Questa sezione raccoglie scritti, articoli, storie, usi e costumi
della tradizione cauloniese

           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



 


  
<< Parte terza

Queste le funzioni religiose e ad esse veniva affiancato un ricco programma di manifestazioni cosiddette civili. La municipalità di Caulonia andava fiera di patrocinare con un suo contributo le varie iniziative culminanti nell'addobbare la via principale con fantastici archi luminosi e nell'allestire un magnifico palco sormontato da cassa-armonica, sul quale per due sere si esibiva il popolare complesso bandistico "Città di Caulonia", quando non venivano ospitate bande molto note.
Era, principalmente, in serate come queste che la gente di Caulonia poteva appagare la sua voglia di ascoltare della buona musica. Brani sinfonici e in larga misura operistici costituivano il repertorio eseguito, ma soprattutto si attendeva la conclusione del concerto con "il canzoniere", quando i motivi più celebri e in particolare le melodie napoletane riempivano di dolcezza mista a malinconia l'animo di ciascuno.

La festa culminava dopo la mezzanotte di domenica con uno spettacolo pirotecnico e all'uopo si esibivano i maestri fuochisti più noti della nostra terra.
Per tutto il periodo festivo aveva luogo la fiera più importante dell'anno e numerose erano le bancarelle dai colori vivaci con la merce esposta. Ogni ragazzino riceveva la sua "fera", una regalìa per lo più consistente in una piccola somma con cui poter comprare i dolcini o meglio il giocattolo ardentemente desiderato.
A tal proposito A. Cavallaro nel suo romanzo "l'ombra del passato" scrive una pagina delicata offrendoci così un quadretto veramente vivo: "…il giorno di festa del Santo Patrono era arrivato… Lungo le vie principali le donne contrattavano con i venditori delle bancarelle per l'acquisto di un pezzo di tela per il corredo delle figlie o per uno scampolo di stoffa e gli uomini adocchiavano i picconi e i tridenti, luccicanti sotto il sole, per acquistarli se si fossero accordati sul prezzo. I ragazzini, invece, guardavano avidamente i dolci esposti nelle casse aperte dalle venditrici, che vestivano i costumi dei loro paesi d'origine e, sedute su una seggiola, sonnecchiavano o filavano in attesa dei compratori. Intanto mentre le mosche roteavano sopra quei dolci ingialliti dal sole, qualcuna, non vista, si introduceva attraverso le pieghe del velo che li copriva o attraverso i fili sdruciti e si divertiva a posarsi ora sull'uno ora sull'altro, beata di godere di tanta abbondanza… Gli asini, legati agli anelli fissati ai muri delle stradine secondarie, combattevano con le mosche implacabili e, di tanto in tanto, un raglio si levava sonoro nell'aria cristallina, mescolandosi al vociare diverso della gente, mentre il fetore degli escrementi si mescolava al puzzo di vino proveniente dalle bettole e a quello del sudore e del sudiciume, diversamente distribuito in quella grande folla, accorsa da ogni dove."

Competizioni sportive, giochi di abilità e gare di tanti generi riempivano interi pomeriggi di quei giorni di festa. L'albero della cuccagna "a 'ntinna", corse con i sacchi, la gara della pentolaccia "pignatedi", corse di asini e di muli, conoscevano un loro momento di gloria, ma sicuramente la regina di ogni sfida rimaneva quella delle "carrette" o meglio dei "carrettuni". Erano quest'ultimi dei piccoli carri a quattro ruote, interamente costruiti dai ragazzi e utilizzati, appunto, per le competizioni della festa di Sant'Ilarione.
Già nei giorni precedenti la disputa sportiva, alle prime ore dell'alba quando suonavano le campane per la novena, molti ragazzi saltavano giù dal letto per andare a fare gli allenamenti in vista della prova finale. Tutto ciò se era cagione di gioia e allegria per i più giovani, costituiva motivo di facile collera per molti "papà" che venivano svegliati alle primissime luci del nuovo giorno dai rumori assordanti di questi rudimentali go-kart e non di rado si apriva qualche finestra da dove veniva buttata dell'acqua per colpire "i piccoli disturbatori".
Non vi era ragazzo di Caulonia che non avesse provato un senso di gioia nel costruire una propria carretta, come lo stesso R. D'Aquino riferisce con dei versi pregni di forte nostalgia:

"………….
Eu, per esempiu, mi ricordu quando,
doppu cogghiùti i sordi pe' la paga,
a frotta iìvumu do falegnami,
la testa 'nci stonàvamu ogni iòrnu,
mu 'ndi tagghia li roti pa carrètta
e di lu Bàgghiu poi fin' a la Chiazza,
facìvumu li cursi cu bravura;
… …………"

Certamente i festeggiamenti in onore del Santo Patrono rimanevano impressi nel cuore di ogni buon cauloniese per lungo tempo e il loro ricordo era saldo nella mente di tanti nostri concittadini costretti, in cerca di lavoro, a lasciare la propria casa.
Le comunità degli emigrati cauloniesi in Argentina, nel nord America e in Australia, provavano maggiormente il sentimento di nostalgia con l'approssimarsi di questa ricorrenza. Non vi era emigrante che dimenticasse di mandare un suo contributo in denaro per la buona riuscita della festa. Si sa che da nostri emigrati in Diverson (USA) proviene il contributo per la costruzione del piccolo campanile e per l'acquisto delle relative campane per il "Calvario" (costruzione eretta alla fine del XIX sec. in onore del Santo).
Si narra che un gruppo di minatori all'interno di una miniera del West-Virginia sono stati avvertiti da un "vecchierello dalla lunga barba bianca" ad abbandonare al più presto quel posto e una volta fuori, la vecchia miniera crollò.
Si gridò al miracolo e, nel generoso "Vecchio", il cauloniese Tommaso Argirò seppe fare identificare il nostro potente Taumaturgo. Da qui la raccolta di fondi a cui contribuirono non solo gli emigrati cauloniesi, bensì tutti i minatori di quel distretto minerario. Sempre ad un altro nostro emigrato, Francesco Dimasi, è legato un altro fatto portentoso. Il nostro concittadino raccontava che durante una sua traversata dell'Atlantico a bordo di una nave fu colto da una tremenda tempesta. Il capitano aveva già avvertito i passeggeri della difficile situazione in cui tutti si erano venuti a trovare. La paura invase il cuore di ogni uomo e molti furono quelli che si misero a pregare.

Il capitano ritornato, una seconda volta sotto-coperta, portò la bella notizia dello scampato pericolo e raccontò una storia sensazionale. Disse che trovandosi sulla tolda della nave in balìa delle onde vide una cosa strana: un vecchio molto magro e semivestito che sosteneva la parte della nave che stava per inabissarsi. Anche il nostro capitano seppe, poi, riconoscere in Sant'Ilarione il "vecchierello" della sua visione e subito contribuì con una sua offerta per glorificare chi aveva salvato tante vite umane. F. Dimasi con i soldi raccolti fece chiudere il Calvario con la magnifica cancellata in ferro battuto e datata 1898, dopo aver dotato l'altare del sacro edificio con una tela raffigurante il "Vecchierello Santo".

 

 

Una particolare devozione verso il nostro Santo era presente nella comunità emigrati cauloniesi in Adelaide, tant'è vero che gli stessi, riuniti nella parrocchia di San Francesco d'Assisi che faceva capo al convento di Cambletown (in seguito trasferitasi presso la chiesa Mater Christi a Seaton) diedero origine alla venerazione del Santo Eremita in quel lontano luogo. Così anche nel "mondo nuovissimo" ci si unì nel nome di Ilarione e nello stato del South-Australia nacque il primo comitato pro-festa, composto da Giovanni Costa, Giuseppe Ciccarello, Ilario Fazzolari, Ilario Lamberto.
Fin dal 1957 una statua del Santo, eseguita dai maestri cartapestai in Lecce sull'originale in legno in nostro possesso, fu portata in processione per le strade di Adelaide.

 

 

Ben presto il luogo della festa in tale ricorrenza divenne un grosso punto di riferimento per tutta la nostra gente e tale culto si diffuse tanto che il Grande Anacoreta venne riconosciuto come il Santo protettore di tutta la comunità calabrese in terra di Australia. Naturalmente tale manifestazione religiosa che, a dirla con C. Augias, "si svolgeva prevalentemente in strada, con processione, festa chiassosa, un'allegria scomposta, balli e grandi banchetti", attirò la curiosità e nello stesso tempo l'ironia della componente anglosassone di fede anglicana. Anche sul suolo australiano avvenne quanto era successo all'inizio del XX sec. in New-York, quando i cattolici irlandesi e in minor misura polacchi, secondo quanto lo stesso Augias riferisce: "…rimproveravano agli italiani varie cose …e criticavano con asprezza anche maggiore un modo d'intendere il cattolicesimo che giudicavano . La loro critica era che in una società protestante e puritana una religiosità così esteriore rischiava di mettere in ridicolo il cattolicesimo, alimentando la diffidenza dei protestanti. In questo modo la comune fede, che avrebbe dovuto avvicinare le due o tre etnie che in maggioranza la praticavano, diventava invece un altro fattore di divisione."

 

 

A dire il vero tutto ciò non accadde nella città australiana e una volta superato il grosso stupore iniziale le due anime (latina e inglese) seppero fondersi e così una mentalità più razionale contribuì a spingere i membri del comitato verso la realizzazione di programmi più concreti. Infatti il comitato pro-festa, ben presto di trasformò in "Society St. Ilarion", che allargò le sue finalità e, tra l'altro, si prefisse di concretizzare un piano più ambizioso, realizzando dopo un certo tempo l'opera sua più bella "S. Hilarion aged care", tre case di riposo per anziani.
La stessa associazione, più tardi, inaugurò un'importante struttura consistente in un "salone per meeting" dove l'intera nostra comunità ha saputo trovare il suo punto di incontro. Le opere create dalla "Society St. Ilarion" a ben ragione, oggi, le possiamo considerare i miracoli fatti dal nostro Santo nella lontana terra australe.

 

 

Finita la festa di Sant'Ilarione, il suo simulacro rimaneva esposto per l'intero ottavario e la domenica successiva (ottava) sul far del mezzogiorno in una solenne processione percorreva tutte le vie del centro storico. In seguito, in questi ultimi decenni, sempre nel giorno dell' "ottava", nel primo pomeriggio, il corteo pigliando posto su ogni mezzo di trasporto, si dirigeva verso Caulonia Marina, da dove rientrava a tarda sera concludendo con uno spettacolo pirotecnico.

 

 

Le celebrazioni in onore del Santo volgevano ormai al termine, quando in prossimità della ricorrenza della commemorazione dei defunti altri riti tenevano occupata la nostra gente: "I mbiati morti". Si trattava di ragazzi di ambo i sessi che a gruppi, la sera del primo novembre, giorno di Ognissanti, muniti di lungo tovagliolo bianco (sarvettu), legato ai quattro angoli a mo' di cestello, si recavano presso ogni casa per una questua (tale rito non ha alcun legame con quello che nel mondo anglosassone si consuma la stessa sera col nome di Halloween). Con una certa generosità si deponeva in quel tovagliolo qualcosa che veniva chiesta in suffragio dei "mbiati morti" (i beati morti).

 

 

Le offerte si riducevano a frutti secchi (castagne, fichi infornati, noci, sorbe…), talvolta si dava del vino, ma si accettava qualsiasi cosa buona da mettere in bocca (chestesti). Tale usanza, con delle proprie varianti si riscontrava in altre zone del nostro vasto territorio e per la vicina Gioiosa, M. Rodinò e G. Incorpora così scrivono "la vigilia dei morti, verso un'ora di notte, ragazzi imbacuccati vanno di porta in porta cantando e han fichi e castagne infornati". Secondo quanto riferisce T. Giamba il termine "mbiati morti" viene inteso come "inviati dai morti" e nelle frazioni di San Nicola e di Ursini, si trattava di ragazzi, giovani e perché no, uomini sposati (tutti maschi) e travestiti con abiti femminili di colore scuro; gli stessi coprivano il capo con un foulard (u' muccaturi da testa), mentre in Ursini si preferiva imbacuccarsi con una "pezza d'arbasi" (panno rozzo) per poi procedere appoggiandosi su grossi bastoni. "si annunciavano battendo i bastoni per terra e contraffacendo la voce (con tono flebile, come se la stessa provenisse da oltretomba) dicevano: <'ndi fati i mbiati morti?>" (Giamba).

Alcuni prendevano parte a questo rito per rispettare una certa tradizione o meglio la loro devozione verso il mondo dedll'Aldilà, ma altri più bisognosi riuscivano, con questa pratica, ad aggiungere un po' di cibo alla loro già scarsa alimentazione, col portare a casa un "ciurmedu" (sacchettino di colore biancastro) colmo anche qui di frutta di stagione.
Con "
i mbiati morti", la festa di Ognissanti e la commemorazione dei defunti ci si avviava piano piano verso la "piacente" estate di San Martino e quindi la sua dolce e breve storia …


  
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Un sentito ringraziamento a:
Luigi Briglia/A.R.P.A., Gregorio De Lorenzis, Rinaldo D'Aquino, Vincenzo Murdocco,
Maria Roccisano, Ercole Sansalone

per le splendide foto forniteci.


Il nostro più affettuoso pensiero e ringraziamento per il Prof. Gustavo Cannizzaro
che con questo inedito lavoro recupera e stimola la ricerca
del nostro folklore e della nostra tradizione.

Novene, scampanii, suoni e canti per Sant'Ilarione Abate
ovvero

Credenze e preparativi per il Santo Patrono

di Gustavo Cannizzaro
www.caulonia2000.it - Febbraio 2002


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