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Un illustre figlio di Caulonia
di
Rocco Ritorto
Caulonia
è il comune con il più vasto territorio della provincia dopo Reggio
Calabria e S. Luca; vanta un passato di tutto rispetto sia sul piano
storico che su quello culturale e delle tradizioni; dispone di una economia
che pochi centri della zona possiedono, e questo non senza merito della
laboriosità del suoi abitanti; è patria di uomini che diedero un sostanzioso
contributo di conoscenza, dottrina, idee, iniziativa alla società non
solamente del luogo.
Questi uomini, se li conosciamo, purtroppo, non li conosciamo
sufficientemente e, comunque, sempre meno di quanto dovremmo, e la
colpa è anche nostra che non sempre facciamo quanto dovremmo ed abbastanza
per richiamarne i valori e i meriti.
Ricordare fatti e personaggi di Caulonia, da chi, come noi,
appartiene per nascita a questo comune, potrebbe sembrare una vanità
o un vieto municipalismo, ma non è così, o almeno non lo intendiamo.
La vita e l'opera di certi uomini, o meglio, ciò che essi espressero
in valori morali, professionali, culturali, politici, economici, non
sono mai patrimonio esclusivo della municipalità natale, bensì del complesso
della comunità nazionale o umana.
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Caulonia
- Via Vincenzo Niutta
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Lo
spirito, quindi, di questa nota non è quello di decantare un cittadino
di Caulonia come tale, ma di richiamare le sue qualità come esempio di
vita e, se si vuole, anche per dire, attraverso la sua figura, che la
Calabria tutta non è affatto una terra di rozzi e violenti cafoni, come
vorrebbe che fosse l'Italia che conta e che decide per tutti, alla quale
fa comodo tenere appiccicato addosso al nostro popolo un simile marchio
di qualità, pubblicizzando, in maniera continua e martellante, gli aspetti
negativi che pur ci sono, ma che non appartengono ai soli calabresi, ignorando
o facendo di tutto per fare ignorare ciò che, in questa terra fu, ed è,
espressione di cultura e di civiltà. |
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Tra i tanti cittadini
di Caulonia che meritano di essere ricordati da compaesani e non, è da
mettere tra i primi posti il giureconsulto Vincenzo Niutta.
Egli nacque il 20 maggio 1802, quando questa cittadina portava
ancora il nome di Castelvetere che lasciò nel 1863 per prendere quello
attuale.
Quello del Niutta fu uno dei pochissimi casati della borghesia
cauloniese che si distinse per signorilità e senso umano, qualità sconosciute
al resto della stessa classe locale vissuta all'insegna della superbia,
dell'arroganza e dello sfruttamento della povera gente. Ed il piccolo
Niutta ereditò in pieno i pregi della sua famiglia migliorandoli.
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Frequentò con profitto le scuole elementari di Castelvetere
e poi quelle medie di Catanzaro. Concluse queste, passò all'università
di Napoli dove, sentendo il fascino della professione del nonno materno,
Ilariantonio Deblasio, un giureconsulto che raggiunse la presidenza
della corte napoletana (fu anche deputato in quella larva di Costituzione
concessa da Francesco I di Borbone nel 1821), volendo seguire le orme
di cotanto nonno, si iscrisse alla facoltà di giurisprudenza, laureandosi
ad appena ventidue anni.
lI brillante corso degli studi universitari lo segnalò come
uno tra i più promettenti di legge del suo tempo, cosa che gli fece
ottenere subito la nomina ad uditore giudiziario. Fu l'inizio di una
rapida ascesa che lo portò a giudice di tribunale civile, quindi a giudice
criminale e via via a presidente di tribunale civile, procuratore regio,
giudice di corte civile, consigliere della corte suprema, presidente
della gran corte fino all'apice dell'ordinamento giudiziario: la presidenza
della Corte Suprema del Regno.
La sua folgorante carriera fu consentita e favorita da qualità
professionali e cultura non comuni. Le sue sentenze facevano da testi
di giurisprudenza
ed era notissimo all'estero, soprattutto in Francia da dove veniva spesso
consultato allorché quella magistratura aveva da risolvere casi difficili
e complicati.
Vincenzo Niutta, dunque, ripercosse per intero la strada del
nonno, andando oltre. Ciò che lo distinse da cotanto antenato fu il
liberalismo deciso e convinto contro l'integralismo borbonico dell'avo,
e non era poco. E di questo suo convincimento diede prova quando, nel
1848, la lotta contro l'assolutismo si fece sentire in tutta la Penisola,
non avendo alcuna esitazione ad esprimere la sua condanna alla tirannia,
cosa che gli costò la destituzione dalla magistratura, me che non divenne
mai operativa perché i giudici che furono chiamati a darne corso, si
rifiutarono di farlo, minacciando dimissioni in massa, per cui il provvedimento
dovette essere revocato.
Basta questo per avere il quadro del suo carattere, del suo
valore, del suo prestigio, della stima di cui godeva.
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Caulonia
- Manifestazione in via V. Niutta
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lI Landolfi, che fu il suo biografo, ebbe a scrivere che «mai ingegno fu più rapido del suo, sapere più vasto, cuore
più nobile», e i fatti, il costume di vita, l'esercizio onesto e corretto
delle sue funzioni di giudice, lo provano. Infatti, a fare di Niutta il
Presidente della Suprema Corte del Regno di Napoli, fu un episodio eclatante
e che evidenziò, se ce ne fosse stato bisogno, la serietà e la dirittura
morale dell'alto magistrato. |
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Una lite tra un esponente dell'aristocrazia borbonica, il
principe d'Ischitella, cugino del re, e un povero uomo, trascinato da
un tribunale all'altro e sempre condannato, finita tra le mani di Niutta,
ebbe un giudizio sgradito il principe. Convinto delle buone ragioni
del povero diavolo, il magistrato cauloniese diede il torto al cugino
del re.
lI
principe d'Ischitella che era prepotente, svillaneggiò il magistrato
che si era permesso di emettere una sentenza a lui contraria. All'insulto
del titolato borbonico, Niutta presentò le dimissioni al Re dicendo:
«Sono vecchio e ministro del diritto e non posso riparare l'offesa
con la forza: mi dimetto». Ferdinando Il, pur non nutrendo simpatia
per l'alto magistrato, per via delle sue idee liberali, non potendo
non avere rispetto e ammirazione per la sua integrità morale, respinse
le dimissioni nominandolo alla più alta carica della magistratura dello
Stato, chiudendo per alcuni giorni il cugino nella fortezza di S. Elmo.
Che Vincenzo Niutta fosse stato un massone, come qualcuno sostiene,
è molto improbabile, per non dire impossibile, e non per i principi
che stanno a base della Libera Muratoria.
Anzi, si può dire che questi si trovavano in parallelo con
la sua indole e con la sua formazione etica, per cui, la sua eventuale
appartenenza a questa istituzione, non avrebbe minimamente sminuito
la sua prestigiosa personalità.
Per non avere molte riserve su questa sua appartenenza
alla Massoneria, bisognerebbe avere prove documentali che nessuno ha
portato fuori, riserve che nascono anche o soprattutto dal fatto che
i Borboni furono nemici della Massoneria.
Carlo VII di Borbone, futuro Carlo III di Spagna, nel 1751,
la mise al bando. Vi fu poi una certa tolleranza con Ferdinando IV,
auspice la moglie Maria Carolina, ma con lo scoppio della rivoluzione
francese che portò sul patibolo Luigi XVI e la moglie, Maria Antonietta,
sorella di Maria Carolina, questa non solo tramutò la sua simpatia in
odio, si prodigò anche a spingere il marito ad avversarla. Quando poi,
Ferdinando IV, cacciato dai napoleonidi, ritornò sul trono di Napoli
(1815), questa volta come Ferdinando I, non più IV, non poteva che osteggiarla
maggiormente così come fece, considerato che a ramificarla e potenziarla,
era stato Murat che aveva assunto la massima carica sia dell'Ordine
che del Rito massonico.
Il periodo di Vincenzo Niutta, quindi, coincise con un periodo
in cui la presenza massonica nel Regno delle due Sicilie era pressoché
inesistente, o quantomeno poco allettante e che proprio un alto magistrato
andasse a affiliarsi pare poco possibile.
L'annessione del Regno delle due Sicilie al resto d'Italia, conseguente
alla spedizione dei Mille, fu consacrata da un plebiscito e fu proprio
Vincenzo Niutta, confermato nella carica, a proclamarlo e a presentarlo
a Vittorio Emanuele Il, che lo nominò senatore del Regno d'Italia, unitamente
ad Alessandro Manzoni, Massimo d'Azeglio e Gino Capponi.
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22
marzo 1861
La prima amministrazione del Regno d'Italia
a Torino, Vincenzo Niutta è il primo
in piedi
a sinistra
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Nel primo governo dell'unità d'Italia, Cavour voleva Niutta
ministro di grazia e giustizia, ma questi preferì la carica di ministro
senza portafoglio, l'unica del genere in quel governo, che lasciò alla
morte di Cavour, per assumere la presidenza della Corte di Cassazione
di Napoli, città in cui mori il l° settembre 1867.
Le leggi fondamentali dello stato italiano e in particolare
del codice civile e di procedura civile, ebbero il contributo della
sua dottrina.
Lasciò una ventina di manoscritti, in prevalenza di natura
giuridica, rimasti tutti inediti. Peccato.
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«Non parlava bene - dice il suo biografo -,per
cui al senato, un uomo di tanto valore non si è veduto quasi mai aprir
bocca. Di modestia eccessiva, smilzo, pallido, poco avvenente, di fisionomia
poco espressiva; e vedendolo nessuno avrebbe detto: questo è il grande
Niutta.».
Vincenzo Niutta, dunque, fu un grande. Un grande della cultura
giuridica, un grande della rettitudine, un grande della coerenza. Un
esempio da imitare; una figura che fa onore alla giustizia, alla cultura,
a Caulonia, alla Calabria tutta, all'Italia.
Un
illustre figlio di Caulonia
di
Rocco Ritorto
Corriere
di Caulonia - luglio 1989
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