per stringere accordi con l'imperatore Giuseppe e che per
effetto della sua presenza si convertirono « più
eretici e protestanti e molti peccatori ». Ma infine
prevalendo il suo innato scetticismo di cui abbiamo già
dato una prova, appone un post-scriptum per fare questa considerazione
: « Se l'accordo e composizione sia trovata o se sia
vera, non so; si dice bensì che il Papa fece una tal
mossa per ispassarsi e per vedere i suoi nella sua Patria
Cesena e ciò si dice dai malcontenti »! E dopo
questo prete cronista, ricordiamo di sfuggita i sacerdoti
Ignazio Siscara (39) che era un valente musicista in un paese
dove non ci fu mai, almeno, per il passato, una tradizione
musicale e Nicola Lombardo (40) che ebbe fama di buon poeta
e di persona dotta. Chiudo questa brevissima rassegna sui
religiosi di Castelvetere con un accenno al convento di clausura
delle monache di Valverde che era caro a tutti i cittadini,
specialmente al ceto dei nobili, perché molte religiose
appartenevano alle loro famiglie. Le Badesse erano considerate
alte autorità religiose e difendevano con accanimento
le prerogative e i privilegi delle loro monache ed anzi una
di esse sostenne delle lotte formidabili col vescovo di Gerace
alla cui autorità riuscì a sottrarsi abilmente
nel 1692 per passare sotto la giurisdizione del vescovo di
Squillace (41). Era una clausura per modo di dire perché
le monache si tenevano a contatto con tutta la vita cittadina
alla quale partecipavano con discrezione o direttamente o
per interposta persona (42) : questo avveniva perché
avevano fa_
_____________________
(39)
LIB. MORT. S. SILV. & BARB. 1697, f. 26,
(40)
LIB. MORT. S. SILV. & BARB. 1733, f. 92.
(41)
Rossi » Op. cit. pag. 337. Questa è la ragione
per la quale in quel protocollo del notaio Lucano del 1698,
riportato dal Prota a pag. 134, questi dichiara di stipulare
l'atto con l'autorizzazione del vescovo di Squillace. Il Prota,
a cui la notizia era sfuggita, si meravigliava del fatto e
pensava a « qualche espediente straordinario ».
(42)
LIB. BAPT. S.M.M., f. 275. Con atto del Notaio Apostolico
D. Pietro Papastrati del 28 genn. 1669, allegato al libro
dei battesimi, la suora del Convento di Valverde Elisabetta
Protospataro delega la suora laica (o bizzocca, come si diceva)
Giovanna Buscemi a tenere al fonte battesimale un bambino
figlio dei coniugi d'Arena; firma con segno di croce. Vedi
pure documenti analoghi in LIBRO BAPT. S. ZACH. Vol. II, f.
26 e agli anni 1718 e 1721.
coltà
di ricevere a loro talento i parenti di primo e secondo grado,
le serve delle proprie famiglie, i medici, i salassatori,
i facchini, i portatori di legna, grano, provviste, ecc. A
proposito di me-
dici del convento, il Canonico Oppedisano (43) riporta una
querela diretta al Pontefice da parte di alcuni nobili di
Castelvetere con la quale si accusava il medico Paolo Antonio
Arena di prestare abusivamente la sua opera al Convento delle
monache di Valverde da più di trent'anni « fingendosi
medico privilegiato », ma senza averne il privilegio
e incorrendo così nelle censure dei
S. Canoni : tra i firmatari vi è pure Antonio Onorato
Sergio, la qual cosa dimostra, se si tratta di quel medico
di cui abbiamo parlato, che le lotte e le denigrazioni fra
colleghi non sono una cosa nuova!
* * *
Mentre dunque la parte più
intelligente e più intraprendente del popolo si elevava
alla conquista delle alte posizioni sociali, il popolo minuto
costituito dai contadini nullatenenti viveva una vita molto
difficile e non sempre riusciva ad assicurarsi il sobrio vitto
quotidiano per sè e per la famiglia col lungo lavoro
di una intera giornata. Le abitudini spartane del nostro popolo
nei secoli scorsi sono rimaste proverbiali: vestiva un rude
e grosso panno di lana di produzione locale, molto simile
all'orbace sardo, o il rozzo fustagno tessuto in casa e andava
a piedi nudi gran parte dell'anno. Si cibava di pane nero
o addirittura di pane di granturco. La giornata lavorativa
avrebbe dovuto essere retribuita, secondo i bandi della Corte
Baronale (44), con grana 15 o con due carlini al giorno a
seconda delle stagioni, poichè essa cominciava all'alba
e finiva al tramonto : ma subiva abitualmente delle notevoli
decurtazioni dovute all'esuberanza della mano d'opera, alla
scarsezza del danaro circolante e alla naturale avarizia dei
proprietari. Ciò non pertanto con quei pochi centesimi
si riusciva a vivere dato l'alto potere d'acquisto
_____________________
(43)
OPPEDISANO - Op. cit., pag. 255.
(44)
Regolamento di Carlo Maria Carafa per i suoi sudditi.
della
moneta. Si pensi che un quintale di grano costava appena 15
carlini ed anche meno, ma d'altra parte erano un vero disastro
le frequenti annate di grande carestia rimaste famose negli
annali della Calabria, come quelle del 1560, 1569, 1607, 1648,
1672 ecc.. e quelle più recenti del 1764 e del 1816
in cui il grano saliva al prezzo di quattro ducati al tomolo,
cifra fantastica per quei tempi in cui, come abbiamo visto,
lo stipendio di un medico era di poco più di due ducati
al mese. Particolarmente grave fu la carestia del 1672 nel
qual anno dice P. Fiore (45) « che per rattemperarne
la rabbia, furono praticate cose mai più per l'indietro
costumate a mangiarsi ». La periodicità delle
carestie era ancor più inasprita dalla mancanza delle
vie di comunicazione e, sopratutto, dal disinteresse delle
autorità governative che non si curavano minimamente
di distribuire la produzione in modo da supplire alle deficienze
di una regione con le eccedenze di un'altra. In quell'epoca
si può dire che molti paesi interni vivevano col mercato
ed i prodotti locali; e non solo di viveri, ma anche dei prodotti
industriali. Gli oggetti di ferro, le armi di acciaio, ecc..
ci venivano dall'artigianale di Serra S. Bruno fino alla metà
dell' '800, ferro che era anch'esso di produzione locale ed
egualmente avveniva per il legname (46). In Castelvetere l'artigianato,
ad eccezione dei sarti e dei calzolai, era in proporzioni
molto ridotte e rudimentali. I fabbri ferrai, per esempio,
si limitavano a fare serrature, chiavi, chiodi e, sopratutto,
ad aggiustare le numerose armi che esistevano nel territorio,
giacché dopo i due sanguinosi assedi che la città
subì da parte dei turchi nel 1584 e nel 1624, si fece
obbligo a tutti i cittadini maschi dai 15 ai 60 anni a star
« provvisti di armi, palle, polvere e miccia e pronti
ad attendere alla difesa della Patria» nonché
«ad
_____________________
(45)
FIORE -Calabria fortunata. Appendice : Di alcuni avvenimenti
ecc..
(46)
LIB. BAPT. S. ZACH. Vol. V, in fine. Annotazioni del Parroco
Lamanna. « A decembre 1797 mi convenni con M.tro Francesco
Antonio di Francesco della Serra per cento tavole per la soffitta
della chiesa spianate e incassate a grana quindici l'una e
li diedi docati quindici oltre de' viaggi che vadino a conto
mio ». Seguono altre annotazioni del genere
nello stesso luogo.
ogni
avviso di campana all'armi e tocco di tamburo uscire armati»
(47). Dai libri parrocchiali infatti notiamo da quella epoca
in poi un gran numero di delitti di sangue per arma da fuoco
(« ictu sclopi » come annotavano i parroci) appunto
per questa diffusione delle armi a portata di mano e che naturalmente
chiudevano alla spiccia ogni questione particolarmente violenta.
Inoltre vi era un presidio di una trentina di soldati a piedi
e a cavallo, una parte del quale si avvicendava in servizio
di vedetta alla torre posta alla marina (48) e nel Castello
esisteva una ricca e ben fornita armeria. Abbondanza di armi,
dunque, e gran lavoro per gli armaioli alcuni dei quali si
trasmisero l'arte di generazione in generazione fino ai giorni
nostri: la famiglia Miriello, per esempio, è ricordata
negli atti parrocchiali da oltre due secoli come «rnagistri
ferrari». Particolarmente importante era in Castelvetere
l'industria della seta che ebbe un periodo di grande floridezza
favorita com'era dalla grande quantità di gelseti vegetanti
rigogliosamente sulle sponde dei suoi fiumi. « Si fa
gran copia di sete — dice P. Fiore nella sua opera più
volte citata — e per alimento dei vermi vi sono copiosissimi
giardini di gelsi bianchi e neri ». Oggi sono tutti
scomparsi sostituiti, quando l'industria decadde, da piantagioni
di agrumi. L'allevamento dei bachi sarebbe stato una vera
fonte di ricchezza se non fosse stato angariato da tasse e
da balzelli gravissimi che con l'andar del tempo finirono
con lo scoraggiare qualsiasi iniziativa. Si pensi che in Calabria
da un dazio iniziale di cinque grana su ogni libra di seta
si andò a finire nel 1640 a 60! Ai tempi del Fiore
il regio fisco, solo dalla Calabria, cavava un tributo di
ben 2oo.ooo ducati e per ogni lavoro pubblico che si
_____________________
(47)
Regolamento di C. M. Carafa ecc.. _
(48)Questo
servizio di vigilanza istituito nel 1550 durò molto
a lungo, anche dopo che il pericolo delle incursioni barbaresche
era scomparso. Cadde in disuso a poco a poco è probabilmente
verso gli ultimi tempi serviva solo per la repressione del
contrabbando. Durava ancora Certamente nel 1768 perchè
in un atto di morte è ricordato un certo Giuseppe
Filippi denominato Sergente, valoroso soldato, « strenuus
miles », morto improvvisamente mentre faceva servizio
alla detta torre. (LlB. MORT S.BLASI & LEONIS, f. 6).
doveva fare si autorizzavano le Università o i feudatari
a ritoccare la gabella delle sete (49). In origine il monopolio
della seta era in mano degli ebrei i quali anticipavano i
capitali e scontavano poi la seta filata in via provvisoria
a quattro tari la libra, salvo poi a fare il conguaglio quando
alle fiere estive veniva fatto il prezzo definitivo o la «
voce » come si diceva (50): era un sistema pratico e
corretto che diede un grande impulso a questa industria redditizia.
L'attività della comunità israelita di Castelvetere,
dove essa aveva un ghetto e una sinagoga (51), si riduceva,
finché vi abitarono, esclusivamente al commercio della
seta. Dopo la cacciata degli ebrei subentrarono al monopolio
di essa i vari feudatari sino al 1563, anno in cui, con la
prammatica del 30 luglio, il governo lo toglieva ai baroni
e si sostituiva ad essi concedendo il fitto del dazio (che
si disse con una parola allora di moda « arrendamento
>>) agli arrendatori ossia agli appaltatori, i quali
realizzavano guadagni così lauti che molti di essi
erano in condizione di sovvenzionare per somme fortissime
il governo in conto dei gettiti da venire : questo fatto fu
la rovina della fiorente industria poichè essa fu soffocata
da dazi sempre più gravosi, a misura che le esigenze
del fisco e le vessazioni degli arrendatori (protetti dal
governo, perché creditori di esso) crescevano. Non
è mia intenzione trattare dettagliatamente questo argomento
che ha avuto un'importanza vitale per la regione calabrese;
ne accenno solo per far notare che questa era la grande occasione
che la Storia ci porgeva per la completa e spontanea industrializzazione
della nostra terra, la più felice che si potesse immaginare
perchè non era bisognevole di materie prime da importare
e disponeva di un artigianato specializzato e raffinatissimo
che era arrivato a stupire il mondo con la sua perfezione:
basti ricordare i famosi velluti e gli arazzi di Catanzaro.
_____________________
(49)
Per la costruzione del grandioso castello di Cotrone, ad esempio,
furono imposti cinque grana in più alla libra su tutta
la seta calabrese. Finita l'opera, il dazio si continuò
a pagare lo tesso. V. Capitoli Cosentini del 1555.
(50)
DITO - Op. cit., pag. 295 e segg.
(51)
FIORE - Op. cit., pag. 179.
Ebbene,
questa industria che poteva rappresentare la fortuna, la ricchezza
e la civiltà, non solo della Calabria, ma di tutto
il Mezzogiorno, fu isterilita e distrutta dalla occhiuta rapina
del fisco. I disgraziati produttori lavoravano in luoghi ed
ore stabiliti dall'annotatore, che era un funzionario dell'appaltatore
e che era pagato dall'Università. Esso costava all'Università
di Castelvetere ben 34 ducati l'anno e 14 le costava il contrannotatore:
il custos custoditi! La lavorazione per poter essere ben sorvegliata
veniva eseguita tutta in una località, che ancor oggi
conserva il nome di «Manganello », sotto la solerte
sorveglianza del personale addetto e la sera le matasse filate
venivano portate al domicilio del notatore, pesate (il fitto
della bilancia costava all'Università cinque ducati
l'anno) e quindi consegnate al Castello in deposito. Quivi
i maestri setaiuoli, se avevano finito di pagare il debito
con l'appaltatore (cosa che si verifica va molto di rado)
potevano essere pagati in danaro o con l'equivalente in seta;
ma essendo severamente proibito la vendita di essa senza la
licenza dell'arrendatore, praticamente non serviva a nulla
(52). Così questa industria tradizionale decadde in
Castelvetere a misura che decadeva nel resto della Calabria
: si abbandonò prima la filatura che non poteva, antiquata
com'era, sostenere la concorrenza con le attrezzate filande
del nord e poi pian piano venne meno anche l'allevamento dei
bachi che oggi rappresenta solo un'occupazione d'eccezione
e sempre per quantità irrisorie.
* * *
Un
breve periodo di benessere ebbe il Regno di Napoli sotto Carlo
III ; fu l'epoca in cui gravi e radicali mutamenti cominciarono
a verificarsi nella compagine sociale un pò per la
maturità dei tempi, un pò per la nuova politica
iniziata da Bernardo Tanùcci, primo ministro del re.
Già abbiamo visto l'ascesa di alcuni elementi scelti
del popolo verso le caste nobi-
_____________________
(52)
Regolamento di C. M. Carafa, passim.
liari, fenomeno che in Castelvetere comincia a verificarsi
con assoluta precedenza sugli altri paesi della Calabria e
di cui bisogna andare orgogliosi al sommo grado perché
sta a dimostrare una indiscussa precocità razziale
e intellettuale del nostro popolo, sempre in continuo travaglio
evolutivo malgrado le condizioni ambientali quanto mai sfavorevoli.
Ma dopo l'avvento di Carlo III sul trono di Napoli si cominciò
a formare quel famoso terzo stato che pochi anni dopo doveva,
essere il vittorioso protagonista della rivoluzione francese;
nel resto d'Europa questo terzo stato si venne formando a
poco a poco con la borghesia nata dal commercio e dalle incipienti
industrie. Da noi invece ebbe un carattere particolare perchè
emerse da quella classe impiegatizia, numerosissima nel Regno
di Napoli, che ebbe la sua sovrana espressione in quella casta
di legali, assolutamente indispensabile in un regime che aveva
un sistema legislativo complesso e caotico perchè formato
da ben undici legislazioni che si stratificarono una sull'altra
senza mai annullarsi completamente a vicenda. Io personalmente
non condivido il severo apprezzamento formulato dal Colletta
(53) contro i legali di questo periodo storico: nessuna cosa
nasce perfetta, specialmente quando essa è espressione
di quel tumultuoso fermento che doveva poi sfociare in nuovi
ordinamenti sociali mai tentati prima d'allora. Ma è
certo che questa categoria preparò col suo sangue nel
Mezzogiorno d'Italia il Risorgimento e vinse la battaglia,
armata solo del suo pensiero, contro una tirannide vigilante
e agguerrita. La politica del Tanucci diretta contro il potere
feudale e lo strapotere ecclesiastico non riuscì a
fare piazza pulita di queste due enormi ventose della società
dell'epoca: ma bisogna anche riconoscere che i tempi non erano
ancora maturi e che certe innovazioni erano inconcepibili
e inaccettabili perfino dallo stesso popolo che ne era la
vittima e che era talmente abituato al suo malessere che non
era in condizione di individuarne la causa. Ci volle la bufera
della rivoluzione francese per creare uno stato sensitivo
nuovo, bufera che, del resto, nelle nostre regioni meri-
_____________________
(53)
COLLETTA - Op. cit,, pag. 117.
dionali arrivò solo come un lieve vento di fronda.
La politica di Carlo III mirava naturalmente a sostituirsi
al potere feudale ed ecclesiastico, ma incosciamente creò
un nuovo formidabile stato sociale che dopo un secolo aveva
già liquidata la sua dinastia. Il primo colpo forte
alla feudalità fu l'abolizione del « mero e misto
imperio » cioè del potere criminale che fu devoluto
alla corte reale ed esercitato a mezzo di un esercito di funzionari
di ogni ordine e grado facenti capo alla suprema corte di
giustizia che assommava in sè i poteri della polizia
e della giustizia. Contemporaneamente veniva stimolata la
naturale vanità dei baroni attirandoli alla corte di
Napoli dove si viveva nel fasto più dispendioso, cosicchè
le terre furono liberate da questi piccoli despoti che in
provincia potevano essere turbolenti, mentre alla capitale
venivano sorvegliati è tenuti in una dolce soggezione.
Naturalmente il primo benefico effetto di questa lontananza
dei feudatari dal loro dominio fu il miglioramento del potere
criminale che ebbe maggiore serenità e indipendenza,
liberato dall'influsso dei signori locali. D'altra parte il
lento tramonto del potere feudale con tutti i suoi privilegi
rafforzava sempre più la categoria degli intellettuali,
dei mercanti, dei commercianti, degli impiegati, ecc.., formanti
la nuova classe dirigente dell’immediato futuro.
I
feudatari di Castelvetere accorsero a Napoli tra i primi:
essi già anche precedentemente dimoravano una parte
dell'anno nella capitale del regno e durante la loro assenza
li sostituiva un vicemarchese (54) che finchè dimorarono
a Castelvetere ebbe le modeste e vaghe mansioni tra segretario
e maggiordomo.
_____________________
(54)
LJB. BAPT. S.M.M! - ff. 97 e 105. In uno di questi due atti
del 1613 viene ricordato un Magnifico Clemente, yicemarchese.
Nell'altro invece risulta chiamarsi Clemente Alaleone. Nel
1720 era vìcemarchese un certo Nicola De Franchis da
Cosenza (LTB. BAPT. S. ZACH., Vol. III, f. 31). _Dal sec.
XVIII in poi i Carafa non misero più piede in Castelvetere.
Dimoravano per brevi periodi nel Castello della vicina Roccella
come si rileva da un atto capitolare del Clero datato 1705.
Dallo stesso si desume pure che intorno a quell'epoca essi
cominciarono ad abbandonare il titolo di Marchesi di Castelvetere
per quello di Principi di Roccella (v. LIB. DEI CAPITOLI ecc..,
f. I e segg.).
Dopo
la loro definitiva sistemazione a Napoli invece amministravano
il loro territorio a mezzo di sostituti tratti dalla nobiltà
del luogo e addottorati in legge. Nel 1745, per esempio, era
Vicemarchese di Castelvetere un certo Don Domenico Falletti
da Grotteria, dottore in legge, il quale in un atto di battesimo
(55) viene definito « exercens honoratum ufficium vicemarchionis
in hac civitate aliaque gravia ministeria nostri Principis
» e viene anche ricordato che la madre di questo Falletti
era una Donna Girolima Strati di Castelvetere; e già
abbiamo visto un Musco che nel 1722 reggeva la terra di Fabrizia.
E' l'epoca in cui fioriscono in questa cittadina gli uomini
di legge la cui influenza si sente dapertutto, anche negli
atti più insignificanti della vita civile e religiosa
come lo dimostrano parecchie deleghe di battesimo che per
maggiore solennità venivano redatte per mano del notaio
(56). Cito questi atti non a caso, ma perchè essi dimostrano
che anche nel campo religioso il notariato civile, nella seconda
metà del '700, si era già completamente sostituito
a quello apostolico, mentre ciò non avveniva in quel
caso del 1669 già ricordato. Tutti questi professionisti
e intellettuali diffondevano il gusto della cultura e dei
costumi della capitale dove essi avevano dimorato per attendere
agli studi: si ricordi che allora vi era solo lo studio di
Napoli e una specie di sezione distaccata per gli studi giuridici
a Catanzaro che, del resto, fu sempre un centro intellettuale
di prim'ordine. Cominciavano a circolare i libri, prima assai
rari, e molte famiglie avevano delle
_____________________
(55)
LIB. BAPT. SS. SILV. & BARB., f. 58.
(56)
LIB. BAPT. SS. SILV. & BARB., Vol. IlI is fine. La gentildonna
Rosa Mannacio, protestandosi ammalata e impossibilitata recarsi
in chiesa, delega altre persone a sostituirla « con
osservare tutte quelle cerimonie solite praticarsi giusta
il rito di S.R.C.; e con far tutto ciò che far io potessi
se fussi presente, a qual effetto le dò tutta la facoltà
bastante e prometto di aver tutto rato... ». I documenti
sono redatti dal Notaio Tommaso Argirò e portano la
data del 1764 e 1765: essi sono molto interessanti, non solo
per l'ampollosità dello stile e la prolissità
dei dettagli assolutamente inadeguati all'importanza e allo
scopo dei documenti, ma sopratutto perchè presentano
in calce delle bellissime marche tabellioniche disegnate a
penna con finissima fattura.
discrete
biblioteche. Una nuova atmosfera vivificava quell'ambiente
da medioevo che l'ordinamento feudale, agonizzante sì,
ma duro a morire, tentava ostinatamente di mantenere ed i
cui ultimi guizzi, nella nuova mentalità che si andava
formando, venivano ora considerati non più atti di
sovrana giustizia o di legittimo potere, ma insopportabili
sopraffazioni che aprivano sempre più l'irreparabile
frattura formatasi tra i cittadini di un paese ormai evoluto
e la mentalità disperatamente anacronistica di un padrone
esasperato. Un episodio molto significativo, che noi possiamo
cogliere nella sua immediatezza da un testimonio oculare,
rivela questo particolare stato d'animo: una domenica dell'autunno
del 1754 i due fratelli Musco, mentre si trovavano in piazza
vengono uccisi dalla sbirraglia del Principe di Roccella.
Le parole non sono mie, ma si trovano nell'atto di morte da
cui trapela tutto lo sdegno della popolazione rimasta stupefatta
dinanzi all'enormità della rapida ed inutile tragedia.
Ma val la pena di riferire la traduzione letterale di questo
atto di morte che è il più impressionante e
il più commovente della raccolta:« L'anno millesettecentocinquantaquattro,
il ventinove del mese di settembre, il Dottore in legge e
Barone Don Ilario Antonio Musco e Don Domenico Antonio Musco,
entrambi fratelli, il primo non ancora di trentadue anni ed
il secondo di trent'anni circa, della mia Parrocchia di San
Zaccheria di questa Città di Castelvetere, pur avendo
vissuto con bontà, con onestà e lodevolmente
lontani da ogni scandalo, nella Piazza di questa stessa Città
di Castelvetere nello stesso giorno, tempo, ora e momento
furono trucidati, con grande scandalo e stupore del popolo,
dagli iniqui e inumani satelliti del Principe di Roccella
i quali, come dice S. Gerolamo il più vecchio degli
scrittori ecclesiastici, diventano sempre peggiori. Pertanto
con licenza del Rev. Vincenzo Taranto U. J. D. e dell'Abate
D. Carlo Zarzaca, dal quale non hanno potuto ricevere i Sacramenti,
ho recato la assoluzione accompagnato da tutto il Clero regolare
e da tutti i Religiosi e col concorso di tutta la cittadinanza
e con lagrime e con pianto di tutto il popolo, deplorata la
loro morte innocente, le loro salme furono trasportate processionalmente
nella Chiesa di Santa Caterina V. e M. di jus patronato degli
stessi Signori
Musco ed il giorno seguente fu data loro ecclesiastica sepoltura
nella stessa Chiesa. Io, Abate D. Giuseppe Talotta, Parroco
di San Zaccheria, di propria mano sottoscrissi» (57).
Per
quante ricerche abbia fatto non mi è stato possibile
trovare i motivi che indussero il Carafa o il suo rappresentante
a commettere il crimine, anzi si direbbe che intorno ad esso
fu volutamente disteso un tragico velo di silenzio e che sarebbe
rimasto completamente ignorato senza le concitate parole sgorgate
dal cuore addolorato del buon sacerdote, ma è agevole
supporre che i due giovani Musco nobili, colti, ricchi e benvoluti
dalla popolazione, dimostrassero una fastidiosa indipendenza
proprio in quel delicato periodo in cui i baroni perdevano
terreno di giorno in giorno e cercavano con atti di forza
di mantenere le loro posizioni. La strage non sembra che abbia
avuto conseguenze serie : forse lo scandalo fu soffocato a
Napoli dove i Carafa erano molto ben visti a Corte. Il Barone
Musco lasciò quattro bambini in tenera età,
il primogenito dei quali, Nicola Antonio, lo troviamo poi
sindaco dei nobili nel 1780 che fa battezzare col su'o nome
un trovatello (58).
*
* *
Abbiamo
visto che la popolazione di Castelvetere viveva, come del
resto quasi tutti i paesi della Calabria, esclusivamente dei
prodotti della sua terra. Anzi riusciva ad esportare il supero
della sua produzione in olio che veniva assorbita da mercati
relativamente lontani: nel 1841 trovo ricordato un uomo di
Radicena che era venuto a Castelvetere «ad emenda olea
» (59), ma di regola qualsiasi tentativo commerciale
cozzava contro la grande difficoltà delle vie di comunicazione,
scarse e malsicure,
____________________
(57)
LIB. MORT. S. ZACH. Vol. II, f. 40.
(58)
LIB. BAPT S. ZACH., Vol. V, f. 38. Questo atto di battesimo
ri
guarda un bambino « repertum extra moenia huius civitatis
» al quale fu dato il nome di Nicola Pietro «
et quia sindacus est D.s Nicolaus Musco, idem cognomen Musco
fuit impositum ».
(59)
LIB. MORT. S. ZACH., Voi. IV, f. 2.
e degli esosi dazi di entrata. Chi vuole avere un'idea della
dissennata politica commerciale di un secolo e mezzo fa legga
e mediti la « Protesta » dei Settembrini.
Salvo
i periodi di grande carestia le derrate del territorio, integrate
nella loro lieve deficienza di grani col supero della vicina
Riace, bastavano a sufficienza ai bisogni della cittadinanza
la quale non risentì grandi danni dalle periodiche
carestie e in particolar modo da quella famosa del 1763 in
cui si verificarono delle scene terrificanti di cui oggi non
abbiamo nemmeno la idea (60). Nemmeno dalle frequenti pestilenze
che aflflissero il Regno di Napoli la città risentì
alcun danno apprezzabile, giacchè, almeno dal 1681
(cioè dall'epoca in cui esistono i primi libri parrocchiali
dei morti) non si trova registrata alcuna punta eccezionale
o comunque insolita di mortalità. Forse la sua posizione
elevata, la facilita di isolare l'abitato con la chiusura;
delle porte e l'accurato controllo di esse, valsero a renderla
immune anche dalla famosa pestilenza del 1743 che desolò
le città di Reggio e di Messina. Invece una funesta
epidemia di vaiolo si ebbe nel 1789 che si trascinò
con vari periodi di recrudescenze sino al 1796: essa costò
complessivamente oltre quattrocento morti in massima parte
bambini, il che ci fa supporre che gli adulti godessero di
una certa immunità acquisita per precedenti infezioni
di cui però non resta traccia nei libri parrocchiali.
:
Non
sembra che in quel periodo siano state prese particolari misure
sanitarie, giacchèil seppellimento avveniva regolarmente
nelle chiese e senza alcuna eccezionale precauzione, fatto
tanto più strano in quanto le autorità sanitarie
locali erano abitualmente molto vigili e in tutte quelle occasioni
in cui i cadaveri potevano sembrare pericolosi per la sanità
pubblica, i funerali venivano proibiti e il seppellimento
avveniva fuori della città (61). Tuttavia anche nei
periodi normali l'indice di mortalità
____________________
(60)
SPANO' BOLANI - Qp. cit., Vol. II, pag. 104; COLLETTA - Op.
cit., • Lib. II, cap. VI.
(61)
LIB. MORT. S. M. M. f. Ili . 10 giugno 1789. Un certo Giuseppe
Caristo trovato ucciso in campagna per colpo d'arma da fuoco
dopo parecchi giorni dalla sua morte, siccome « ob putredinem
» non era con-
era
molto elevato: nella metà del sec. XVI esso superava
il 40 per mille della popolazione, per ridursi via via al
30 per mille ai primi del '900, sino alle cifre odierne del
16,50 per mille. Tale, mortalità fu però sempre
compensata abbondantemente dalla natalità mólto
elevata che consentì un costante aumento della popolazione
che dal '700 ad oggi si è più che raddoppiata.
Là mortalità infantile incideva fortemente (come
del resto incide ancòr oggi sebbene ih proporzioni
minori) sul numero com_ plessivo dei morti: i decessi dei
minori di dieci anni nelle stagioni particolarmente sfavorevoli,
o perché troppo calde o per epidemie gàstro-enteriche,
raggiunsero in certe annate quasi il yo per cento; un~a vera
ecatombe di bambini! Ho avuto modo ,di consultare i registri
parrocchiali della frazione di Foca, posta in marina e all'epicèntro
delle maremme di Caulonia, regi-stri che vanno dal 1853 al
1882 ed ho avuto l'amara sorpresa di constatare che in quel
disgraziato villaggio, devastato dalla malaria, in un periodo
di trent'anni si sonò vèrificati solo tredici
decessi di persone Superiori ai 60 anni: la maggior parte
dei morti èrano tutti giovani dai 15 ai 30 anni! Ciò
non pertanto con una ostinata volontà di resistere,
la mortalità è stata tamponata, con quasi il
doppio delle nascite.- .
Molto
interessante è lo studio delle cause di morte che il
più delle volte sono riportate o per naturale esattezza
dei parroci o per necessità rituali: le morti repentine,
ad esempio, il vomito, l'erriatenìesi ecc.I sono sempre
annotati per giustificare la mancata somministrazione dei
Sacramenti. Per la stessa ra-gione sono ricordati i moltissimi
casi di epilessia, di apoplessia e di difterite; di quest'ultima
anzi, a quanto pare, vi fu una piccola epidemia nel 1709 (62)
e qualche caso sporadico di cui qua e là sì
trova sempre il ricordo. Caratteristico è quello ricordato
nel 1733 in Cui il parroco annota con una maligna pun-tafella
d'ironìa che il malato morì «In manibus
chirurgi » (63).
____________________
sigliabile trasportarlo in..città, « a satellitibus
huius Curiae sepultum est ibi iri sopradicta posessione ».
(62)
LiB. MORT SS. SILV. & BARB, Vol. I, f. 49 e segg. "
(63)
LIB. MORT. SS. SILV. & BARB., Vol. I, f. 91.
Non è questa l'unica volta, del resto, che i compilatori
degli atti parrocchiali fanno dello spirito alle spalle dei
medici : troppo spesso anzi troviamo segnato «obiit
incognito morbo », dizione che suona indubbiamente come
una rampogna alla incapacità dei medici di formulare
una diagnosi, ma il colmo mi pare il caso ricordato da un
parroco il quale ci tiene a farci sapere che un suo fedele
era, sì, ammalato, ma non gravemente « juxta
peritiam medicorum » ed invece soccombette improvvisamente
solo dopo poche ore! (64) E' insomma la conferma del «judicium
difficile» di Ippocrate.
Per
il resto la morbilità di Castelvetere non differiva
gran che da quella di oggi: le solite epidemie influenzali
falciavano i vecchi nei mesi invernali e le solite febbri
tifoidi, nei mesi estivi, facevano strage di bambini e di
giovani, essendo gli adulti pressochè immunizzati da
precedenti infezioni superate. La tubercolosi doveva essere
molto più diffusa dei nostri tempi, perchè troviamo
moltissimi casi di morti per malattie lunghe ed esaurienti
che i parroci mettevano nella dovuta evidenza senza tuttavia
specificare per ovvie ragioni: «obiit annoso et exhauriente
morbo», «longa aegritudine corrumptus obiit»,
«post longam perpessam aegritudinem obiit » queste
erano le eufemistiche espressioni degli atti di morte, ma
qualche volta nel giro di pochi mesi vediamo mietute intiere
famiglie (65). Forse in queste tragedie famigliari entravano
in ballo le precarie condizioni igieniche delle abitazioni
e dell'alimentazione, tanto vero che nelle carceri del Castello
si verificavano di tanto in tanto delle crisi di mortalità
tra i poveri detenuti (66). E dire che l'Università
era tenuta a pagare alla corte baronale le spese di detenzione!
Anche dopo il terribile terremoto del 1783 che costò
alla città un centinaio di morti, la perdita di molti
edifizi, delle sue belle mura merlate e dei suoi imponenti
baluardi, in un attendamento fuori della città dove
molti cittadini si rìfugia-
(64)
LIB. MORT. S. ZACH., Vol. Il, f. 11.
(65)
Esempio tipico quello di una famiglia Alvaro distrutta tra
il settembre e il dicembre del 1755. (LiB. MORT. S. THEOD.
ad An.).
(66)
LIB. MORT. S.M.M., An. 1741.
rono si dovette probabilmente verificare un focolaio di febbri
tifoidi, perchè moltissimi sono i decessi ricordati
« in tentorio in agro S.i Antoni » in quel mese
di agosto (67).
Per
quanto riguarda l'infortunistica del passato essa non presenta
particolarità diverse da quelle odierne dato che non
è cambiato sostanzialmente il sistema di vita; quindi
troviamo le immancabili vittime dei lavori agricoli (cadute
degli alberi, annegamenti nei fiumi in piena, ecc..) e i soliti
infortuni specifici professionali. Frequenti, come abbiamo
già visto, i delitti a mezzo di armi qualche volta
per motivi di onore o per vendetta, altre volte per rapina
(68), sebbene la giustizia regia non avesse nulla da invidiare
per ferocia a quella feudale e la pena capitale data con infamia
a titolo di esempio fosse all'ordine del giorno (69). Infine
ritengo importante osservare che estremamente rari sono i
casi di suicidio, la qual cosa dimostra l'equilibrio morale
del nostro popolo dedito più alla conservazione materialistica
della difficile vita quotidiana che allo sterile e tormentoso
travaglio spirituale. Questo materialismo trova la sua più
brutale espressione in quel povero diavolo che nel 1755 morì
strozzato da un grosso boccone di carne che egli cercava avidamente
di trangugiare! (70)
* * *
Confesso
francamente che scorrendo l' « Apprezzo di Polistena
» compilato dal Cancelliere Caravita e dal Tabulario
Sa-
____________________
(67)
LIB. MORT. S. ZACH., Vol. III, f. 30 e segg.
(68)
LIB. MORT. S.ZACH., Vol. IV, f. 4, Il 18 agosto 1831 fu ucciso
per rapina un certo Soriano, « aurifex » della
vicina Gioiosa.
(69)
LIB. MORT. SS. SILV. & BARB., Vol. II, f. 84. Viene ricordato
un deliquente che fu giustiziato « per manus ministrorum
Regiae Audientiae Proyincialis; eius corpus, reciso capite,
in abolito convento RR. PP. Agostinorum positum est. Caput
vero in triumphum delatum per loca est
et hic restituturn, in Porta Majori huius Civitatis positum
est in monimentum.. »
(70)
LIB. MORT. S.M.M., f. 51 « ..in acto quo carnem comedebat,
in gutture eius conglutinata remansit et magna vi nitebatur
vel intus immittere vel eam foras expellere et eoque conatu
repente animam exalavit.. ».
batino nel 1669 (71), son rimasto molto sorpreso nell'apprendere
che « le persone ordinarie (di Polistena) dormono sopra
paglierini e materazzi di lana con Padiglioni seu sprovieri
di tela bianca, e li civili e quelli che hanno commodità
dormono sopra materazzi di lana con trabacche e cortine di
capricciole e seta...». I nostri popolani non si sono
mai sognati tali lussi ed il loro giaciglio è stato
sempre un pagliericcio di fruscianti foglie di granturco con
lenzuola di ruvido lino casalingo se non addirittura di ginestra.
Altro che sprovieri di tela bianca! Ma studiando attentamente
la relazione sopradetta si capisce subito che è un
trucco perpetrato nell'interesse del regio fisco che doveva
appaltare la terra ad un feudatario, poichè tra le
righe ogni tanto scappa fuori una notizia che denota l'estrema
miseria dei cittadini: un paese infatti che presenta «strade
quasi piane camminando per le quali si trovano gran quantità
di case dirute per causa della scarsezza dei vassalli»,
un paese, dico, che ha un palazzo baronale che è piuttosto
una spelonca con pavimenti provvisti solo di vecchie tavole
traballanti e senza soffitti, non può essere un paese
ricco ed i suoi abitanti non possono avere le lussuose comodità
descritte dai due furbi legali per dimostrare un benessere
mai esistito. Perchè (ed è bene convincersi
di questa amara constatazione) non è mal esistito alcun
benessere econemico in nessuna terra di Calabria : la ricchezza
di un popolo non è costituita dalla ricchezza singola
di un Iimitatissimo numero di persone, ma dalla larga distribuzione
in superficie della ricchezza media.
Insisto
su questo tema perchè esso contiene « in nuce
» quella che sarà poi la famosa questione meridionale.
Non
mancarono, è vero, dei fugaci periodi di benessere
in regioni limitate e per particolari circostanze come, ad
esempio, nel sec. XV a Catanzaro in cui per frenare il lusso
smodato il Centelles si vide costretto a proibire che «
nessuno, fosse huomo o Donna di qualsiasi conditione portasse
vesti di seta ..» (72),
____________________
(71)
Riportato in VERRINI: - Per !a rivendica del territorio di
Polistena
aggregato a Casalnuovo; Polistena, 1932. In appendice, Allegato
C.
(72)
AMATI . Memorie historiche di Catanzaro, pag. 109.
ma erano i tempi d'oro di questa industria e soltanto ih Catanzaro
per « l'arte della sita et altri magisteri di sita sin
ad hoge son più cincocento telari » (73) che
divennero più di mille nel 1669 e che assorbivano settemila
lavoratori, ovverosia la metà circa dell'intera popolazione
della Catanzaro di quei tempi. «Da questa industria
- dice l'Amati - cavano i cittadini non ordinario guadagno,
poichè dapertutto, infino alle Spagne, in Francia,
in Inghilterra et in Venetia tramandandosi queste tele, entra
nella città giornalmente il danaro... ». Furono
purtroppo splendori di breve durata poichè, come abbiamo
già visto, anche questa magnifica fonte di reddito
e di benessere fu strangolata dal fisco con la sua pazza politica
vessatoria. Ordinariamente la vita dei paesi come Castelvetere
si svolgeva in grande ristrettezza di fronte alla, quale,
per contrasto, il tenore di vita delle persone di qualità
sembrava un lusso sbalorditivo : questo fatto è rilevato
anche dagli autori dell'Apprezzo di Castelvetere i quali notano
con piacevole sorpresa che si vedevano circolare per le strade
della Città molte persone «in giamberghe e pirrucche
». In effetti i signori (e con questi intendo anche
i vari professionisti che, come abbiamo visto, entravano ex
privilegio nella categoria) un pò per naturale buon
gusto, uri pò per scimiottare gli usi della Corte Baronale,
erano molto sostenuti ed avevano assunto delle abitudini dispendiose
per mantenere il loro rango, abitudini che in definitiva portarono
molte famiglie cospicue alla rovina economica. La famiglia
dei Baroni Strati, per esempio, nel 1754 chiedeva insistentemente
in prestito alla cassa del Clero la somma di quattrocento
ducati offrendosi di pagare un forte interesse e di dare ipoteca
su tre fondi rustici (74).
Un'aristocratica
usanza del sec. XVII era quella di avere come persone di servizio
dei turchi: erano questi dei prigionieri fatti durante le
numerose incursoni barbaresche o razziati in crociere marittime
che venivano convertiti («sua sponte» annotano
gli atti parrocchiali, ma evidentemente erano conversioni
____________________
(73)
STATUTO dell'Arte della seta in Catanzaro. Catanzaro 1886.
(74)
LIBRO dei Capitoli ecc..., f. 20.
di adattamento) e battezzati o assegnati alle famiglie nobili
che ne facevano richiesta (75). Sino alla metà del
'600 si incontrano spesso degli atti di battesimo di persone
«Turcorum natione », anzi qualcuno viene proprio
definito « principis mancipium » (76) e cioè
schiavo del principe; essi venivano solennemente battezzati
nella Chiesa Madre ed assumevano ordinariamente il nome del
padrino. Uno schiavo tenuto a battesimo da un Carafa assunse
addirittura le generalità di Vincenzo Carafa, sposò
una donna di Castelvetere ed ebbe numerosa discendenza: era
tenuto anche in una certa considerazione poichè lo
troviamo, in seguito come padrino al fonte battesimale per
figli di amici (77). Nel 1748 morì la settantasettenne
Teresa de Ponti, vedova Squillacioti, « nata ex Turchis
» (78) e molto probabilmente questa fu l'ultima turca
battezzata che visse in Castelvetere perchè dopo, tale
data non si riesce a trovare più alcun'altra qualificativa
del genere. In seguito, venuti meno i turchi da battezzare,
i sindaci presero la gentile costumanza di dare il proprio
cognome ai trovatelli : ne abbiamo ricordato un esempio a
proposito dei Musco e spigolando tra i libri parrocchiali
se ne trovano ad ogni pie sospinto. Questo spiega la larga
diffusione dei cognomi nobili in tutti i ceti della popolazione,
mentre alcuni schietti cognomi popolari si sono mantenuti
puri, nella loro discendenza, sino ai giorni nostri. L'aristocrazia
di Castelvetere era in genere molto colta e, compatibilmente
con i tempi, si manteneva in contatto con i circoli intellettuali
di Napoli e di Catanzaro sia per ragioni di studi, come già
abbiamo accennato, sia perchè le famiglie facoltose
si rifornivano alla capitale di tutto ciò che rappresentava
il lusso e le comodità della vita del tempo e che in
provincia
____________________
(75)
LUPIS-CRISAFI— Op. cit., pag. 170. Donna Vittoria Aragona
da Grotteria mandò appositamente il suo cappellano
a Messina per comprarle una schiava, una certa Salè,
che poi fu battezzata il 23 febbraio 1688 col nome di Anna
Maria Aragona.
(76)
LIB. BAPT. S.M.M., Anno 1601, f. 60 et passim.
(77)
LIB. BAPT. S.M.M., Anno 1590, f. 35. « . :et eum in
fonte tenuìt Vincentius Carafa, turcus baptizatus ».
(78)
LIB. MORT, S. ZACH., Voi. II, f. 52.
non era possibile avere: venivano importati da Napoli vestiti
signorili, calzature di lusso, mobilio di stile, ninnoli,
gioielli, libri, manufatti vari, ecc.. qualche volta per via
mare a mezzo di velieri di passaggio. Le comunicazioni con
la capitale e ancor più col resto del regno erano molto
difficoltose, giacchè il procaccia dì stato
lasciava la posta ogni quindici giorni a Monteleone, dove
un incaricato dell'Università, detto procacciolo, si
recava a rilevarla. Questi riceveva un'indennità di
otto ducati l'anno (79) oltre un piccolo compenso dai privati
per ogni oggetto recapitato (80). In mancanza di giornali
le notizie circolavano rapidamente ed avidamente di bocca
in bocca più o meno deformate dai vari passaggi : ne
abbiamo dato un esempio tipico tratto dai preziosi appunti
del nostro Lamanna. Ed ancora più spasmodica diventava
l'attesa delle notizie quando gravi avveni_
menti maturavano nel regno per le invasioni dei francesi o
per l'epopea del risorgimento.
: Ma qui ci troviamo oramai in
un'epoca che per i suoi particolari avvenimenti merita una
trattazione a parte che un giorno spero di poter fare. Basti
solo accennare che Castelvetere fu un centro importante della
Carboneria e che quando i protagonisti dello sfortunato tentativo
rivoluzionario del 1847 si rifugiarono nelle nostre montagne
non lo fecero a caso, ma speravano di trovare aiuti dai loro
confratelli, cosa poi che, come è noto, non avvenne
per un cumulo di ragioni. Essi trovarono il loro calvario
nell'assolata Piana di Gerace ed affrontarono la morte con
la certezza che il loro sangue non veniva sparso invano giacchè
si sentiva nell'aria che gli avvenimenti stavano precipitando.
Ed infatti pochi anni dopo passò Garibaldi con la sua
fulgida e prestigiosa spada di guerra, i Borboni caddero nel
più meritato oblio, si ebbe l'auspicata unità
d'Italia e si imposero nuove tasse
____________________
(79)
Stato Discusso dell'Università di Castelvetere del
1749.
(80)
Annotazioni del Parroco Lamanna, 2 sett. 1796: «..ho
comprato la Pisside d'argento col piede di rame dorato in
Napoli e costò ducati dieci, avendola portata il procaccio
sino a Monteleone e pagati carlini tre, e un carlino pagai
al procacciolo che la portò qui...». Qualche
Volta il corriere depositava la posta a Pizzo come risulta
da altra annotazione nello stesso luogo.
per...
ricostruire! Ahimè, come la storia si ripete con disperata
monotonia!
Nell'esultanza
generale e nella credula e fiduciosa attesa di un avvenire
migliore, solo un vecchio medico, un certo Raschellà,
che si occupava più di contabilità domestica,
che di ammalati restii a guarire, passando ogni giorno in
Piazza Plebiscito, dava di traverso un'occhiata alla targa
commemorativa e scrollava sfiduciato le sue curve spalle:
forse senza saperlo era l'unico veggente in mezzo ad un popolo
di ciechi !
*
* *
Arrivato
a questo punto mi accorgo di aver utilizzato solo in parte
la grande mole di materiale accumulato e da cui è stato
tratto il presente modesto lavoro che non ha affatto la pretesa
di fare della storia o delle rivelazioni sensazionali. Lo
scopo di esso è di dimostrare che molte vie per giungere
ad una perfetta conoscenza della vita e delle condizioni della
Calabria del passato, non sono ancora state battute e sfruttate
con metodo, direi quasi, scientifico: esse consentirebbero
di delineare e far comprendere meglio le ragioni del decadimento
della nostra terra e, meditate da uomini di buona volontà
e di cuore, potrebbero far scaturire i rimedi effettivamente
utili per riportare il nostro popolo a quell'altissimo livello
sociale a cui meriterebbe di arrivare per le sue indiscutibili
buone qualità morali e per la sua vivida intelligenza.
II
popolo calabrese è un popolo economicamente avvilito
da secoli di angherie e di vessazioni. E' assurdo pretendere
da esso iniziative mirabolanti ed estrose, quando appena riesce
a vivere col suo duro lavoro e non fa a tempo ad economizzare
un centesimo che il fisco di oggi glielo porta via con lo
stesso accanimento con cui ieri glielo portava via il fisco
borbonico : bisognerebbe dargli un respiro di almeno mezzo
secolo per farlo rinsanguare, fargli acquistare la libertà
economica e, con essa, la fiducia in sé stesso. Finirebbe
così l'indegno spettacolo dei prole-
tari
affamati che emigrano in tutte le parti del mondo in cerca
del più umile lavoro disdegnato perfino dai popoli
di colore.
E
sia ben chiaro infine che i meridionali in genere e i calabresi
in ispecie desiderano sopratutto che non si facciano più
chiacchiere inutili sulla ormai barbosa questione meridionale
che ritorna sul tappeto in ogni stagione elettorale con la
stessa regolarità con la quale le rondini ritornano
ad ogni primavera. O ci si aiuta sul serio ed in silenzio,
o è meglio lasciarci tranquilli: noi siamo come quegli
ammalati gravi che vengono infastiditi di continuo dal vano
e fatuo chiacchiericcio di gente indifferente che sta attorno
al letto di dolore più per curiosità che per
affetto e che se gli riesce, profittando della confusione,
è capace anche di mettersi in tasca di soppiatto un
ricordino del moribondo. Ebbene, se non è possìbile
avere un qualsiasi valido aiuto, si sappia almeno che desideriamo
continuare a soffrire senza inutili discorsi !
FINE
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