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Tutto
quello che tende verso l'alto «buono», tutto quel che
volge al basso «cattivo», potremmo dire, parodiando
la nota «Fattoria degli Animali»di Orwell.
La luce è vita, l'ombra è morte.
Il
sole, massima fonte di luce era. per gli antichi, l'«occhio
di Dio»; anzi per gli Egizi, era addirittura Ra il dio personificato.
Per contro, vulcani, laghi craterici, voragini erose, oscure vallate
erano l'ingresso al regno delle ombre.
Monti, rocce strane, giganti arbòrei erano, per gli stessi,
sede o simbolo della divinità; e stimolavano l'immaginario
collettivo. Miseria nera, incertezza del domani, scorrerìe,
sopruso dei polenti, ignoranza grassa degli stessi fenomeni e scherzi
di natura facevano il resto; inducendo il popolino ad evadere nel
fantastico, per riscattare dall'interno una dignità umana
altrimenti repressa o misconosciuta. |
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I
Greci avevano sistemato sull'inaccessibile Olimpo il loro popoloso
e sfaticato «empìreo».
Solo Zeus era in genere attivo e dinamico, specie ad insidiar gonnelle.
«Decisionista» fin dalla nascita, faceva lo strozzaserpenti
già nella culla. E la nutrice doveva ben essere una Loren
al cubo; se è vero che la volta in cui il vorace putto lasciò
la presa del capezzolo per ammirar l'insieme, riuscì in breve
a inondar mezzo cielo!
Cresciuto con la stoffa del capo, il sommo Zeus non sopportava mosche
al naso. E quando qualcuno, mortale o meno, osava alzar la cresta,
doveva subirne fatalmente le ire. Poiché non esisteva ancora
la lupara bianca, ricorreva ai buoni uffici dei fratelli, neanche
loro stinchi di santo.
Poseidone, infatti, gli regolava i conti sul mare col suo tridente;
quelli terra-terra li regolava invece «propria manu»
con gli acuminati dardi che, in attesa dei più efficaci mìssili,
il compiacente Efesto gli apprestava; mentre alle giuste ire e gelosie
coniugali, il divino rimediava, più blandamente, trasformando
le concubine in alberi, o fonti, o costellazioni.
I Romani, non disponendo di meglio, ridussero quota e numero, allogando
modestamente il loro Olimpo sul colle Palatino: il passo, secondo
la gamba!
Gli Ebrei sistemarono il Paradiso Terrestre su un altipiano, e fecero
arenare «l'Arca di Noè» sul monte Ararat.
I Cristiani trasferiscono infine il loro Paradiso nell'alto dei
Cieli. Va da se che per pagani prima e per Cristiani dopo, l'Averno
o regno dei morti, o Inferno non poteva essere che ipogèo.
E Dante stesso, quando gli venne il ghiribizzo di intraprendere
il più lungo giro turistico della storia, dovette iniziarlo
"in discesa" ...
I nòrdici Druidi celebravano miti e riti nel gran bosco delle
querce sacre; recidendo il vischio da quelle più secolari,
con falcetti d'oro. Gli aborigeni dell'Australia venerano ancora
gli spiriti dei loro antenati all'ombra e nelle grotte dell'AYERS
ROCK, tozzo monolito rosso di arenaria, nel deserto centrale.
In un parco della California si ammira il "Generale Cherman",
una sequoia gigàntea di 83 m., con la circonferenza basale
di circa 31 m; mentre sulle sponde del nostro Cecita svetta isolato
ed elegante, con tanto di targa, «il più bel pino d'Italia».
Von Platen, tradotto dal Carducci, favoreggia del tesoro di Alarico,
sepolto nel Busento; e qualche decennio fa sono stati tentati inutili
scavi.
Francesco Perri, nei suoi «Racconti d'Aspromonte», ci
parla di Pietracappa, piatta roccia a monte di Benestare, risonante
a notte di rumori e lugubri lamenti emessi da Malco, schiaffeggiator
di Cristo, ivi condannato a ripetere in eterno, contro la roccia,
l'insano gesto. Ormai, ci avrà fatto un callo così!
Altri scrittori nostrani narrano di grandi tesori sepolti sul Reventino,
monte a nord di Nicastro.
Tesori celava ancora il nostro S. Andrea, secondo il tam-tam dei
miei nonni... E non c'era albero vetusto e isolato sui nostri monti
che, a loro dire, non fosse stato muto testimone di furtivi e notturni
seppellimenti di brigantesche gioie... |
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Ma
il recupero era oltremodo arduo, soggetto a orari tenebrosi, svolto
in solitudine, spesso legato a riti orrendi e satanici. I riferimenti,
quanto mai vaghi, se non sapevi di alta trigonometria: tanti passi
in qua o in là sulla direttrice che univa uno spuntone di
roccia con diabolico gnomone d'ombra, proiettato dall'albero-depositario
a mezzanotte spaccata di un plenilunio, coincidente con un equinozio!
E se incontravi anima viva, potevi ingranare la retromarcia: i!
turno era saltato, e dovevi attendere la nuova coincidenza astrale...
Se tutto ti andava a fagiolo, c'era poi il caso che t'imbattessi
nei resti del seppellitore, a sua volta seppellito dal prudente
capintesta, per evitargli... cattive idee; o, quanto meno, nel suo
fantasma.
Se poi ti sorprendeva l'alba, allora potevi far fagotto: avresti
trovato solo un bel mucchio di foglie; come dire, alla Manzoni!
...
...E chissà di quali tesori sono stato depuperato io stesso
una notte di quarant'anni fa, quando una farnia centenaria, in un
mio podere vicino alla casa dei Tocca, stata quasi sradicata!....
Un'altra volta, in una «runcatina» di Castanìa
il fuoco aveva abbattuto «l'arburu a schiocca», gigante
vegetale della zona, col tronco cavo e pieno di detriti ; e tutti
a piangere: «Quanto oro si è bruciato»! ('A troja
magra, 'agghianda si 'nsonna", recita un nostro adagio).
A monte della vicina Torre Camillari, sorge il "Piano delle
fate"; sarebbe interessante indagare sul nome, di derivazione
chiaramente leggendaria.
A sud di Strano, prima che andasse di moda la criminosa piromanìa,
esisteva nella solitaria contrada Ginestra un vecchio querceto,
sul quale aleggiava una leggenda di sicura marca carolingia: la
chioccia con i pulcini d'oro,che si potevano spesso sentire, ma
difficilmente vedere! Quella più fosca, tuttavia, è
legata a una strana roccia di arenaria, simile al Pan di zucchero
di Rio de Janeiro, che sorrge sulla sponda sinistra dell'Amusa,
alle spalle di Cucùzzari.
Sullo strapiombo, è deturpata da diverse occhiaie di erosione,
curiosamente sovrapposte, ma i vecchi della mia zona spergiuravano
che si trattava di incisioni provocate dai piedi di Belzebù
in persona, ivi salito per deporvi i tesori, dopo averla opportunamente
capitozzata, svuotata e munita di bòtola tenuta stagna!
...Col senno di poi, credo di aver capito alcune cosucce: che anche
all'inferno esistano gli inaffidabili, se il tizio è venuto
a depositar qui da noi il suo pecùlio; che l'inconografìa
corrente del caprone sia errata, e lo stesso somigli piuttosto a
un Piedone lo Sbirro-formato gigante; che prediliga il sesto grado
alpinistico, se ha preferito lo strapiombo al lato orientale della
roccia, accessibile persino ai comuni mortali. Un cacciatore vivente
mi diceva, infatti, di essersi inerpicato e di aver realmente notato
un abbozzo di botola con un grosso anello al centro, ma potrebbe
trattarsi, io penso, di un qualche segnale trigonometrico.
Quanto al recupero del tesoro, manco a parlarne! Arrampicarsi a
mezzanotte; sacrificare «in loco» una creatura innocente;
«comunicare» una capra, naturalmente cornuta; posizioni
astrali et solitudine... secondo ricetta. ...Altro che Banche nostrane;
altro che lance termiche; altro che vigilantes: paura guarda vigna,
no' sipala!...
L'anno scorso ho appreso, infine, che la stessa leggenda riguarda
un'altra località; anzi può darsi che sia ubiquista:
evidentemente il tizio di cui sopra, da economo avveduto, pratica
il Multifondo...
Si tratta del colle Caporale, sopra Ursini: poco alto per grado,
ma discretamente alticcio per quota, sui 600 m o giù di lì;
facilmente accessibile, questo, senza prestanze atletiche, nè
arti diaboliche.
Il punto trigonometrico, qui, doveva stranamente collimare con la
luce delle pie candele della chiesa di Campoli, accese in ora antelucana
per una certa novena.
E, stavolta, i sacrilegi antifurto escogitati dal maligno stavan
proprio per saltare, senza la tempestiva interferenza di un asino:
decisamente, tra bestie nere ci s'intende!...
Una donnicciola della zona, a quanto mi riferiva il prof. lerace.
aveva deciso anni dietro di affrontar la prova, prèvio rispetto
di tutti i commi del fosco capitolato.
Per cui, avvolta in panni la propria creatura e cinta lama adatta
alla bisogna, si diede furtivamente ad arrancare verso il caporale.
Se non che, tra il lusco e il brusco, un'ombra nera si staglia su
per l'erta, cangiando forma con orrendo rumor di zoccoli: un demonio-custode,
certamente, se non «arrasu-sìa» il titolare in
persona, pronto a sbarrare il passo alla sfidante! E se tanto vi
par poco, altra ombra senza meno...
Ma prima che l'urlo prorompa irrefrenabile, o che il terrore raggiunga
il vertice della follìa, una voce più che umana rompe
l'incanto:
«Cummari Caia, ca vui a chist'ura? chi succcdju?...»
«Ah, cumpari Semproniu, mi facistuvu m'u patu 'u schiantu...
on'aju uràriu scumpidu ... e crìju ca mi nda votu»... |
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E
recuperato il proprio quadrupede, evaso nottetempo dalla stalla
per fame d'erba o sete di libertà, il compare rientra a
Ursini. Mentre la comare, venuta meno la clausola della segretezza,
ridiscende mestamente al proprio abituro, rinviando la celebrazione
del cruento rito a nuovo ruolo.
Ruolo e rito che, come in tanti casi di giustizia nostrana, attendono
ancor oggi di esser riaperti e celebrati! ...
Miti
e leggende di casa nostra
di Vincenzo Franco
Corriere
di Caulonia - Giugno 1988
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