Questa sezione raccoglie scritti, articoli, storie, usi e costumi
della tradizione cauloniese

           

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




Parte seconda >>  


Una scarica di assordanti mortaretti e un improvviso scampanio della Matrice unito a quello delle rimanenti chiese hanno sempre avvertito la gente di Caulonia che la statua del loro grande Protettore, Sant'Ilarione, veniva rimossa dalla nicchia, dove da oltre un secolo si custodisce, per esporla alla venerazione dei fedeli.
I rituali preparativi continuano ad iniziare sempre in tardo pomeriggio del giovedì di ottobre, che, secondo il calendario religioso del luogo, precede la domenica della festa (calcolando i trascorsi otto giorni da quando aveva avuto inizio il novenario del Santo).
La novena cominciava alle quattro del mattino per consentire ai devoti di poter partecipare alla funzione e poter, quindi, essere sul posto di lavoro all'ora stabilita.
Durante tale periodo in chiesa si intensificavano i lavori dei maestri artigiani specializzati all'allestimento del "parato", atto ad accogliere degnamente il Simulacro.   

I sontuosi addobbi altro non sono se non retaggio della cultura barocca, che negli ultimi secoli ha informato tutta la nostra vita. Infatti è dai primi decenni del XVII sec. che tale "macchina per gli apparati scenici" appare definita nelle sue componenti essenziali. I quali consistono in una serie di archi trionfali prospettici, drappeggiati con velluti, veli, festoni, angeli svolazzanti, broccati e cremisini e tutti orlati da carta stagnola argentata e dorata. Al centro di questo apparato scenografico, dinnanzi a un fondale riccamente addobbato e dorato si stagliava la statua del Santo, producendo nei visitatori forti suggestioni emotive.  

La mattina di giovedì tra suoni d'organo, canti intrisi di pietà popolare e forti odori di incenso e di candele accese si avviava la liturgia del novenario. A sera si riprendeva non solo con la funzione del vespro, ma essendo giovedì a notte inoltrata un altro improvviso suono delle campane ricordava il passaggio dello Spirito Santo. Era quest'ultimo un'antica consuetudine ricorrente in tutti i giovedì dell'anno, quando nel pieno buio della notte le campane della Matrice annunciavano, appunto, il Divino Spirito e presso tutte le famiglie con voce unanime si innalzava una preghiera:

 
"Spirito Santo eterno amore
vieni a noi, vita e ardore
illumina e infiamma i nostri cuori.
Spiritu Santu ca lu cori è apertu
Concedimi la grazia chi ti cercu
Cuncedimilla e nun mi la negari
Spiritu Santu meu, mi l'hai di fari".

Per tenere costante tale rito, periodicamente da parte di qualche persona pia veniva elargita al sagrestano un'offerta. Pare che in periodi più antichi, per illuminare il passaggio dello Spirito, le nostre nonne aprissero finestre e balconi e tirassero fuori i loro lumi accesi. Quindi, anche tale rito, in questo periodo veniva ad arricchire il novenario del nostro Santo.
Il giorno di festa di Sant'Ilarione, secondo un'antica consuetudine, doveva coincidere con una domenica, la cui ottava doveva precedere il primo novembre, giorno di Ognissanti, anche se il suo giorno liturgico rimane sempre il 21 ottobre sia nel calendario cattolico che in quello ortodosso (essendo stato il suo culto caro al mondo latino così come al mondo greco).
Non molti autori si sono occupati della vita e dei miracoli del grande Taumaturgo, ma l'opera di San Gerolamo "Vitae Sancti Ilarionis" è stata sufficiente per rendere tale figura popolare a tutta la comunità cristiana. Gerolamo da Stridone, che nella vita ascetica aveva trovato il suo ideale, ne esaltò le qualità, ricordando anche l'opera di alcuni asceti, uno dei quali fu appunto Sant'Ilarione, di cui raccontò la vita e i miracoli .

Il Nostro appartiene a quella categoria di santi che già dal loro primo apparire manifestano aspetti propri dell'essere beati. "Rosa…de spinis floruit", dice il nostro grande autore nel latino che trova in Lui uno degli epigoni dello stile classico. "Fiorì come rosa dalle spine, poiché nacque da genitori che adoravano gli idoli". Di questa bellissima immagine si servirà in seguito la fantasia popolare quando inizierà a cantare le lodi di Ilarione e della "rosa" farà il fiore proprio del nostro Santo.
Il nostro asceta nacque a Tabatha presso Gaza, città della Palestina nel 291 dell'era cristiana. Visse per ben ottant'anni e dopo una severa educazione ricevuta presso la scuola di grammatica in Alessandria, subito capì quale doveva essere la strada segnata per Lui da Dio, scegliendosi come modello Sant'Antonio Abate, padre del monachesimo orientale. La Sua vita fu un continuo stato di preghiera, un immergersi totale nel pensiero ascetico e una lotta perenne contro le forze demoniache. Numerosi i miracoli che nel corso della Sua lunga esistenza seppe largamente dispensare. Già all'età di trentasette anni compì il Suo primo miracolo, quando cinto di cilicio e di rozzo mantello, provato da lunghi periodi di astinenza, dopo ventidue anni di vita ascetica, si era visto avvicinare da una giovane di Eleuterpoli, che veniva trascurata dal marito a causa della sua sterilità.

Alla povera donna non rimase altro se non l'aiuto del Nostro eremita. Ilarione, levati gli occhi al cielo, seppe ispirarle fiducia e dopo un anno la rivide che stringeva al petto il bimbo tanto voluto. Questo il Suo primo intervento, ma il miracolo che subito Lo rese popolare fu quando Aristenete, moglie di Elpidio, personaggio allora in vista, chiese al monaco del deserto il Suo intervento in favore dei suoi tre figli moribondi in Gaza, perché colpiti da febbre terzana. Il Santo intervenne impartendo la Sua benedizione ai corpi agonizzanti e i tre giovani, sprizzato fuori tutto il sudore dei malati, ebbero salva la vita. Quando tutto ciò si seppe, da ogni luogo accorsero genti di ogni condizione per avere grazia da Lui.
Il Nostro Santo subito si distinse nel campo dell'esorcismo e sempre più furono le persone liberate dalle forze demoniache. Una volta riuscì a rendere libero dal demonio addirittura un cammello e la bestia, guarita, Gli rese gentile omaggio. Ciechi, storpi, muti, ossessi, sempre più numerosi si rivolsero a Lui e infine ad un paralitico rivolse l'invito a muoversi con le parole di Cristo "surge et ambula" (alzati e cammina).

Ilarione fu non solo un grande asceta, ma grande peregrino. A causa della Sua crescente popolarità fu più volte costretto a cambiare luogo, per poter pregare in solitudine. I suoi fedeli non avrebbero voluto farLo partire, ma il Nostro eremita, cosa a Lui non difficile, minacciò lo sciopero della fame. Sicuramente molti digiunatori moderni possono trovare in Sant'Ilarione un loro antico predecessore,un autentico antesignano, e perché no! potrebbero assumerLo come"Santo Protettore". All'età di 63 anni si spostò in Egitto. Prima vagò nel deserto alla ricerca della tomba di Sant'Antonio, poi si recò nel Bruchium, presso Alessandria, quindi sempre più in occidente, nel deserto libico, per poi passare da isola a isola, in Sicilia, a Pachino, dove dimorò per un periodo di tempo.
Ivi raggiunto dal Suo discepolo Esichio, con quest'ultimo si spostò verso terre, dove pensava che il Suo nome risultasse estraneo; quindi, raggiunse la Dalmazia per poi finire nell'isola di Cipro.
In questa terra sempre il Suo fedele Esichio riuscì a trovare un rifugio inaccessibile sopra aspra montagna. A ottant'anni, durante un'assenza del discepolo, Ilarione morì. Sempre San Gerolamo, così preciso nella lunga descrizione della vita del Santo cita le Sue ultime parole "Egredere, quid times? Egredere, anima mea, quid dubitas? Septuaginta prope annis servisti Cristo, et mortem times?" ("Esci, che cosa temi? Esci, anima mia, perché sei incerta? Per quasi settant'anni hai servito Cristo, e hai paura della morte?"). E ancora San Gerolamo con un certo effetto conclude "In haec verba exhalavit spiritum". Questo quanto riporta lo storico di Stridone ma intorno al Nostro Santo numerose sono le leggende che fiorirono anche presso di noi.

A un'epoca molto remota si fa iniziare il suo culto in Castelvetere-Caulonia, anche se non è dato sapere a quando esso risalga. Tuttavia, in un decreto, riportato dal Prota, Monsignor Pinto, Vescovo di Nicotera, il 22 ottobre 1629, dichiarò Ilarione "Protettore" della nostra città. A conferma di ciò, un'epigrafe conservata a destra dell'ingresso della cappella di Sant'Antonio e datata 1637, in gran parte volutamente abrasa, compare il titolo di "Patrono" riconosciuto al Nostro Santo.
E' difficile sapere quale "damnatio memoriae" l'abrasione dell'epigrafe abbia voluto nascondere, ma essa oggi ci documenta il titolo del Nostro Santo a quel periodo e ci fa avanzare l'ipotesi che la cappella dedicata, oggi, al Santo di Padova doveva essere probabilmente quella consacrata al Nostro Asceta prima di essere sistemato nell'abside della navata destra della Matrice.
Tale edicola decorata con stucchi e marmi in stile neo-gotico ospita con ogni probabilità la statua del Santo fin dal 1890, come riporta la data posta sopra la nicchia chiusa da grande sportello con vetrata.
Sempre il Prota, risalendo a Padre Fiore, afferma che il culto di questo importante esponente del monachesimo orientale sia stato introdotto presso di noi dal Suo discepolo Esichio. Ben presto l'amore della gente di Caulonia verso il suo Santo fu grande, tanto che non si trovava famiglia presso cui il Suo nome non fosse portato da qualcuno e numerose fiorirono le leggende.

Ancora oggi le storie riguardanti il Nostro Santo sono vive e piene di mistero. Il grande fascino della leggenda consiste nel saper conservare nel tempo il suo smalto; C. Alvaro affermava "O leggende, aromi e fiori della storia, chi mai potrà distruggervi?"
Per tale motivo ogni saga, poiché si dimostra inattaccabile dalla confutazione è più adatta a superare l'esame del tempo. La fantasia popolare ricorda come l'Anacoreta avesse scelto quale luogo di preghiera un posto a valle della fiumara Allaro, dove consumava un pasto quotidiano di tre bucce di lupini trasportate dalla corrente del fiume nel quale erano cadute dal non certo lauto pasto di San Bruno, monaco fondatore dell'Ordine Certosino, stanziato più a monte presso la sorgente dell'Allaro.
Tale storia è tanto amata da essere accettata acriticamente da ogni fedele anche quando si fa notare che i due santi sono vissuti in epoche molto lontane tra loro, essendo il primo morto nell'anno di grazia 371, e San Bruno, invece, rendeva l'anima a Dio nell'anno 1111.
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Parte seconda >>  

 

Novene, scampanii, suoni e canti per Sant'Ilarione Abate
ovvero

Credenze e preparativi per il Santo Patrono

di Gustavo Cannizzaro
www.caulonia2000.it - Febbraio 2002



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