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Questo
modesto lavoro è dedicato alla
inobliabile memoria dell'Amico Avv. ILARIO
ASCIUTTI che al valore professionale e
alla grande cultura accoppiava la gentilezza
del sangue.
Caulonia,
giugno 1949 |
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Premessa
di Ubaldo Franco
Ho
tratto queste note in gran parte dai libri parrocchiali
di Caulonia che formano una importante raccolta che
va dal 1578 ai giorni nostri, sebbene molto lacunosa
per l'incuria degli uomini e per la fatalità
degli eventi. Si dice che la Calabria non ha storia
perché manca di documenti andati dispersi per
la dolorosa ignoranza di un popolo martirizzato e
brutalizzato dalla furia periodica dei terremoti e
dalle contìnue invasioni straniere; in gran
parte è vero, come è vero che i monumenti
della sua millenaria civiltà sono scomparsi
inghiottiti dall'oblìo del tempo, sì
che di tante nobilissime città che furono all'avanguardia
del diritto, del pensiero filosofico, della medicina
e delle arti, oggi non se ne conosce neppure il sito
approssimativo. Ma prima che si perdano del tutto
le ultime tracce del passato è indispensabile
che venga fatta in tutti i paesi della Calabria un'opera
appassionata di ricerca, di classificazione e di cernita
in modo da poter tentare, su quel poco che resta,
la ricostruzione della nostra storia con un paziente
lavoro di raffronto e di ricomposizione così
come si costruisce un mosaico con varie pietruzze
di differente colore e di provenienza diversa e che,
unite assieme, formano un tutto completo ed armonico.
La conoscenza della vita quotidiana, direi quasi spicciola,
dei nostri paesi della Calabria con i suoi pettegolezzi
e le sue passioni, riveste oltre tutto una grande
importanza perché essa ci aiuta a comprendere
la così detta « questione meridionale
», giacché è evidente che un male
che affligge un popolo e lo pone in un complesso di
inferiorità, deve avere origini lontane che
bisogna ricercare nei suoi minuti particolari immediati
e con la stessa diligenza che un medico pone nella
rì-
cerca
anamnestica di un morbo difficile a diagnosticare.
La storia ci insegna che i popoli non decadono e tanto
meno scompaiono per i soli eventi bellici, chè
anzi questi da per sè, possono essere incentivo
talvolta di maggiore incremento e vitalità.
Esistono evidentemente ragioni molto complesse a determinare
la decadenza delle razze, ragioni che considerate
una per una si rivelano insufficienti ad infirmarle,
ma che trovandosi in concomitanza, ne determinano
il fatale tracollo o, nell'ipotesi più favorevole,
creano un'inferiorità razziale individuale
e collettiva che pesa per secoli come una maledizione
di Dio. Fattori gravi di depauperamento sono senza
dubbio le avversità climatiche, topografiche
e belliche, le morbilità, l'allontanamento
delle usuali vie commerciali, ecc..., ma il fattore
più importante e decisivo in definitiva è
senz'altro il fattore economico perchè dove
non ci sono possibilità di vita le popolazioni
tendono a diradarsi e ad emigrare verso altri territori
dove le condizioni ambientali sono più favorevoli;
è questa una legge biologica che vale per tutti
gli esseri viventi, dal più pìccolo
insetto all'uomo più progredito. Ora, tutti
questi fattori che io vorrei chiamare la patologia
dei popoli vanno diligentemente studiati e analizzati
perché si possa trovare il rimedio.
Sulla
questione meridionale sono stati scritti centinaia
di volumi da persone di grande ingegno e di grande
cuore; basti ricordare fra tanti Giustino Fortunato
e Leopoldo Franchetti, ma nessuno ha toccato il vivo
del problema come il nostro grande e indimenticàbile
Maestro, il Pro/. Oreste Dito che con la sua fine
sensibilità di calabrese eruditissimo ha capito
che la questione meridionale era essenzialmente un
problema storico e che come tale andava studiato con
la ricerca delle cause. «Non basta constatare
l’esistenza del male» - ammoniva Egli
- «è necessario sopratutto accertarne
i precedenti storici per poter stabilire una diagnosi
vera. Ciò che non s'è mai fatto; onde
i rimedi sono sempre falliti allo scopo o sono inadeguati
al male. » (1)
Oggi che il problema meridionale è ritornato
di moda, a
____________________
(1) O. DITO . La storia calabrese e la dimora
degli ebrei in Calabria. Rocca S. Casciano, 1916.
quanto
sembra più per necessità demagogica
che per sincero desiderio di porvi rimedio, sono state
ventilate le più assurde proposte dal separatismo
all'industrializzazione forzata, proposte che denotano,
se non altro, l'assoluta incompetenza sulla questione
meridionale e calabrese in ispecie, perchè
nessuno si è reso conto, o voluto render conto,
che il male della nostra povera terra si chiama fiscalismo,
fiscalismo brutale, irragionevole e assurdo che ha
le sue lontane origini al tempo della dominazione
romana e che continuando ininterrottamente per secoli
e secoli, per-dura purtroppo ai nostri giorni.
Finchè
non verranno fortemente differenziati i sistemi tributari
tra nord e sud, il Mezzogiorno non potrà mai
uscire dal suo letargo. Altro che regionalismo! Prima
di fare esperimenti in corpore vili, giovevoli solo
ad una piccola minoranza di sfruttatori, di speculatori
e di famelici politicanti in fregola di prebende,
bisogna comprendere che la verità è
una sola e cioè che il popolo calabrese è
un grande ammalato da curare e da rinsanguare.
(Dott.
Ubaldo Franco)
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Vita
intima di un paese della Calabria nei secoli scorsi
di
Dott. Ubaldo Franco
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La
storia feudale di Castelvetere, l'odierna Caulonia,
comincia poco dopo il 1093 epoca in cui il Conte Ruggero
il Normanno concesse in feudo all'Abate Brunone il Bosco
della Serra che confina col territorio di Castelvetere
(2). Nel diploma di concessione che ne stabilisce i
confini, mentre vengono menzionati i limiti dei contadi
di Stilo e di Arena, quelli di Castelvetere vengono
descritti con i soli punti di riferimento naturali (3)
il che ci fa supporre che esso, pur essendo già
un centro importante e fortificato, non era ancora costituito
in unità territoriale. Ma fu certamente in quell'epoca
o poco dopo dato in feudo ad un consanguineo del Conte
Ruggero perché nel 1154 già risulta infeudato
ad un Malgeri d'Altavilla la cui stirpe, pur tra i torbidi
eventi di quell'epoca, si mantenne nel dominio per oltre
un secolo: infatti nel 1262 risulta ancora padrone di
Castelvetere un certo Roberto Filmangeri la cui discendenza
dal capostipite è evidente dal suo patronimico
(filius malgeri). Tralascio la serie dei feudatari che
si susseguirono fino all'avvento dei Carafa perché
l'argomento esorbita dai limiti che mi sono prefissi.
Ricordo solo il memorabile |
attacco
di sorpresa subito da Castelvetere durante la guerra del Vespro
da parte di Ruggero di Lauria nel 1284 perché esso dimostra
che già in quel tempo era una terra molto ben fortificata
e di una certa importanza, una volta che Carlo d'Angiò
si preoccupava di tenervi un forte presidio (4).
____________________
(2)
FRANCHI - Difesa degli antichi diplomi normannici etc.. .
Napoli, 1752, pag. 33 et passim.
(3)
« ...inde vadit per Serrani eiusdem montis usque ad
malareposta, scilicet ad superiorem collem montis et inde
per magnam cavam, quae versa est ad occidentem, usque ad pedem
montis descendit, qua aqua decurrit et inde transit duos ruseletos
ac vallonem indirecto usque ad jJugum
montis quod est apud occidentem, sicut praedicta cava respicit;
ed inde per Jugum eiusdem montis Bràndismenon... ».
(4)
AMARI - Guerra del Vespro, Gap. XI.
Dopo
espletata la guerra civile che ne seguì alla congiura
dei Baroni, Ferdinando d'Aragona spogliò del feudo
di Castelvetere il marchese Antonio Centelles che aveva preso
le parti dei ribelli e lo regalò nel 1479 a lacopo
Carafa, suo uomo d'armi, che si era reso benemerito durante
la guerra e segnalato alla presa di Istonio (5). Il dominio
dei Carafa che durò ininterrottamente per circa tre
secoli fu elargito con la più ampia formula feudale
sul territorio e, quel che più conta, sui suoi abitanti,«cum
potestate erigendi quandocumque voluerit furcas medias, furcas
castellas, perticas et alia meri mixtique imperi et jurisditionis
sìgna et executionem justitiae denotanda et facinorosos
suspendere adeo quod naturaliter moriantur, seu eosdem ultimo
supplicio condemnando et relegando atque eiusdem manus, nares,
aures, lin-guas et alia corporis membra mutilando, fustigando,
capiendo, carcerando, torquendo, bandiendo et condemnando
atque eos absolvendo carceresque tenendo... ». Venivano
solo riservati alla giustizia reale i delitti « lesae
majestatis, heresiae, nummorum codendi » (6). Premesso
quanto sopra, non è difficile immaginare quali fossero
le condizioni della sventurata cittadinanza di Castelvetere
la quale, passata probabilmente da un regime feudale piuttosto
blando per le incertezze politiche dei tempi immediatamente
precedenti, ad un regime ferreo e spietato esercitato da un
feudatario che aveva fretta di arricchirsi, si vide perduta.
Pochi anni dopo infatti la disgraziata Università di
Castelvetere si rivolgeva alla maestà del Re lamentandosi
che «per essere pervenuta in mano de baroni, so stati
disfacti e reducti ad extrema povertà » e implorava
la grazia di essere presa nel regio demanio e di essere liberata
dalla tirannide esercitata da lacopo Carafa e dai suoi successori
che « violentemente, nullo juris ordine servato »
avevano fatto e continuavano a fare man bassa dei beni dei
cittadini. Faceva presente inoltre che « attento le
_____________________
(5)
FONTANO –De bello neapolitano, Lib. V.
(6)
Decretò di conferma dell'investitura a lacopo Carafa
da parte di Ferdinando d'Aragona, 9 ott. 1496 nel Quadernione
47 del Grande Archivio di Napoli e riportato da PROTA: Ricerche
storiche su Caulonia, pag. 268
crudelite
grandissime, arrobamenti et sassinamenti facti per li dicti
quondam jacobo carafa, soi figlioli et madamma joannella soa
nora, fo denecessario multi citatini absentarnose de dicta
terra in modo che li restanti non hanno potuto supplire ad
pagare li pagamenti fiscali... » (7). Questo grave documento
sfata la leggenda che il dominio dei Carafa fosse un regime
paternalistico come inclinerebbe a credere qualcuno. Del resto
la tendenza agli « arrobamenti » sembra che in
quel tempo fosse un'abitudine di famiglia : nell'aprile del
1494 l'Università di Reggio inviò una querela
ad Alfonso II contro un certo Bertoldo Carafa signore di Fiumara
di Muro, il quale si era appropriato di molte possessioni
dei reggini « et praesertim » dell'Abazia di Santi
Quaranta e di altre chiese ancora. Riferiva che fino a quando
il Re risiedette a Reggio egli «conoscendo havere mala
causa, per suo procuratore legitimo cedìo et renunciò
liti et istantie, dicendo che ogni uno pigliasse la robba
sua et che esso non havea causa di litigare », ma non
appena il Re si fu allonato, ritornò ad usupare le
terre che poco prima aveva restituito per paura (8).
La
povera Università di Castelvetere dunque, pressata
dalla rapacità dei suoi marchesi e le gravezze del
fisco regio che imponeva Collette per ogni piccolo pretesto
ed aumentava di anno in anno i contributi, si dibatteva in
gravi difficoltà economiche ed era costretta a contrarre
in continuazione dei debiti con dei privati (9) ed era inoltre
permanentemente indebitata con il proprio esattore delle tasse
il quale anticipava le somme che doveva riscuotere durante
l'anno e si beccava per questo un interesse di 150 ducati
(io). Non deve meravigliare quindi se molti citta-
_____________________
(7)
DITO - Op, cit., pag. 254.
(8)
SPANO' BOLANI v Storia di Reggio Calabria, Lìb. V in
nota.
(9)
Nel testaménto di un gentiluomo di Grotteria, Don Giuseppe
D'Aragona D'Ajerbis, redatto nel 1781, fra le altre disposizioni
testamentarie si legge: << Item, dichiara di aver da
conseguire dalla Università di Castelvetere ducati
cento e grana cinque in danari e quaranta libre di seta per
altrettante prestate, quale vuole che la sua Moglie ed Erède
mandi a pigliarli per disponerli a quelli secondo hanno parlato
a bocca.. ».
In LUPIS CRISAFI: Cronaca di Grotteria, pag. 168.
(10)
Stato discusso dell'Università di Castelvetere del
1742.
dini,
quando venivano a morte non erano in condizione di lasciare
nemmeno i rituali « carolenos duos pro malis oblatis
» i due carlini per l'assoluzione, e che venissero seppelliti,
secondo l'annotazione dei parroci, « gratis et prò
amore dei » per la loro estrema indigenza che qualche
volta li costringeva a chiedere la elemosina di porta in porta
( 11 ). Per sfuggire al fisco molti cittadini abbienti erano
costretti a legare i loro beni in patronato laicale a qualche
chiesa e costituire i cosìdetti benefici che erano
esenti dalle tasse come tutti i beni ecclesiastici ed erano
trasmissibili ai loro eredi: i proprietari pagavano al cappellano
le messe stabilite nel beneficio, o l'importo di esse e godevano
indisturbati la proprietà (12).
La
Corte Marchesale, fino a quando i Carafa vissero a Castelvetere,
e cioè fino alla metà del '600, aveva un tenore
di vita fastoso quale del resto si conveniva ad una famiglia
potente e di grandi aderenze. Scipione Ammirato dice (13)
che l'imperatore Carlo V reduce dalla guerra di Tunisi nel
1535 e costretto "per fortuna di mare " a sbarcare
in Calabria, passò anche da Castelvetere ospite di
Giovanbattista Carafa e ciò sembra confermato dal fatto
che la porta meridionale della città veniva comunemente
chiamata Porta Reale, nome che le dovette essere conferito
in ricordo di quella circostanza. Lo stesso Ammirato ci riferisce
che il suddetto Carafa, dopo tanti onori, finì col
rimetterci il capo per le innumerevoli angherie che commetteva
contro l'onore, i beni e la vita dei suoi vassalli. Sostenne
inoltre una clamorosa lotta col Priore della Certosa di S.
Stefano del Bosco a cui aveva usurpato alcuni territori che
poi nel 1529 fu costretto a restituire (14).
Dopo
l'investitura dei Carafa vi fu verosimilmente una revisione
di tutte le concessioni sub-feudali da parte del nuovo padrone:
qualcuno dei vecchi baroni, non compromesso con
_____________________
(11)
LIB. MORT. S. M. AR. 1739, 2 genn. « ...erat adeo pauper
ut elemosinam ostiatim quaerere sit coactus.. ». '
(12)
OPPEDISANO - Cronistoria della Diocesi di Gerace, pag. 145.
...
(13) AMMIRATO - Famiglie nobili del Regno di Napoli, voc.
Carafa.
(14) LUPIS CRÌSAFI - Op. cit., pag. 127. L'istrumento
notarile fu redatto dal notaio Virgilio de Bulvizio in Napoli.
Centelles,
sì mantenne e riottenne la conferma dei beni; altri
ne furono spogliati. Scompaiono così alcuni nomi di
vecchie famiglie patrizie di Castelvetere come i Papillione,
gli Astrameni, i Racho, ecc..., mentre ne furono confermate
i De Fonte, i Presterà, écc... Una famìglia
molto potente che visse iri Castelvetere per un secolo circa
fu quella del Barone Siscara: venuta al"seguito dei Carafa,
apparteneva ad un ramo cadetto dei Conti Siscara di cui un
membro fu viceré di Alfonso d'Aragona in Cosenza durante
la congiura dei Baroni ed un altro, Paolo Siscara, è
ricordato perché nel 1486 riuscì molto audacemente
ad appiccare il fuòco ad una fusta carica di nemici
dinanzi a Belvedere per la quale impresa si ebbe un indennizzo
di 53 ducati (15). Questo casato possedeva il vasto feudo
di Ajello ed il ramo di Castelvetere si spense Con Don Francesco
Siscara, barone di Tarzia, il quale ebbe una figlia Lucrezia
(16): il feudo ed il titolo andarono per matrimonio alla famiglia
Di Capua che li alienò assieme al palazzo alla famiglia
Asciutti-Crea nel 1691 per la somma di 4.000 ducati (17).
Un'altra famiglia baronale era quella dei Musco che ereditò
il titolo ed il feudo dalla famiglia Calderon : 'non mi è
riuscito di rintracciare notizie più dettagliate sull'origine
di questa famiglia che è stata fin quasi ai giorni
nostri tra le più cospicue e continua ancora la sua
tradizione di magnificenza in un paese vicino, nè è
dato sapere se la famiglia era originaria di Castelvetere
o venne a stabilirvisi dopo aver contratto rapporti di parentela
con i Calderon. Inclino a propendere per la prima ipotesi,
perché il primo Musco che incontriamo è il Magnifico
Aquilio Musco, Dottore in legge, che tenne a battesimo nel
1582 quella Lucrezia Siscara sopra ricordata. Un Barone Orazio
Musco era nel 1722 in Fabrizia, casale di Castelvetere, «
cum ufficio pro ducis» cioè governava la terra
per
_____________________
(15)
DITO - Op. cit., pag. 151. -.
(16)
LIB. BAPT. S.M.M., f. 12. Fu battezzata il 4 marzo 1582 per
mano dell'Abate Orazio Dattilo, vicario del Vescovo Bonardo,
venuto appositamente da Gerace.
(17)
II palazzo è stato recentemente venduto, ma la lapide
che ricorda l'acquisto è conservata dall’ultimo
discendente della famiglia residente in Reggio.
conto
dei Carafa e lì gli nacque quel figlio Ilario Antonio,
battezzato però in Castelvetere « de licentia
curati Ecclesiae dictae Fabritiae » (18), che doveva
essere trentadue anni dopo lo sfortunato protagonista, assieme
al fratello Domenico Antonio, di una fosca tragedia feudale.
É
da ricordare la famiglia dei Baroni Strati che ebbe un periodo
di splendore ai primi del '700 e si estinse verso la fine
del secolo falcidiata da un'implacabile mortalità.
Queste famiglie, con qualche altra in via di dissoluzione
economica di cui sì è quasi spento il ricordo,
formavano il cosidetto patriziato ex sanguìne.
Ma
Intanto si stava verificando fin dalla metà del '500
un fenomeno maraviglioso che onora Castelvetere e la Calabria
in genere, cioè si andava lentamente formando un vero
e proprio patriziato intellettuale e professionale che si
inseriva dolcemente e insensibilmente nella Vita cittadina
come elemento dominante e, stringendo vincoli di parentela
con le vecchie famiglie nobili, le rinnovava creando una nuova
classe dirigente moderata, comprensiva e umanitaria. La professione
di medico, di notaio, di dottore in legge << dava agevolezza
—- dice Spanò Bolani (19) —- di nobiltà
personale che li faceva abili al Sindacato dei nobili ».
Ecco la grande importanza pratica del titolo professionale:
poter accedere alla carica di Sindaco dei nobili. (che era
la dignità più importante) e poter rappresentare
e difendere con indipendenza e con fermezza l'Università
di fronte ai feudatari e al fisco regio, carica che sino alla
seconda metà del '500, in virtù della prammatica
vigente nel Regno di Napoli fin dal 1473, era monopolio di
nobilucci ignoranti ed altezzosi che si preoccupavano solo
di tenersi buono il feudatario da cui dipendeva la loro esistenza.
Già nel 1593 il medico Giovan Pietro Sergio «
excellens medicinae doctor » teneva al fonte battesimale
un figlio del marchese Don Fabriziò Carafa (20) e in
questo scorcio di secolo e al principio del '600 troviamo
una fioritura di professionisti
_____________________
(18)
LIB. BAPT. S. ZACH. Vol. 3°, f. 36.
(19)
SPANO' BOLANI - Op. cit. Lib. VÌI, cap. 2.
(20)
LIB. BAPT. S.M.M. f. 42.
valorosi che si imponevano col prestigio della loro cultura
e del loro magistero: ricordo i medici Donato Antonio Sergio,
Onorato Sergio, Marcelle Gugliardo e Giovan Gerolamo Aiossa;
i dottori in legge Menelao Minici (21), Giovan Vincenzo Fonte
e Giuseppe Oppedisano; i notai Giovan Francesco Manetta e
Giulio Protopapa ecc.. Di tanti altri non abbiamo notizia
perché di quell'epoca esistono solo i libri di battesimo
delle Parrocchie di S, Maria dei Minniti e di S. Zaccherìa,
ma dovevano essere molto numerosi, specialmente i dottori
in legge e i notai, perché Ca-stelvetere, come capitale
del territorio, era sede della Corte di 1° e 2° istanza.
Questa classe di intellettuali, dunque, che portava il titolo
di magnifico, titolo che veniva dato solo ai nobili ex sanguine,
costituì la nobiltà ex privilegio, cioè
per dignità professionale e rapidamente diede la scalata
a brillantissime situazioni economiche e alle cariche direttive,
sostituendosi completamente alla vecchia nobiltà esaurita
economicamente e numericamente i cui ultimi discendenti finirono
col confondersi con la massa amorfa della plebe da cui non
riuscirono più a distinguersi. Da Un attento esame
dei libri parrocchiali di Santa Maria dei Minniti e di San
Zaccheria, che sono come si è già detto i più
antichi e i più importanti, assistiamo con vera emozione
a questa lotta per eccellere da parte del ceto popolare :
vediamo qualche famiglia che ha già qualche membro
arrivato all'arringo professionale ed ecclesiastico ed altri
che hanno notevolmente migliorata la loro situazione perché
esercitano un mestiere per cui godono il titolo di magister
e sono tenuti in una certa considerazione : infatti i loro
figliuoli sono tenuti a battesimo da nobili e professionisti
anziché da popolani o dalle solite levatrici (22).
Ma nel secolo successivo li vediamo tutti trionfalmente
_____________________
(21)
Menelao Minici era dottore in legge e non già medico,
come riferisce P. Fiore e, sulla sua autorità, il Prota.
Ciò isulta inequivocabilmente da un atto di battesimo
dell'8 febbraio 1580 in cui il « Magnificus Menelaus
Minici U.I.D. > (leggi Utroque Iure Doctor) tenne a battesimo
un figlio del magnifico Giovan Carlo Nageo (LlB- BAPT. S.M.M.
f. 7).
(22)
Anche dì queste oscure benemerite del sec. XVI voglio
ricordarne qualcuna: Marchia Catalano da Gerace che veniva
chiamata
inseriti nella casta nobiliare. Altre famiglie invece, non
favorite dalla sorte o per avversità contingenti che
oggi non siamo in grado di valutare, dopo un tentativo di
una generazione rientrano nei ranghi da dove erano partite:
un debito, una lite, una morte prematura, chissà !,
ne hanno forse tarpato le ali e sbarrata la via del successo.
* * *
Sul
finire dtl sec. XVII Castelvetere con una popolazione di circa
6.000 abitanti (notevolissima per quel tempo in cui Reggio
non arrivava ai diecimila (23)) aveva quattro medici che venivano
stipendiati dall'Università con 100 ducati annui complessivi,
otto dottori in legge, quattro notai e tre giudici. Vi erano
inoltre due farmacie gestite da periti speziali (24). A questi
bisogna aggiungere una vera pleiade di religiosi di ogni ordine
e grado (25) che popolavano le numerose chiese (ve ne erano
una quarantina!) i tre o quattro conventi ed i numerosi eremi
ed oratori disseminati nel territorio. Questi religiosi non
sempre erano all'altezza del loro compito, ma risentivano
purtroppo della debolezza dei tempi. Nella storia dei vescovi
di Gerace del Vescovo Pasqua che dalle origini va, con le
aggiunte del canonico Parlà, al 1750 e negli stessi
atti del Sinodo tenuto
ai parti della Marchesa Carafa, Camilla Stripponì Caterina
Infuso, Grazia Zangara ecc.. Esse erano qualificate obstetrices
probatae forse perchè in possesso di qualche autorizzazione
ufficiale ad esercitare la professione.
_____________________
ai parti della Marchesa Carafa, Camilla Stripponi, Caterina
Infuso, Grazia Zangare, ecc.. Esse erano qualificate obstetrices
probotae forse perchè in possesso di qualche autorizzazione
ufficiale per esercitare la professione.
(23)
SPANO’ BOLANI - Op. cit., Vol. II, pag. 96. Nel 1746
la popola-
zione di Reggio per effetto della peste si ridusse appena
a cinquemila!
(24)
GALLERANI e GALLUCCIO - Apprezzo di Caetelvetere, cit. da
Prota pp. 92 e Stato discusso dell'Università di Castelvetere
del 1749.
(25)
Ai primi del '700 i religiosi del Regno di Napoli erano 120.000
sui quattro milioni di abitanti. Il Colletta dice che vi era
una proporzione del 28 per mille! I beni ecclesiastici, escluso
il Demanio regio, raggiungevano i due terzi della proprietà
fondiaria. V. COLLETTA - StoriadelReame di Napoli, Lib. I,
cap.XVII e OMODEO - L'età del Risorgimento Italiano,
pag. 53.
a Gerace nel novembre del 1754 dal vescovo Rossi (26) troviamo
molti episodi che lumeggiano le tristi condizioni del clero
di quel tempo. E' ben vero che la Diocesi di Gerace ebbe oltre
un secolo di crisi dei suoi pastori : quattro vescovi deposti
ed altri ripetutamente sottoposti a severissime inchieste.
Già intorno al '600 il vescovo Grazio Matteo che si
era permesso di indire un sinodo, si vide costretto a interromperlo
« per una violenta contesa sollevata da alcuni depravati
ecclesiàstici » (27); e lo stesso capitò
al vescovo Vicentini che nel 1651 aveva indetto coraggiosamente
un nuovo sinodo : i convenuti si azzuffarono si che, dice
egli stesso negli atti del sinodo, «ut prope ad arma
res vergere visa fit >>. Ed il vescovo Stefano Sculco
che pontificò dal 1671 fu deposto dopo qualche anno
« quod puellae deo sacrae vitium intulisset »!
E non parliamo poi del vescovo Diez che nel 1690, poco dopo
aver preso possesso della cattedra, fece uccidere nella chiesa
di S. Giacomo un gentiluomo che gli dava fastidio, un certo
D. Francesco Ramirez e due dei suoi domestici... Erano i tempi,
ripeto. Durante l'episcopato di Del Tufo, che poi fu deposto
anche lui, i sacerdoti di Castelvetere lo accusarono alle
autorità superiori perché aveva dato facoltà
ai barricelli laici, e non agli ecclesiastici, di poterli
arrestare quando suonate le due ore di notte, venivano sorpresi
senza giustificato motivo per i vicoli della città.
Non erano del tutto rari i sacerdoti che venivano uccisi per
vendetta privata (28) ed il malcostume dei preti doveva ancora
trascinarsi nei secoli successivi, se nel giro di dieci anni,
dal 1816 al 1826, trovò ancora due sacerdoti uccisi
nella propria casa.
Del
resto l'autorità degli ecclesiastici era grandissima,
anzi si può dire che dominava la vita cittadina. Veniva
inesorabilmente negata la sepoltura ecclesiastica a coloro
che morivano senza aver assunto i Sacramenti o almeno non
avessero fatto
_____________________
(26)
Rossi - Constitutiones et Acta synodi hyeracensis etc.., 1755,
passim.
(27)
OPPEDISANO . Op. cit., pag. 537 et passim.
(28)
LIB. MORT. S. ZACH. Voi. II, f. 3, anno 1736
l'ultimo
precetto pasquale (29) e i loro cadaveri venivano senza tante
cerimonie buttati in una fossa anonima extra moenia (30).
In caso di morte repentina e sospetta., ti si aspetterebbe
logicamente che l'inchiesta venisse espletata dalle autorità
criminali: invece no. Un pover'uomo di S. Sostene che si trovava
a Castelvetere per affari, muore improvvisamente « vi
morbi corruptus » e siccome « ex eius aspectu
apparebat peregrinus » (aveva insomma un muso da forestiero,
come direbbe Plauto) si forma subito una commissione costituita
dal vicario foraneo, dal vice-arciprete, da un chierico «aliisque
secolaribus », la quale visita il cadavere, lo perquisisce,
lo spoglia, constata che non ha altro addosso che poche carte
di nessuna importanza e che per ogni buon fine vengono conservate
dal vicario, lo riveste, si accerta con domande ai presenti
che è morto di morte naturale e finalmente ordina che
venga data sepoltura ecclesiastica (31). Un contadino di Bruzzano,
colono di un signore di Castelvetere, viene ucciso in una
casa di campagna « et quoniam erat publicus latro et
per biennium Paschale Praeceptum non impleverat » viene
seppellito « extra moenia » nelle rovine di una
vecchia chiesa (32). E di questi esempi se ne potrebbero citare
a diecine. Questa intransigenza severa fu una delle tante
cause che contribuirono alla deposizione del vescovo Del Tufo
perché crearono gravi risentimenti in intiere famiglie
e in larghi strati della
____________________
(29)
LIB. MORT. S. ZACH. Vol. I, f. 5. Riporto la risposta di un,
vescovo alla richiesta di autorizzazione per un seppellimento:
« Molto Rev.come Frat.lo, Se mai non si opponesse altra
difficoltà a privare il trapassato Placido Niutta dell'ecclesiastica
sepoltura, basta la sola trascuraggine a non adempire il precetto
ancorché sia egli stato libero della censura; che però
resti egli privo della medesima anch’a titolo di farne
passar l'esempio ad altri animi perversi nè quali m'è
convenuto c° som° mio
cordoglio sperimentare una consimile pervicace durezza senza
haver altra cosa di positivo che l'esecuzione dell'ecclesiastici
precetti che per abuso è la cosa che reca maggiore
ammirazione. Gerace 30 Xcembre 1736. Aff.mo come Frat.lo D.
Idelfonso Del Tufo, vescovo di Gerace ».
(30)
LIB. MORT. S. MICH. ARC. 28 marzo 1744, f, 12.
(31)
LIB. MORT. S. MICH. ARC. 14 marzo 1763, f. 36-37.
(32)
LIB. MORT. S. MICH. ARC. 6 nov. 1764 f. 39.
popolazione
e quindi reclami e diffamazioni all'indirizzo del povero presule.
Però
non si creda che la severità venisse esplicata solo
in fatto di sepolture. Un gentiluomo di Cosenza aveva tolto
in moglie una gentildonna di Castelvetere e, forse per evitare
le lungaggini burocratiche o per la fretta di sposare, aveva
trascurato di esibire gualche documento di rito riguardante
il suo stato libero. Apriti cielo! Gli sposi vengono censurati
e minacciati di scomunica, dichiarato nullo il matrimonio
per clandestinità e costretti « humiliatione
per eos peracta et absolutione impetrata » a ripetere
la cerimonia (33). Nel 1795, mentre un sacerdote ufficiava
nella Parrocchia di San Biagio, il nobile Don Vincenzo Cricelli,
forse per tagliar corto alle ostilità della famiglia,
si presenta all'altare con una ragazza del popolo, una certa
Clara Lupo e con alquanti testimoni dichiarando che voleva
passare a matrimonio, « et me contradicente —
annota il povero emulo di Don Abbondio — matrimonium
contraxerunt ». Anche in questo caso la Curia scagliò
i suoi fulmini dichiarando non valido il matrimonio «
causa criminis » e solo per le potenti relazioni della
famiglia che evidentemente accettò per buono un fatto
compiuto e per i validi argomenti giuridici di un parente
dello sposo, Don Francesco Antonio Cricelli, valentissimo
avvocato, fu vìnta la partita senza le solite umiliazioni
(34). E questi sono esempi presi a caso qua e là senza
aver la pretesa di fare un elenco completo.
Questa
turba di sacerdoti, in gran parte turbolenti, pettegoli e
maldicenti (35) viveva organizzata in comunità legalmente
_____________________
(33)
LIB. MATR. S. ZACH. f. 20. Vedi anche decreto annesso della
Curia di Gerace ed allegato all'atto di matrimonio tra il
Magnifico Francesco Salerno e la Magnifica Teresa Lucano,
il 12 febbraio 1751. :
(34)
LIBR. MATR. S. ZACH. Anno 1795, f. 66. Vedi il decreto della
Curia allegato allo stesso libro tra i ff. 64 e 65 che dichiara
valido il matrimonio.
(35)
LIBRO dei Capitoli del Rev. Clero della città di Caetelvetere,
f. 22. Verbale capitolare d«l 21 nov. 1756: 11 sacerdote
D. Antonio Sergio a voto unanime non viene ammesso nella comunità
del clero perché ignorante, maldicente, fastidioso,
discolo, ecc..
ed ecclesiasticamente riconosciuta (36) con i proventi dei
benefici di cui abbiamo parlato sopra, impartendo lezioni
private e industriandosi alla meglio. Non era un mestiere
grasso(37), ma si viveva e sopratutto sì viveva senza
soverchia fatica. Ciò non pertanto eccellevano dei
religiosi per la dottrina, per la fede, e
per la vita esemplare: sono ricordati dal Padre Fiore al quale
rimando il lettore. Un centro di cultura doveva essere il
convento dei Cappuccini nel quale esisteva una discreta biblioteca
con molti preziosi manoscritti (38) e nel quale vissero monaci
di una certa notorietà.
Tra
i religiosi appassionati al loro ministero è indispensabile
ricordare il Parroco di Sari Zaccheria Pasquale Lamanna, morto
settantenne nel 1798 il quale aveva la curiosa abitudine di
annotare alla fine del suo libro dei battesimi tutti gli avvenimenti
di rilievo che passavano sotto la sua osservazione e che colpivano
la sua fantasia. Egli ci ha lasciato una descrizione dettagliata
e meticolosa del terremoto del 1783 e di tutte le scosse sismiche
che ininterrottamente si sono susseguite sino al 1787; notava
tutti gli avvenimenti della sua chiesa e le lotte sostenute
per rialzare le macerie di essa e ricostruirla sulle stesse
rovine contro il parere dei signori che avevano i loro palazzi
vicini alla chiesa e ne volevano fare una piazzetta. Riporta
per intero il proclama del 1784 per la costituzione della
Cassa Sacra, espediente escogitato per sovvenire i paesi terremotati,
ma là dove è detto che «li frati se ne
dovessero andare (dai conventi) sintanto che si riedificheranno»,
egli da uomo che conosceva come si suoi dire i suoi polli,
annota in margine: « ma non si edificheranno mai »
come infatti avvenne. Riporta una relazione (per come egli
aveva potuto apprendere confinato nell'ultima Tule del regno)
del viaggio di papa Pio VI a Vienna dove si diceva si fosse
recato
_____________________
(36)
Libro dei Capitoli ecc.., f. I.
(37)
Rossi - Op. cit., pag. 92 e segg.. Nel sinodo già ricordato
vengono impartite disposizioni perchè i sacerdoti vestano
decentemente, che la veste « non sit cordida, vilis,
lacera;., nonnisi nigri sit coloris » ed il cappello
« non curiosae formae, sed communiores, cordula tiam
si serica, nigra tamen circumcinctus.. ».
(38)
SPANO' BOLANI - Op. cit. pag. 183.
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