modo d'intendere il cattolicesimo che giudicavano
. La loro critica era che in una
società protestante e puritana una religiosità così esteriore
rischiava di mettere in ridicolo il cattolicesimo, alimentando
la diffidenza dei protestanti. In questo modo la comune fede,
che avrebbe dovuto avvicinare le due o tre etnie che in maggioranza
la praticavano, diventava invece un altro fattore di divisione."
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A
dire il vero tutto ciò non accadde nella città australiana
e una volta superato il grosso stupore iniziale le due anime
(latina e inglese) seppero fondersi e così una mentalità più
razionale contribuì a spingere i membri del comitato verso
la realizzazione di programmi più concreti. Infatti il comitato
pro-festa, ben presto di trasformò in "Society
St. Ilarion", che allargò le sue finalità e, tra
l'altro, si prefisse di concretizzare un piano più ambizioso,
realizzando dopo un certo tempo l'opera sua più bella "S.
Hilarion aged care", tre case di riposo per anziani.
La stessa associazione, più tardi, inaugurò un'importante
struttura consistente in un "salone
per meeting" dove l'intera nostra comunità ha saputo
trovare il suo punto di incontro. Le opere create dalla "Society
St. Ilarion" a ben ragione, oggi, le possiamo considerare
i miracoli fatti dal nostro Santo nella lontana terra australe.
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Finita
la festa di Sant'Ilarione, il suo simulacro rimaneva esposto
per l'intero ottavario e la domenica successiva (ottava) sul
far del mezzogiorno in una solenne processione percorreva
tutte le vie del centro storico. In seguito, in questi ultimi
decenni, sempre nel giorno dell' "ottava",
nel primo pomeriggio, il corteo pigliando posto su ogni mezzo
di trasporto, si dirigeva verso Caulonia Marina, da dove rientrava
a tarda sera concludendo con uno spettacolo pirotecnico.
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Le
celebrazioni in onore del Santo volgevano ormai al termine,
quando in prossimità della ricorrenza della commemorazione
dei defunti altri riti tenevano occupata la nostra gente:
"I mbiati morti". Si trattava
di ragazzi di ambo i sessi che a gruppi, la sera del primo
novembre, giorno di Ognissanti, muniti di lungo tovagliolo
bianco (sarvettu), legato ai quattro angoli a mo' di cestello,
si recavano presso ogni casa per una questua (tale rito non
ha alcun legame con quello che nel mondo anglosassone si consuma
la stessa sera col nome di Halloween). Con una certa generosità
si deponeva in quel tovagliolo qualcosa che veniva chiesta
in suffragio dei "mbiati morti"
(i beati morti).
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Le
offerte si riducevano a frutti secchi (castagne, fichi infornati,
noci, sorbe…), talvolta si dava del vino, ma si accettava
qualsiasi cosa buona da mettere in bocca (chestesti). Tale
usanza, con delle proprie varianti si riscontrava in altre
zone del nostro vasto territorio e per la vicina Gioiosa,
M. Rodinò e G. Incorpora così scrivono "la
vigilia dei morti, verso un'ora di notte, ragazzi imbacuccati
vanno di porta in porta cantando e han fichi e castagne infornati".
Secondo quanto riferisce T. Giamba il termine "mbiati
morti" viene inteso come "inviati
dai morti" e nelle frazioni di San
Nicola e di Ursini, si trattava di ragazzi, giovani e perché
no, uomini sposati (tutti maschi) e travestiti con abiti femminili
di colore scuro; gli stessi coprivano il capo con un foulard
(u' muccaturi da testa), mentre in Ursini si preferiva imbacuccarsi
con una "pezza d'arbasi"
(panno rozzo) per poi procedere appoggiandosi su grossi bastoni.
"si annunciavano battendo i bastoni per terra e contraffacendo
la voce (con tono flebile, come se la stessa provenisse da
oltretomba) dicevano: <'ndi fati
i mbiati morti?>" (Giamba).
Alcuni
prendevano parte a questo rito per rispettare una certa tradizione
o meglio la loro devozione verso il mondo dedll'Aldilà, ma
altri più bisognosi riuscivano, con questa pratica, ad aggiungere
un po' di cibo alla loro già scarsa alimentazione, col portare
a casa un "ciurmedu"
(sacchettino di colore biancastro) colmo anche qui di frutta
di stagione.
Con "i mbiati morti",
la festa di Ognissanti e la commemorazione dei defunti ci
si avviava piano piano verso la "piacente" estate
di San Martino e quindi la sua dolce e breve storia …
<<
Parte terza
Un
sentito ringraziamento a:
Luigi Briglia/A.R.P.A., Gregorio De
Lorenzis, Rinaldo D'Aquino, Vincenzo Murdocco,
Maria Roccisano, Ercole Sansalone
per le splendide foto forniteci.
Il nostro più affettuoso pensiero e ringraziamento
per il Prof. Gustavo Cannizzaro
che con questo inedito lavoro recupera e stimola la ricerca
del nostro folklore e della nostra tradizione.
Novene,
scampanii, suoni e canti per Sant'Ilarione Abate
ovvero
Credenze e preparativi
per il Santo Patrono
di
Gustavo Cannizzaro
www.caulonia2000.it
- Febbraio 2002
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