Clima
estivo quest'anno per la festa di S. Ilarione abate, che ha favorito
lo svolgersi dei festeggiamenti; intensi e partecipati
dal punto di vista religioso, ben misurati e attraenti
dal punto di vista civile. Una festa dunque ben riuscita, programmata
e condotta con buon gusto ed equilibrio,come sarebbe auspicabile
che si facesse in ogni parte d'Italia. Ma prima di parlare
della festa, desidererei dire due parole su questo Santo,
il cui culto è sorto a Caulonia da diversi secoli.
Esattamente
dieci anni fa ho trovato in una libreria Mondadori a Milano un volume
di "Vite dei Santi" a cura di Christìne Morhrmann che
conteneva la "Vita di Martino, Vita di Ilarione" e "In
memoria di Paola", con testo critico e commento a cura di A.A. R.
Bastiaensen e Jan W. Smit, e traduzioni di Luca Canali
e Carlo Carena; edito, per la fondazione Lorenzo Valla,
da Amoldo Mondadori Editore.
Ho
comprato subito quattro copie, regalandone tre agli amici più cari,
sicuramente devoti del Santo; una, non potevo non farlo,
l'ho regalata a Ilarione Roccisano. Lo scopo era quello
di far conoscere la vera vita del Santo (su cui la tradizione popolare
cauloniese riferiva,notizie enormemente distorte), scritta
da San Girolamo.
Da
quest'opera riporto l'inizio del secondo capitolo, che ritengo sufficiente
per dare una chiara idea su
questo campione della fede cristiana:
«Ilarione,
nato nel villaggio di Tabatha, situato circa cinque miglia a sud di
Gaza, città della Palestina, fiorì, secondo il proverbio,
come una rosa dalle spine poichè nacque da genitori che
adoravano gli idoli.
Costoro lo mandarono ad Alessandria e lo affidarono ad un grammatico;
e lì Ilarione diede grandi prove del suo talento, per quanto glielo permetteva la sua
età; in breve tempo divenne caro a tutti e buon conoscitore di letteratura. Ma c’era una cosa più importante
di tutte queste: poiché credeva nel Signore Gesù, non si rallegrava per le follie del circo,
né per il sangue dell'arena, né per la dissolutezza del teatro, ma tutto il suo piacere risiedeva
nelle riunioni della chiesa.
Venuto a conoscere allora il celebre nome di Antonio, che veniva
magnificato per tutte le popolazioni d'Egitto, infiammato dal desiderio di vederlo si
diresse verso l'eremo. E subito, non appena lo ebbe visto, mutati i suoi vestiti di prima, rimase
presso di lui...
Aveva
allora quindici anni
Ilarione aveva allora quindici anni (era nato nel 291); visse
così da anacoreta per tutto il resto della vita (morì a ottanta anni nel 371) secondo gli insegnamenti
di Antonio, fondatore del monachesimo orientale.
Operò come Cristo molti miracoli, guarendo ammalati e raddrizzando
storpi, ridando la vista ai ciechi, liberando soprattutto gli invasati dal demonio e invocando
la pioggia contro la siccità.
Il miracolo della pioggia, operato in vita da Ilarione ad Afroditon
(secondo quanto dice Girolamo nel Cap. 22 della sua opera) si ripetè a Caulonia il 14 maggio
del 1855.
Per una straordinaria siccità il popolo desiderò implorare
la pioggia dal Santo Protettore, portando in processione fino al romitorio di San Nicola la reliquia.
La processione fu decisa per il giorno 13 maggio; e il 14 la
pioggia arrivò puntuale, secondo la testimonianza dello stesso arciprete Davide Prota, che viene
riportata a pagina 254 delle sue Ricerche Storiche su Caulonia, edite a Roccella Jonica dalla
Tipografia Toscano nel 1913.
L'arciprete
Prota è testimone sicuramente attendibile, se si considera il distacco
(per non dire l'ironia) con cui tratta di tutte le manifestazioni
popolari religiose di Caulonia (compresi le tre serate
del Caracolo, come può constatare chiunque legga l'appendice O
del suo libro, da pag. 246 a pag. 254).
Da quell'anno comunque la festa di Sant' llarione, che cade
il 21 ottobre, viene ripetuta a Caulonia anche il 13 maggio.
Da allora molte cose sono cambiate, per l'evolversi dei costumi
ed il progresso tecnico.
Rimando alle citate pagine del Prota; per quanto riguarda l'origine
del culto per sant'llarione qui a Caulonia e il formarsi della tradizione dei festeggiamenti,
e dò le notizie essenziali.
Del 22 ottobre 1629 è il decreto del Vescovo Carlo Pinto per
la proclamazione a Patrono della città; ma la tradizione della
festa è dei tempi feudali, quando il marchese, feudatario di Castelvetere
(odierna Caulonia), mandava la sua squadra armata per onorare la reliquia
del Santo (un'ulna incastonata in un braccio d'argento) che partiva
per la montagna, presso San Nicola, dove ancora esiste il convento.
Nel
1815 alla reliquia si aggiunse la statua, scolpita in legno
da un valente artista di Serra San Bruno.
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Così
è sorta fra il popolino la falsa credenza che San Bruno e Sant' Ilarione
fossero fratelli che avevano scelto dì fare penitenza
sulle sponde dell'Allaro; e si disse che il primo si cibava
con pochi lupini al giorno, di cui lasciava cadere nel fiume le bucce,
che venivano raccolte più a valle da Ilarione per cibarsene
a sua volta. Ma, come abbiamo visto, Sant'llarione visse
a cavallo fra il terzo e il quarto secolo, mentre San Bruno
fondò la sua Certosa in Calabria nel 1091.
Ilarione
visse in Palestina (è considerato infatti il fondatore del monachesimo
palestinese), in Siria e in Egitto; e da li partì poi
per la Sicilia. Nel cap. 25 della Vita scritta da San
Girolamo espressamente si dice che approdò in Pachino, promontorio
della Sicilia; ritirandosi poi in luogo solitario a venti
miglia dalla costa, dove divenne presto celebre per i
suoi miracoli.
Raggiunto in Sicilia dal discepolo Esichio, fece sapere che
non gli era più possibile abitare in quelle regioni, ma voleva andare presso certe popolazioni barbare,
dove sarebbero stati ignoti il suo nome e la sua lingua, per vivere finalmente in solitudine.
Esichio lo condusse quindi, attraverso l'Adriatico, ad Epidauro,
Città della Dalmazia.
Liberò
il paese dal terribile drago
Ma neanche li Ilarione poté rimanere nascosto, perché venne
chiamato ancora ad operare miracoli.
Liberò il paese da un terribile drago che distruggeva gli armenti
e le greggi, quando non divorava i contadini e i pastori; e fu chiamato ad arrestare il maremoto,
cosa che fece con tre segni di croce sulla sabbia, (questo maremoto, preceduto da terremoto, sulle
coste dalmate è storicamente documentato e datato all'anno 366); in seguito col solo gesto
della mano fece balzare indietro le navicelle dei pirati che minacciavano quelle popolazioni.
I pirati si meravigliarono di tornare indietro contro la loro
volontà; eppure più si sforzavano sui remi per andare avanti più la nave correva in direzione opposta.
Ilarione si allontanò poi dalla Dalmazia per trovare un posto
più solitario.
Dopo un lungo viaggio sbarcò nell'isola di Cipro, da dove voleva
ancora spostarsi per ritornare in Egitto, verso quei luoghi che si chiamavano “Bucolica” - dice
San Girolamo - giacché li non si trovavano cristiani, ma solamente una popolazione barbara e
feroce; ma Esichio lo convinse a rimanere nella stessa isola di Cipro e a ritirarsi in un luogo
più nascosto che infatti fu trovato a dodici miglia dal mare.
Quando vi giunse Ilarione guardò con meraviglia quel luogo
veramente terribile e remoto, limitato da una parte e dall'altra da alberi, aveva anche delle acque che
scorrevano dalla costa d'un colle e un orticello straordinariamente ameno e numerosi frutteti, di
cui mai prese un frutto per cibo.
Così
San Girolamo nel cap. 30 della sua opera descrive il luogo che Ilarione
scelse come sua ultima dimora, poiché in Cipro llarione
morì; all'età di 80 anni, come già abbiamo detto.
E’
veramente sorprendente per noi cauloniesi notare come la posizione
di quel luogo abbia tanto in comune col sito in cui sorge
il convento sull'Allaro, presso le frazioni di San Nicola
e di Calatria, dove due volte l'anno viene portata la reliquia del
Santo.
Dopo circa dieci mesi dalla morte di Ilarione, Esichio riuscì
a trafugare il cadavere e lo portò a Maiuma, in Palestina, dandogli sepoltura in quell'antico monastero.
Una reliquia del Santo (l'osso d'un braccio appunto) si venera
oggi a Caulonia; come qui sia giunta non lo sappiamo di preciso: sulla traslazione delle reliquie
la storia s’intreccia sempre con la leggenda.
Quando
il monachesimo orientale, ormai definitivamente regolato ed ordinato
da San Basilio di Cesarea, si diffuse anche in occidente,
dopo la fuga di monaci greci a causa delle invasioni persiana
ed araba e della lotta per le immagini decretata dall'imperatore Leone
III lsaurico (717-741), molte reliquie di Santi furono portate nelle
nostre terre ed offerte alla venerazione dei fedeli; e
altre ancora furono portate dai Crociati di ritorno dalla
Terra Santa.
Sulla reliquia di Sant'Ilarione e sul suo potere taumaturgico
molte leggende sorsero a Caulonia; fin da bambino io sentivo parlare della grande sventura toccata
ad un marchese di Caulonia, per aver espresso dei dubbi sull'autenticità di quell'osso: Rimase immediatamente
paralizzato; e allora, pentito, elevò preghiere al Santo perché lo guarisse e promise
di fornire un degno reliquario.
La guarigione non si fece attendere e allora il marchese fece
scolpire quel braccio d'argento che ancora oggi conserva la santa reliquia.
lI miracolo della tempesta
Molti emigrati cauloniesi in America o in Australia giuravano
d'aver visto durante la traversata dell'Oceano, sconvolto dalla tempesta, la loro nave sorretta
da un vecchiereIIo, che non esitarono a riconoscere come il loro Santo Protettore; durante la guerra
si disse che Sant'llario copriva il paese di folti nubi per evitare che fosse bombardato.
Per tutte queste grazie e questi miracoli i cauloniesi poi
onoravano il Santo improvvisando nuove strofi ai canti anonimi che da secoli s'intonano durante le
processioni.
Uno di questi canti, che da molto tempo era stato dimenticato,
fu scoperto per caso da mio padre - mi piace ricordare quest'episodio di circa trent'anni fa -
mentre rovistava fra vecchie carte racchiuse nella vetrinetta d'un orologio a pendolo.
Sfogliandole incuriosito una per una ad un certo punto lesse
questi versi: “Volgi benigno il ciglio, gran Santo Ilario, a noi, che in questo esilio, abbiamo fiducia
in te”, con tutto quello che segue (quattro strofi in tutto, mi pare).
Pieno d'entusiasmo andò subito a portare quell'appunto a Peppino
Racco ( felice memoria!) che improvvisò immediatamente all'organo il motivo per cantarlo,
senza preoccuparsi se la musica che in quel momento gli sgorgava dal cuore fosse veramente originale,
o non ricalcasse invece qualche arietta da tanto tempo appresa e poi sepolta nei meandri della
memoria.
Il canto comunque piacque, ed e' ancora oggi quello che più
frequentemente e volentieri si ascolta nelle feste di ottobre e di maggio.
Queste feste allora venivano celebrate (era un segno dei tempi!)
con magnificenza e solennità. La popolazione del paese si preparava alla festa già molti mesi
prima.
I
sarti avevano da portare a termine per il giorno di Sant'llarione
(ma i cauloniesi più frequentemente chiamano lI loro Santo
«Ilario») vestiti prenotati da quattro o cinque mesi;
anche i calzolai (allora non faceva solo riparazioni, ma preparavano
loro stessi le scarpe), i falegnami e i fabbri vedevano
accrescersi il proprio lavoro in vicinanza della festa.
E
già nei giorni di novena arrivavano dalle montagne (non v'erano strade,
il percorso doveva farsi a piedi) di S. Todaro, Cassari,
Ragonà, Gozza e Nardo di Pace, molti uomini e donne portando
sulle spalle sacchi di castagne e noci, o ceste di funghi e di fragole;
prima che iniziasse la Messa erano tutti seduti in fila sui gradini
di piazza Mese per vendere quanto il giorno prima avevano
raccolto nei boschi, o per scambiarlo con qualche bottiglia
d'olio.
In
quei giorni poi i piu validi giovani del paese si preparavano a sostenere
le gare che sicuramente si sarebbero svolte durante la
festa.
Parte
seconda >>
La
festa di Sant'Ilarione di
Orazio di Landro
Corriere
di Caulonia - Novembre 1987
Un
grazie a Luigi Briglia
per le splendide foto
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