------- Parte seconda - Corriere di Caulonia - marzo 1988..giugno 1988
Fin qui i fatti che riguardano la figura di Nicola Ciccarello detto Tocca. |
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lI giorno dopo, dieci settembre 1847, il giudice di Castelvetere Raffaele Lo Schiavo comunica a Nunziante l'avvenuto arresto dei quattro pericolosi carbonari grazie alla fedeltà dei cittadini alla casa borbonica. Contrariamente al giorno precedente il tempo si va mettendo a cattivo e pioviggina quando i quattro, sotto buona scorta, vengono condotti alla cancelleria del «regio giudicato» per essere interrogati. Cancelliere è don Silvestro Prota, anche lui massone, e gli arrestati, che lo conoscono, gli si confidano e gli affidano carte compromettenti perché le distrugga |
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Interrogati, vengono condotti nelle carceri di Gerace Marina dove il 21 vengono raggiunti da Ruffo ed il 22 da Rossetti e Mazzoni arrestati dal capo urbano Giuglio Cappelleri da Roccella. lI 1 ottobre si riunisce la commissione militare presso il tribunale di Gerace Sup. e, presidente, è il colonnello Rivaroll, monarchico fanatico. Il Cap. Nunziante ha una parte importante nel processo conclusosi in una sola udienza. Egli ha distrutto i verbali d'interrogatorio redatti dal giudice Lo Schiavo ed ha preparato la stesura dei verbali dei setti arrestati in maniera da far apparire la loro responsabilità meno grave Fu sul comportamento degli imputati, un'esposizione che può salvar loro la vita. Ma un colpo di scena capovolge la situazione. Quando viene esibita, come corpo di reato la bandiera tricolore trovata addosso al Ruffo, con la scritta W l'Italia, W Pio IX, il Presidente Rivaroll la sputa. Ruffo, Mazzoni, Salvadori, Bello e Verduci reagiscono offendendo la Corte, mentre Rossetti e Gemelli che, con Mazzoni, sono roccellesi, se ne stanno calmi e contriti I primi cinque vengono condannati a morte, Rossetti e Gemelli sono condannati a 15 anni di carcere. Tre mesi dopo, però, con la proclamazione della costituzione, i due godono di un'amnistia politica e riconquistano la libertà. I cinque condannati a morte nelle prime ore del pomeriggio del giorno dopo vengono condotti alla chiesa di S. Francesco per riceversi i conforti religiosi e quindi, tradoti sul luogo del supplizio, vengono fucilati. |
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Nel periodo di cui i fatti che andiamo narrando s'innesta la nobile figura di un nostro concittadino: Vincenzo Niutta. Egli, nella nostra storia, vi entra marginalmente e in questa sua posizione lo lasciamo pur evidenziandone la perizia, le sue doti d'ingegno, di capacità e di rettitudine. Nato a Castelvetere, il 20-5-1802 da Ilarioantonio Niutta e da Marianna Deblasio, sorella del non meno celebre Ilarioantonio Deblasio, appena diciottenne raggiunge a Napoli lo zio volendone rimarcare le orme. Ilarioantonio Deblasio, nato a Castelvetere nel 1767, a 50 anni, nel 1817, istituitasi la Grande Corte Civile delle Calabrie con legge n. 727, ne è il primo Presidente a Catanzaro e due anni dopo viene chiamato a Napoli presso la Suprema Corte di Giustizia della quale è Presidente quando muore il 24-II 834 |
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Ma torniamo a Vincenzo Niutta che si rivela d'ingegno elevatissimo tanto che negli ambienti politici e giudiziari il suo nome è preceduto dall'aggettivo «grande»: il grande Niutta. Possiede una vasta preparazione culturale oltre che giuridica unita a grande nobiltà di sentimenti. A 22 anni è già uditore giudiziario; a 29 anni Presidente di Tribunale; a 42 anni Consigliere della Suprema Corte. Leggermente bleso limita i suoi interventi orali ma carica le sue sentenze di un profondo acume che le tramuta in giurisprudenza. Appartiene alla Massoneria della corrente liberale e lo stesso re Ferdinando ne è a conoscenza, tanto vero che subito dopo i fatti da noi narrati e relativi ai martiri di Gerace, lo vuole destituire ma non lo fa per paura, sì grande è la popolarità del Niutta e sì potente è la Loggia Massonica di Napoli della quale Niutta è fratello oratore. Perché re Ferdinando ha un attimo di esitazione e vuole destituire il Niutta dall'incarico? Qui entriamo in un campo di rovi colmo di «si dice» e di «sembra» perché, purtroppo, non abbiamo documenti a nostro suffragio come li abbiamo, invece, per tutto quanto si è scritto fin'ora. Il Vescovo Perrone Pare, insomma, che Vincenzo Niutta, sul seggio della sua influenza presso la corte Borbonica sia riuscito a Carpire la buona fede del re e gli abbia fatto firmare una raccomandazione affinché i carbonari arrestati a Castelvetere venissero giudicati con clemenza. Nel regno borbonico i fili conduttori della cosa pubblica sono nelle mani del clero e, pertanto, la «raccomandazione» del re in siffatta trafila clericale, perviene tempestivamente al Vescovo di Gerace mons. Perrone il quale ritiene opportuno tacere per dare la comunicazione al Tribunale militare ad esecuzione avvenuta. Non solo, ma il Vescovo comunica ai suoi superiori a Napoli che i cinque fucilati erano cospiratori massonici antiborbonici e mangiapreti non meritevoli della benevolenza del re. Ferdinando, naturalmente, crede in questa versione e se la prende con Niutta. Tutto è segreto di curia e noi ci limiatiamo ai «si dice» ma è certo che due giorni dopo la fucilazione dei cinque e cioè il 4 ottobre festa di S. Francesco e onomastico dell’ erede dl trono il Vescovo Perrone Conclude la sua omelia con le parole del salmo: convertisti planctum meum in gaudium mibh. Concludiamo con Vincenzo Niutta ricordando che nel 1859, appena salito al trono Franceschiello (22-5-1859) e eletto Presidente della Suprema Corte di Napoli e in tale carica viene confermato dal Dittatore Garibaldi il 7 settembre 1860 ed al quale consegna il risultato del plebiscito del 21 ottobre dello stesso anno. Con il regno sabaudo Vincenzo Niutta viene nominato senatore e, contemporaneamente, Presidente della Corte di Cassazione di Napoli che ha sostituito la Suprema Corte di Giustizia. Muore a Napoli 1 settembre 1867. Incidentalmente abbiamo chiamato in causa l'Eroe dei due mondi. Egli non viene a Castelvetere ma nei suoi tre giorni di ozio a Ferdinandea (23-25 agosto 1869) ospite della famiglia Fazzari, ci manda un gruppo dei suoi volontari ai quali affida la bandiera con la sua effigie da regalare a don Angelo Raffaele Campisi, Maestro Venerabile della loggia massonica locale. |
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Concludiamo lI racconto di una vicenda che meriterebbe una trattazione più ampia e, certamente, non volgarizzata dalla nostra penna. Non già per la figura di Cola i Tocca, ma per quella dei cinque martiri che, certamente più d'ogni altro avvenimento storico, ha sollecitato, qualche mese dopo ed esattamente il 29 gennaio 1848, la Carta Costituzionale promulgata da Ferdinando II. Eravamo partiti con l'intenzione di non pronunciarci
sull'operato del Tocca lasciando all'eventuale lettore ogni considerazione,
ma, volendo agganciarci alle fonti storiche da cui si trae argomento,
ne consegue che, sia pure nel modo più succinto, ne dobbiamo riportare
anche i concetti. |
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Vittorio Visalli nel suo volume «Lotta e Martirio del Popolo Calabrese (1847-1848)» (Ediz. Brenner-cosenza) definisce il Tocca «giovinastro mezzo scimunito e maligno». Il dottor Ubaldo Franco, nella Sua «Vita intima di un paese della Calabria nei secoli scorsi» accenna al fatto che «Castelvetere fu un centro importante della Carboneria e che quando i protagonisti dello sfortunato tentativo rivoluzionario del 1847 si rifugiarono nelle nostre montagne non lo fecero a caso, ma speravano di trovare aiuti dai loro confratelli, cosa poi che, com'è noto, non avvenne ... Il dott. Franco spera di poter trattare a parte, un giorno, gli avvenimenti di quell'epoca ma il Suo destino avverso ci priva, oggi, della lettura di fatti che, raccontati da Lui, sarebbero ben altra cosa di fronte a quanto andiamo facendo noi. Perché di questi avvenimenti, come di molti altri, con il dott. Franco ne avevamo discusso, sulla scorta di documenti in suo e nostro possesso, ed eravamo d'accordo sulla figura di Cola i Tocca, anche perché la madre di chi scrive, Marianna Pachì, ricordava benissimo i racconti di suo nonno Francesco Pachì, massone e poi, almeno fino al Volturno, al seguito di Garibaldi. Non conserviamo più tutti i documenti e le prove dell 'appartenenza di questo nostro bisavolo ai movimenti rivoluzionari di quell'epoca e dai quali il dott. Franco riporta, nell'opera citata, il nome di Francesco Pachì ma ne abbiamo ancora abbastanza ed a disposizione di chiunque voglia esaminarli. La nostra tesi sulla figura del Tocca è quella secondo la quale lo abbiamo descritto. Un pizzico di fantasia, che poi non guasta quando c'è di mezzo il vino che, purtroppo, nella circostanza fa sì che il Tocca tradisse le persone affidategli. |
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I ricercati quali capi della rivolta del settembre 1847 non si partono come Domenico Salvadori da Bianco o Rocco Verducci da Garaffa e Gaetano Ruffo da Bovalino, Michele Bello da Siderno e gli stessi Pietro Mazzoni e Stefano Gemelli da Roccella per raggiungere le campagne di Castelvetere in cerca di un nascondiglio occasionale. Essi vengono da noi sicuri di trovare protezione presso i carbonari locali i quali non li avrebbero mai affidati, come loro guida, ad un «scellerato» o ad uno «scimunito». | |||
E concludiamo come già avevamo concluso, che cola i Tocca è un traditore tradito dal vino. Lamentiamo adesso il nessun rilievo dato dalla storiografia ufficiale alla vicenda dei cinque Martiri di Gerace di gran lunga più importante dell'episodio dei Bandiera. Vero è che quest'ultimi sono stati esaltati da Mazzini come fulgido esempio di olocausto per la libertà e l'unità d'Italia mentre i cinque giovani caduti a Gerace il 2 ottobre 1847, che non erano mazziniani ma carbonari, non hanno avuto dalla storiografia ufficiale il riconoscimento, ampiamente meritato col supremo sacrificio della vita, di antesignani della libertà e dell'unità d'Italia. Certamente più meritevoli di gratitudine storica di quanto lo siano altre figure di cui sono pieni i libri scolastici, se il loro olocausto assieme a quello di Domenico Romeo da Santo Stefano vale a smuovere, ancora due mesi prima di Carlo Alberto l'indole coriacea del Borbone che concede la Costituzione. Ci sorprende soprattutto lo stesso Montanelli che nella sua voluminosa Storia d'Italia (CDE spa) - Milano) ci diletta con le avventure degli amanti delle amanti di Cavour ma non spreca un accenno ai moti insurrezionali del Mezzogiorno durante il risorgimento. Chiudiamo l'argomento dell'attività carbonara e delle sue conseguenze. Castelvetere è certamente una delle fucine più consistenti della fascia jonica e da essa si attende chissà quale miracolo. Invece essa tace e non interviene neppure per liberare dal carcere i fratelli arrestati che per due giorni e due notti restano rinchiusi nelle celle del vecchio convento da dove, molto tempo dopo, evadono altri reclusi calandosi in un tubo fognante e raggiungendo la Vignacorta. Né accettiamo l'affermazione del Visalli (Opl. cit.) secondo la quale, sospettando la presenza dei ricercati nel nostro territorio, il sindaco Nicola Asciutti mobilita il sottocapo urbano Cerchiara (Domenico lerace) il quale scende da Campoli con undici urbani ai quali si uniscono altri Otto da S. Nicola. Or non è pensabile che un modesto nucleo urbano come Campoli - al tempo in cui Castelvetere tutta conta 6.000 abitanti - possa disporre di undici guardie civiche che è come dire, undici carabinieri di oggi. Restiamo del parere che fare evadere gli arrestati sarebbe un giuoco di bambini tanto più che le strade pullulano di gente venuta da fuori ben disposta a menare le mani. Invece, e ci duole doverlo ammettere, i massoni e i carbonari locali, si chiudono in silenziosa attesa tanto vero che, calmatesi le acque, Roccella vanta ben 68 persone coinvolte nei moti mentre Castelvetere ne ha una sola: il cittadino Alvaro Ilario di Vincenzo di anni 26, contadino. (Visalli: op. cit.). Massoneria e Carboneria di Castelvetere subiscono un calo tremendo mentre Roccella assurge a depositaria di virtù eroiche nella opposizione al regime borbonico ed anche dopo l'unità d'Italia la locale Loggia lavora mirabilmente legandosi a quella di Catanzaro in un abbraccio fraterno tra uomini di cultura. Questa attività permane fino all'avvento del fascismo. Castelvetere, invece, che il 26-3-1865 prende il glorioso nome di Caulonia, cessa la sua attività rivoluzionaria e gli addetti ai lavori formano il circolo dei nobili per trascorrervi le loro ore di ozio Caduto il fascismo, dopo l'otto settembre 1943, Roccella si risveglia e la Loggia «Tommaso Campanella» riapre le porte del tempio. |
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Bussano i fratelli roccellesi, alla ricerca di neofiti, da Locri a Caulonia e un anno dopo possono vantare una scuola di etica che s'impone su tutta la fascia ionica. Quattro sono i cauloniesi ammessi a questo consesso fino al 1945 e, tra essi, un medico. A questo punto, per concludere la vicenda massonica locale, dobbiamo entrare in particolari che possono generare reazioni. Non abbiamo paura perché - senectus docet - conteniamo il nostro dire nella misura di quanto possiamo dimostrare. |
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I fascisti si illudono che appoggiando - massonicamente - il Governo Italiano lo possono mettere nelle condizioni di subire, dal lungo armistizio, il minor danno possibile. E’ certo che, animati da questa lodevole intenzione, i fascisti danno incremento alla costituzione di Logge. Nel 1945 chiede di far parte della Loggia di Roccella il dott. Ubaldo Franco. I fratelli di Roccella e tre dei quattro fratelli cauloniesi ne sono entusiasti, ma il quarto, il medico, pone un veto assoluto. La storia si ripete ogni tre mesi per più di un anno e quel «No» impedisce al dott. Franco di far parte della grande Famiglia. Gli altri tre massoni locali decidono di istituire «Triangolo» e di procedere all'iniziazione di almeno altri quattro profani al fine dì potere, in numero di sette, minimo richiesto, erigere una Loggia. Si ha così, dopo 86 anni, all'Oriente di Caulonia, la nuova Loggia «Giuseppe Garibaldi» il cui primo Maestro Venerabile è d. Alfredo Collaci. Ma il dott. Franco non ha la pazienza di aspettare e si rivolge alla Loggia di Catanzaro dove viene accolto con il primo grado di Apprendista. Partecipa in seguito ai lavori della Loggia locale come fratello visitatore, senza mai chiedere l'affiliazione pur non essendo, questo fatto, ammesso dall'art. 362 degli Statuti Generali della Massoneria. Egli preferisce rimanere all'ordine della Loggia di Catanzaro così come fa l'altro medico che rimane con la Loggia di Roccella J. Dopo il 1950 i fratelli di Caulonia e di Roccella si disperdono alla ricerca di una sistemazione lontana dai nostri confini e passano ad altre Logge o si mettono in «sonno». E’ questa una espressione che sta ad indicare che il massone rimane idealmente tale e può partecipare ai lavori di tutti gli Orienti, ma non è soggetto a quote o tasse non avendo più una sua Loggia. Gran successo conseguono i roccellesi avv. Pietro Muscolo a Genova, Raffaele Ursini e Vincenzo Lombardo a Milano. I cauloniesi, invece, molti dei quali dormono il sonno eterno, non sono attivi sotto nessun Oriente. Un tentativo di risveglio si manifesta nel 1963 senza alcun esito ed un secondo tentativo si ripete nel 1971 con l'iniziazione di un solo profano a Roccella. Dopo di che tutto tace. |
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