Caulonia 2000

   
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              Ancora sulla rivolta di Caulonia: "I miei ribelli"
di Nicola Frammartino

Quando nel 1975 Ilario Ammendolia ed io buttammo giù, quasi d'impeto, un libretto che demmo alle stampe sotto il nome "Repubblica Rossa di Caulonia", non pretendevamo di scrivere un'opera di storia, ché non eravamo degli storici né lo siamo diventati in seguito.
Era semplicemente una rievocazione degli avvenimenti di trent'anni prima cui noi guardavamo con simpatia e animo commosso.
In quelle pagine c'era lo sforzo di lasciare ai giovani un quadro dalle pennellate leggere della vita dei contadini e degli artigiani di Caulonia e delle sue contrade negli anni precedenti alla rivolta. Non avevamo la presunzione di scrivere dotte analisi sociali, né la pretesa di obbiettività scientifica. Scrivemmo per la sola gioia di parlare di una civiltà, quella contadina, che stava per scomparire e della quale noi volevamo che rimanessero delle tracce; molta ingenuità, si può osservare, perché le tracce
(e che tracce!) sarebbero rimaste anche senza il nostro piccolo contributo.
Solo che eravamo giovanissimi, ed eravamo letteralmente affascinati, quasi abbagliati da quel mondo ricco di umanità intensa. Quel mondo ha operato in noi come un grande mito travolgendoci totalmente.
Chi ricorda gli anni in cui scrivemmo il libretto, gli anni '70, per diretta esperienza o per proprie letture, capirà.
C'era allora a Caulonia una tumultuosa esplosione di iniziative e di idee; gli animi erano accesi dalla speranza di cambiamenti profondi e radicali che si pensava fossero alle porte ed ognuno voleva essere dentro al movimento; ognuno voleva portare almeno un mattone per la costruzione del mondo nuovo che sognavamo.
Fu in quel clima di grande tensione morale, culturale e politica, che sentimmo prepotente il bisogno di riscoprire o rileggere gli avvenimenti di trent'anni prima che erano stati lasciati cadere in oblio dopo essere stati rappresentati per decenni con le tinte più fosche, come un fatto vergognoso della nostra storia, una cosa di cui era meglio non parlare. II clima culturale di Caulonia, e non solo di Caulonia, è di nuovo cambiato e di conseguenza sta prendendo piede una rilettura di quei fatti alla vecchia maniera; e mentre faccio questa affermazione, a scanso di equivoci, voglio esprimere il più grande rispetto verso coloro che hanno scritto "alla vecchia maniera" facendo uno sforzo apprezzabile di argomentazione e di documentazione.
I ribelli di Caulonia, che la mattina del 5 Marzo del 1945 si mossero dai loro tuguri alle prime luci dell'alba, che discesero per gli aspri balzi delle falde delle serre sotto i primi raggi del sole nascente, erano animati da un grande ideale di giustizia e di liberazione.
E questo mi basta.


Oggi non ci sono più in mezzo a noi gli eroi contadini, perché la civiltà industriale e post-industriale li ha sconfitti, distrutti, ma ci hanno lasciato un sublime messaggio: morire alla grande, combattendo nella difesa strenua dei valori della loro civiltà.
Secoli di duro lavoro e di stenti avevano insegnato a vedere al di là di quanto altri, ciechi della loro sapienza, non erano riusciti a comprendere: le classi dominanti rapaci ed arroganti, espressione della vecchia proprietà terriera, erano moribonde, ormai in agonia. Infatti, da lì a qualche anno i vecchi agrari sarebbero usciti per sempre dalla scena della storia. Questo videro nel 1945 i ribelli di Caulonia e tentarono di prendere nelle loro mani la bandiera del riscatto delle plebi meridionali. Ma fu un sogno, l'illusione di un attimo, perché altre e più potenti classi sociali, che in quel momento non erano ancora pronte, avrebbero assunto negli anni successivi il dominio sulla società.
Gli eroi di Caulonia scesero nel vecchio borgo feudale e lo presero in mano. Le vecchie classi dirigenti rimasero come intorpidite da tanta audacia e si consegnarono ai ribelli o scapparono.
Certo ci fu chi, dall'altra parte, si comportò con dignità e compostezza.
Ma non è mai questione di singole persone: la vecchia classe dirigente, consunta e disfatta al suo interno, aveva perso qualsiasi egemonia morale e culturale: si limitava ad esercitare un potere tirannico sulla società.


E' proprio per la mancanza di iniziativa e di uno sbocco alle proprie ambizioni che essa ,si era chiusa, in se stessa incattivendosi sempre di più. Infatti, quei notabili scappati dinanzi all'impeto dei "cafoni" di Caulonia e dei casolari vicini, tornarono, seguendo un'antica e ben collaudata tradizione borbonica, appena comparvero le prime baionette dei gendarmi. Contro i contadini di Caulonia, male armati e peggio organizzati si abbatté la furia bestiale di centinaia e centinaia di uomini ben armati, equipaggiati addestrati e, quello che più conta ferocemente aizzati e coraggiosamente guidati ed istradati nei vicoli della vecchia Caulonia dai notabili nel frattempo tornati alla luce. Erano loro che, in sostanza, compilavano gli elenchi delle persone pericolose e di quelle innocenti.
Se c'è una pagina della nostra storia di cui avrebbe dovuto aversi motivo di vergogna è proprio questa: la mattanza fredda, feroce e spietata contro gli eroi contadini che non avevano avuto volontà di far scorrere del sangue.
E se sangue di innocenti fu sparso, nei giorni della rivolta, ciò non rientrava in un freddo disegno dei ribelli, che, se si fossero fatti guidare da spirito di vendetta, ben altro sangue avrebbero sparso e non quello di un prete innocente.
I ribelli di Caulonia subirono la violenza prima e la prigione dopo: centinaia anni di carcere furono loro irrogate; ma uscirono dal carcere con una non domata volontà di lotta e furono protagonisti negli anni immediatamente seguenti delle grandi lotte che animarono Caulonia per il pane, per il lavoro, per la terra.
L'allargamento dell'area dirigente e il radicamento nel nostro Paese dei valori della democrazia sono conquiste dovute anche al sacrificio dei combattenti del 1945.
Mi chiedo a questo punto che valore possano avere le argomentazioni di chi tratta i ribelli da violenti, mafiosi e, peggio ancora, da sciocchi ignoranti : poveri imbecilli.
C'è ormai in mezzo a noi tanta gente che solo perché ha letto qualche libro in più si prende tutte le licenze, per cui, per non rischiare qualche aggressione verbale o cartacea, sto inquattato nel mio, sperando che un giorno si possa discutere, anche tra noi con un po' più di stile.
C'era nei rivoltosi, ed è questo un dato innegabile, una forte volontà di riscatto e di liberazione in mezzo ai contadini nel primo novecento.
Nessun intellettuale, nessuna forza politica s'era mai posto il problema, a quel che si sa della loro miseria, del loro riscatto, della loro liberazione.
Ma essi avevano bisogno di una guida.
A Caulonia c'era un uomo, di buona cultura, audace, coraggioso, ostinato e, soprattutto dotato di uno spirito ribellistico ed antistatale.
Era inevitabile l'incontro tra lui ed i "cafoni".


Pasquale Cavallaro, il figlio Ercole e Guido Verdiglione
Fonte: Caulonia, dal Fascismo alla "Repubblica" di Orazio Raffaele Di Landro

Da questo incontro nacque "quel movimento".
Non è mio intento vestirmi dei panni dell'esperto per dare un giudizio storiografico sulla rivolta, sui suoi limiti, sulle sue possibilità di sviluppo, sul ruolo del suo capo, positivo o negativo che sia stato, sul peso avuto dalla "ndrangheta" e se essa abbia contaminato la rivolta o se essa debba considerarsi espressione della volontà di autonomia dei contadini rispetto alla tirannia dei notabili che erano alla testa di un sistema di potere di inaudita crudeltà e violenza.
Non trovo difficoltà a riconoscere che il movimento non era espressione di una classe che per tutta una serie di situazioni potesse candidarsi a dirigere uno Stato.
Quello che, invece, io non riesco a capire è la pretesa di giudicare la rivolta di Caulonia sulla base della vita delle vicende giudiziarie e, più complessivamente, personali di Pasquale Cavallaro. Di questo passo, infatti, bisognerebbe riscrivere la storia dell'umanità. Gli storici a questo punto dovrebbero chiedersi qual era la fedina penale di quelli che assaltando la Bastiglia nel 1789 diedero inizio alla Rivoluzione Francese, o degli uomini che assaltarono il Palazzo d'Inverno o che seguirono Mao nella lunga Marcia.
Oppure bisognerebbe indagare sulla vita, assai avventurosa, di Garibaldi nell'America Latina, prima che diventasse l'eroe Dei Due Mondi ecc. ecc.
A noi interessa il movimento e poi la figura di Cavallaro in rapporto ad esso.
Né quello che fu prima, né quello che Cavallaro fu dopo, può modificare la sostanza del giudizio sulla rivolta.
Lo so che oggi non ci sono i miei ribelli del 1945. Da allora ad oggi son successe tante cose.
Essi furono sconfitti come gli eroi Troiani che videro bruciate le loro case come loro si sparsero per il mondo, perdendo anche la loro identità culturale e persino l'orgoglio di essere stati protagonisti di un fatto glorioso.
Oggi non c'è più la generosità e la solidarietà umana di quei tempi. Oggi sono sempre più numerosi e, forse prevalenti, quelli che la lotta politica la fanno con altri intenti.
E questo è per me un motivo in più per immortalare le gesta gloriose degli eroi di Caulonia del 1945.
 
   


 

Ancora sulla rivolta di Caulonia: "I miei ribelli"
di Nicola Frammartino
Il Corriere di Caulonia - Agosto 1988



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