Questa sezione raccoglie scritti, articoli, storie, usi e costumi
della tradizione cauloniese

           

 

 

 

 

 

 

 

 

 





La cultura popolare è stata sempre strumentalizzata dalla classe dominante al fine di soffocare qualsiasi impulso alla lotta, assicurando così ai dominatori il poter esercitare il loro dominio. Le <<parti>>che siamo riusciti a recuperare si limitano ad un numero di cinque.
In un primo momento, ci è sembrato che molti nostri concittadini fossero in possesso di parecchi testi, ma poi è risultato, nella maggioranza dei casi, che si trattava di pochi frammenti scritti o ricordati a memoria. In effetti nessuno si è mai assunto il compito di conservare nel tempo tutto questo patrimonio culturale irrimediabilmente perduto. Questo dato di fatto purtroppo, ci dà una visione parziale dell'oggetto in esame.

Le cinque farse, come si è già detto, sono da datare nella prima metà del Novecento e solo di una si conosce l'autore; esse fanno parte di quella produzione strutturata in monologhi, dialoghi e canti con accompagnamenti musicali (chitarra, armonica a bocca, fisarmonica).
In genere nelle <<parti>>il verso maggiormente usato era l'endecasillabo, verso che permetteva, all'atto del recitare, di partire con una forte accentuazione della voce per poi scendere con l'abbassamento del tono, quindi risalire e ad un attento ascolto era possibile riconoscere il ritmo della nostra parlata (parlata cadenzata), pur se in forma esagerata.

I versi destinati al canto erano ottonari, i più musicali della metrica italiana. Il fatto che il "fidanzamento", con conseguente matrimonio fosse l'argomento preferito, avvicina le nostre farse al <<bruscello>>toscano e all'antico uso di annunciare il fidanzamento a scopo propiziatorio in occasione del carnevale. Per tradizione i personaggi delle <<parti>>cauloniesi erano interpretate da uomini; alle donne era sconveniente partecipare attivamente a queste rappresentazioni, ma in questi casi si trattava sempre di donne di facili costumi.

I <<Mascarati>>delle nostre farse non adoperavano mai le maschere, recitavano a viso scoperto. Gli interpreti dei personaggi maschili erano soliti dipingersi il viso con dei tappi di sughero bruciato, con i quali accentuavano di nero le sopracciglia, le basette e, con la stessa tecnica, si dipingevano baffi e barba. I <<mascarati>>, in genere, avevano la testa ricoperta da finti capelli di stoppa e gli abiti che indossavano servivano a farne riconoscere a prima vista dagli spettatori il grado, e possibilmente il carattere dei personaggi. Anche i personaggi femminili si presentavano con il viso truccato: gli zigomi avevano due pomelli rossi e le labbra erano dipinte dello stesso colore. Per questa operazione, si adoperava la carta velina rossa, in seguito si preferì il rossetto.

Sulle guance appariva sempre dipinto qualche grosso neo. Pure in questo caso era la stoppa a dare l'idea dei capelli, mentre la testa poteva essere coperta da un fazzolettino o da un cappellino, a seconda che il personaggio rappresentasse una contadina o una donna della borghesia.
Ci siamo chiesti il perché dell'uso costante della parrucca di stoppa e per le maschere femminili e per quelle maschili. Se i "mascarati" avessero usato la maschera si sarebbe potuto supporre che la parrucca fosse stata uno degli accessori adoperati ai fini di celare i loro connotati somatici.

Se invece fosse stata usata esclusivamente dai personaggi femminili, ed essendo costoro interpretati da soli uomini, il motivo sarebbe potuto essere questo: l'imitazione dei capelli lunghi da donna. Per cui è da pensare che essa non fosse se non il misero riadattamento della raffinata parrucca settecentesca.
La stoppa, dunque, unitamente all'uso del neo, del quale abbiamo anche fatto cenno, potrebbe essere uno degli infiniti esempi di prodotti o modelli della cultura egemone che sono passati successivamente a quella popolare.

Continuando il nostro discorso sui <<mascarati>>, è ancora da dire che gli attributi muliebri nelle corrispondenti maschere erano molto evidenziati; ciò potrebbe rispondere all'ideale femminile delle nostre classi popolari, secondo cui l'esser grasse e paffute equivaleva a bellezza ed era sinonimo di salute fisica, comprensibile questo in un ambiente dove un sano nutrimento era un grosso problema. Inoltre gli psicologi potrebbero vedere a riguardo appetiti sessuali repressi tipici di classi legate a certi valori morali e religiosi.
I <<mascarati>>avevano un modo vistoso di recitare: grande uso facevano delle braccia, con particolare mobilità degli avambracci e delle mani, che muovevano con ampi gesti, insieme al tronco e agli arti inferiori, che piegavano ad elastiche movenze.La mimica facciale buffonesca è di una espressività tutta esteriore (l'espressività interiorizzata appartiene al genere di teatro psicologico);

per cui il riso ed il pianto, esplicazione dei due stati d'animo essenziali nelle forme elementari di teatro, erano simulati attraverso ampie smorfie ed accompagnati da un tono sguaiato della voce.

 

 



Travestimenti, parrucche di stoppa, rossi pomelli,
neri mustacchi e maiali uccisi;
ovvero
periodo di Carnevale a Caulonia
di Teresa Giamba e Gustavo Cannizzaro
www.caulonia2000.it - maggio 2002


Top


Copyright © 2000 Caulonia 2000 per continuare a cambiare - Tutti i diritti riservati