------- Parte prima - Corriere di Caulonia - dicembre 1987..febbraio 1988
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Molti giovani cauloniesi, novelli don Abbondio, si chiederanno: Cola i Tocca, chi era costui? Diciamo che Nicola Ciccarello detto Tocca, appartiene ad una vicenda vecchia quanto il cucco che noi vogliamo rinvagare perché interessa da vicino la storia di Castelvetere, nel periodo risorgimentale. Spesso ci capita, infatti, di sentir parlare dei cinque martiri di Gerace che erano legati al nostro ambiente, ma molti, probabilmente non ne sanno di più. |
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Siamo nel 1847 quando Caulonia è ancora Castelvetere, e tre dei cinque martiri di Gerace, assieme ad altri due rivoltosi, guidati da Nicola Ciccarello, trovano rifugio nella grotta detta del Ioco, sotto Strano. «Lo scellerato li nascose ma poi li denunciò e li fece arrestare». Con questa frase interpreta il fatto l'esimio arciprete Davide Prota nella sua pubblicazione del 1913 in «Ricerche storiche su Caulonia». Con tutta la stima che coltiviamo nei riguardi dell'arciprete Prota dissentiamo dalla sua aggettivazione verso il Tocca, certamente conseguenza dei sentimenti che animano un recente evento al quale, poi, il tempo potrà dare altra configurazione. Ma ancora ai tempi del Prota, il Ciccarello appariva uno scellerato. Noi, pur essendo posteri, non azzardiamo una sentenzia, ma ci limitiamo a riferire circostanze, mentalità, fattori ambientali e momento storico nel quale l'evento si è consumato, lasciando al casuale lettore la possibilità di un suo giudizio L'Europa era in fermento da oltre un secolo Già da oltre un secolo l'Europa è in fermento. I popoli hanno maturato il periodo rinascimentale e chiedono garanzia all'ombra della carta costituzionale. I più animosi si riuniscono in sette segrete. E opportuno evidenziare che già un secolo prima, nel 1750, gli statuti napoletani definivano la massoneria «un composto di cittadini tra i più benemeriti della religione e dello Stato, uniti in benefizio dell'umanità col più stretto legame di virtuosa amicizia in una sola e ben regolata famiglia». Si può, quindi, dare ragione a quegli storici che danno la massoneria presente da noi fin dal 1743, esattamente dieci anni dopo la fondazione della prima loggia massonica italiana costituitasi a Firenze nel 1733. Dicevamo che, al tempo in esame, la confusione tra le file carbonare era grande e lo stesso Mazzini, entrato a far parte della massoneria, nel 1829 con l'intento di infonderle uno spirito più moderno, due anni dopo fonda la «Giovane Italia» e scompagina ulteriormente le file carbonare. Nel napoletano sono scomparsi i murattiani che, catechizzati dai filadelfi, avevano creato una considerevole corrente filofrancese mentre, innestandosi su preesistenti logge massoniche del rito scozzese, la carboneria recluta i suoi adepti soprattutto nelle file dell'esercito e tra la borghesia, facendosi espressione delle aspirazioni patriottiche e costituzionali. Ma le varie correnti carbonare che si presentano più come un partito di azione che di pensiero, mancano. come si è detto, di un programma efficiente ed unico che le armonizzi e quindi bussano al tempio massonico alla ricerca di un governo centrale. Ne consegue l'istituzione di numerose logge nei principali centri del regno borbonico tra le quali, non ultima, è la loggia di Castelvetere la cui influenza si estende da Bianco a S. Caterina. Le persone non più in grado, fisicamente, di azioni di disturbo, partecipano alle riunioni massoniche mentre i giovani, più attivi, restano carbonari e soltanto alcuni di essi, con almeno il terzo grado, quello di maestro, hanno acceso alla loggia. Dopo la fucilazione di Gioacchino Murat Scomparsa, come abbiamo detto, la corrente filofrancese, dopo la fucilazione di Murat al quale, evidentemente, lo svevo Corradino non aveva insegnato nulla, operano, da noi, la corrente repubblicana conseguente alla infiltrazioni mazziniane; quella che programma un'unità nazionale sotto il governo di Ferdinando lI al quale, già all'età di dieci anni, 1820 e poi re dall'8-11-1830, si era pensato di conferire prima la corona di Lombardia e poi quella di re d'Italia, alla quale egli, ufficialmente, rinunziò; la corrente che vedeva in Pio IX il toccasana dei problemi nazionali ed era quella predominante nelle diramazioni all'obbedienza della Loggia di Castelvetere. Infine non va tralasciato il fatto che nel 1847 il Piemonte dà asilo ai patrioti del Lombardo-Veneto. Carlo Alberto non nasconde le sue aspirazioni e, probabilmente, se non avesse tentennato troppo, sarebbe assurto a posizioni ben diverse da quelle che lo hanno mandato ad Oporto. Tanto più che in suo aiuto accorre Ferdinando lI con due divisioni agli ordini del gen. Guglielmo Pepe e accorrono anche i pontifici agli ordini del gen. Durando. Questo spiega la presenza, nel regno delle Due Sicilie di una corrente carbonara filopiemontese. E’ facile immaginare l'agitazione con la quale si svolgono le sedute presso la loggia d'oriente di Castelvetere, tanto più che la carboneria si è andata incrementando con l'apporto di masse operaie e contadine assoggettando il sentimento religioso con la promulgazione del culto a S. Teobaldo (simbolo della lotta dell'uomo contro i tiranni) e la devozione al suo protettore S. Giovanni Evangelista. Scrive ancora il Prota: oltre al guaio del brigantaggio, c'è quello dei carbonari. Questi settari chiamano vendite le loro adunanze, pecore se stessi, lupi i francesi ed il popolo agnello; le vendite si facevano alla prenseza di un cadavere sanguinoso che si chiamava il figliuolo unigenito di Dio ucciso dai lupi. Costoro, oltre alla distruzione dei francesi aspiravano ad una Repubblica. In questa setta vi appartennero vari dei più cospicui cittadini di Caseltevere, perché era vezzo di quei tempi, che vari dei più cospicui cittadini di Castelvetere tutte le persone colte fossero carbonari». Evidentemente il Prota fa confusione tra massoneria e carboneria ed a quest'ultima gli unici repubblicani che vi appartenessero, erano quelli provenienti dalle file della Giovane Italia. Per quanto concerne le vendite alla presenza di un cadavere sanguinoso, giustifichiamo il Prota ricordando che egli, arciprete, apparteneva a quella Chiesa che non accetta altre dottrine oltre le proprie. Maestro Venerabile della nostra loggia è Angelo Raffaele Campisi (che poi sarà deputato al primo parlamento italiano con capitale a Firenze: 1865-1870). Non esiste un tempio così come voluto dallo statuto massonico e le adunanze hanno luogo nel palazzo oggi del dott. Angelo Riccio. lI palazzo comprende numerosissimi locali con più uscite tra le quali, alle spalle, quella che immette in un vicolo secondario che dà accesso alla scuderia. È, insomma, un facile asilo per chi abbia motivo di nascondersi. A questa possibilità si deve aggiungere l'omertà conseguente al sentimento di riverenza e devozione che porta i cauloniesi alla deferenza leale verso quelli in possesso di una superiorità morale o sociale. Nicola Ciccarello, da Strano, appartiene ad una famiglia contadina. Il padre, Giuseppe, è un «letterato» perché ha frequentato la seconda classe ed i figli, orgogliosi di tanto padre, non vogliono essere di meno. Nicola, il maggiore, è un uomo di fiducia della famiglia Campisi la quale non ha segreti per lui. È il Ciccarello che, in occasione delle sedute massoniche, introduce gli ospiti in casa facendone gli onori ed offrendo il rosolio o il vino, ma ne ascolta anche i preliminari. Il Primo settembre Messina si solleva Entriamo nel vivo dei fatti: il primo settembre 1847 la città di Messina si solleva e in poche ore è sotto il controllo dei carbonari. Le guarnigioni borboniche si chiudono nei loro quartieri pronti a difendersi da eventuali attacchi che, però, i rivoltosi non effettuano. lI due settembre Domenico Romeo da S. Stefano e Rocco Verduci da Sant'Agata di Bianco, chiamano a raccolta i carbonari della zona ai quali si uniscono quelli di Salvadori da Bianco e di Gaetano Ruffo da Bovalino. La fascia jonica è in fermento ma Castelvetere non si muove. I carbonari locali guardano il palazzo Campisi in attesa di disposizioni e la sera del tre settembre, mentre la piazza (piazza Seggio) e piazzetta Mortella pullulano di giovani in attesa, nel palazzo la discussione è alta. |
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Roccella si muove con pochi elementi capeggiati da Pietro Mazzoni, da Stefano
Gemelli e da Giovanni Rossetti i quali mandano ambascerie a Castevetere
da dove attendono disposizioni e, soprattutto, la forza numerica di
uomini armati. Ma nel palazzo, i massoni in seduta, non concordano
in alcuna decisione, e soltanto verso le due del mattino del 4 settembre
arriva l'invito alla calma in attesa di eventi. |
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La realtà tradisce tale aspettativa perché egli consegna alla giustizia i responsabili della rivolta salvo a battersi, non sempre positivamente, per salvar loro la vita. lI sette settembre ogni segnale di rivolta è spento ma il clima resta rovente perché, dal nord, arriva la notizia che Carlo Alberto sta mobilitando l'esercito. E’, quindi, prudente nascondere i capi dei rivoltosi ed attendere gli eventi. I fratelli Raffaele e Nicola Campisi si assumono tale impegno e rimandano alle loro case i roccellesi con l'incarico di avvertire i capi dei rivoltosi di ritrovarsi in una località da dove essi, i Campisi, avrebbero provveduto a farli condurre al palazzo. Esiste, sulla strada verso il Bosco Catalano di Roccella, poco dopo il bivio per il Salice, sulla destra, una cappella dedicata a S. Sostene con attorno i ruderi di quello che è stato un piccolo convento di frati. lI mattino dell'otto settembre, già prima dell'alba, Salvadori, Verduci, Bello e Gemelli sono nascosti tra questi ruderi e qui arriva Nicola Ciccarello, mandato dai Campisi. lI tempo si va gustando e Ciccarello consiglia un avvicinamento che li porta a riparare nella grotta del loco, sotto Strano, località a lui ben nota. Nella penombra crepuscolare i cinque consumano le cibarie dei quali il Ciccarello era stato prudentemente fornito dai Campisi, e scelgono un angolo dove riposare. Più che il lauto pasto, il buon vino ha sollevato il morale di tutti, e al dialogo dei quattro si unisce la voce del Ciccarello. Costui, uomo furbo e guardingo, pronto a cogliere un'occasione utile da ogni circostanza senza mai esposrsi a rimetterci qualcosa, non condivide la presa di posizione dei quattro giovanissimi ai quali la vita sembra aver dato più del necessario. Fare la rivoluzione e perché?... contro il nostro re che è un galantuomo. Le tre effe: festa, farina e forca D'accordo per l'unità degli italiani, ma sotto la repubblica non sotto il Savoia o Pio IX. Figuriamoci, quello ci manderà i carabinieri e gli agenti delle tasse e Pio IX, poi, il dominio dei preti, figuriamoci. Certo, se non ci fossero stati a romperci... i fratelli Bandiera e i moti di tre anni fa, il re la costituzione ce l'avrebbe già concessa. Le tre effe: festa, farina e forca? Godiamoci la festa e la farina ed alla forca ci vada chi la va cercando. La festa di Crochi L'alba dell'indomani, nove settembre, annunzia la quiete dopo la tempesta ed è domenica. Il cielo è azzurro e alla Contrada Crochi si svolge la tradizionale festa della Madonna. Moltissimi sono i partecipanti specie dai molti villaggi perché, religiosità a parte, la festa del greto del torrente Amusa, è occasione d'incontro annuale di parenti ed amici residenti anche a distanza notevoli. E’occasione d'incontro dei numerosi preti del Centro, di Campoli di Ursini e di S. Nicola, per concordare il costo una messa o di un funerale: l’ unione fa la forza, è detto. La festa è anche occasione combinazioni matrimoniali. Rosa di S. Nicola dice al marito: “Bruno, ti ricordi quando è nata Mariannina nostra, quando son venuti a trovarci i compari Nuciforo di Candidati, quando hanno bevuto il nostro vino della vigna di Calatria? Quando compare Ilario ha esclamato che per una vigna capace di produrre quel vino darebbe l'anima al diavolo? Ti ricordi che hanno portato il loro bambino Ciccillo che aveva sei anni?” |
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Mastro Bruno, il marito, alle prese con una «cannata» di vino che si
esaurisce troppo in fretta, annuisce. Una lunga esperienza gli ha insegnato
la saggia consuetudine di non dialogare mai con la moglie ma di limitarsi
semplicemente a dire di si con un cenno del capo. «Il piccolo Ciccillo
- riprende Rosa - dovrebbe avere adesso venti anni e non è sposato
se no i compari ce l'avrebbero comunicato. Mariannina nostra ha già
sedici anni e comincia a preoccuparmi. Il corredo è pronto e la vigna
di Calatria hai detto sempre di volerla dare a lei. |
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Alla vigilia della festa di Crochi, dialoghi impostati su tale serio argomento si svolgono a Campoli come a Focà, a Pezzolo ed a Popelli, ad Obile ed a Finocchio: ovunque c'è un giovane per cui trovare una moglie ma soprattutto dove c'è una ragazza anziana di sedici anni alla quale trovare un marito. |
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Fin dal primo pomeriggio del sabato oltre i «feràri» con la cassetta di caglia, mustaccioli, caciocavallo e besciamelle vi sono i macellai professionisti e quelli improvvisati. La vittima predestinata è la capra ed il pasto tipico tradizionale per la sera del sabato è il «cotto», un insieme di interiora, budella comprese, lavate frettolosamente nelle acque del torrente e fatte cucinare a tocchetti nel pomodoro con abbondante peperoncino. Abboffarsi di «cotto» con soppressate e pecorino è una tradizione che si perde nei tempi. I giovani spensierati, colmi di vino, sentono l'odore delle vergini | |||
proveniente
da sotto le coperte, distese al riparo degli ulivi, ove bivaccano, tendendo
lo sguardo avido d'amore verso gli uomini che danzano freneticamente
sul greto al suono delle armoniche, cantando: Gli anziani continuano a consumare il «cotto» più saporito perché sempre meno pulito e le donne, nella chiesa, biascicano, sonnecchiando, le loro litanie. La Vergine, dall'alto del suo simulacro sorride su tutto e benedice tutti, anche coloro che, ubriachi, la bestemmiano. L'arrivo di Ciccarello Per il Tocca la festa di Crochi è una forte tentazione e non vi è mai mancato da quando aveva dieci anni. Lascia gli insorti nella grotta del loco dicendo di volersi recare a Castelvetere per sentirsi con i fratelli Campisi ma in realtà dalla grotta scende nell' alveo del torrente e lo risale raggiungendo Crochi. Quivi giunto è facile immaginare il trascorrere delle sue ore. Gli abbracci e i saluti non finiscono mai come pure i bicchieri di vino fino a quando l'incontro con il suo vecchio amico Domenico Cerchiara, non si conclude sotto un tendone, di fronte a due piatti di spezzatino di capra. Domenico Cerchiara è un fanatico borbonico, furbo fino al midollo, tanto che pur essendo semianalfabeta ed abitando a Campoli, viene nominato sottocapo urbano. Egli sa dei sentimenti anti borbonici dei Campisi che egli ritiene bene informati sugli avvenimenti degli ultimi giorni e, probabilmente, del rifugio dei ricercati, ma sa anche della fiducia della quale gode il Ciccarello presso di loro e sa che lo stesso, pur essendo un fedele servitore, non condivide le idee cospiratrici dei padroni. Tutti i Ciccarello sono notoriamente fedeli alla monarchia e vedremo in seguito come, tredici anni più tardi pagheranno con la vita questa fedeltà alla causa borbonica che, un'ironia storica, l’ha tacciata di tradimento. Dunque l'astuto Domenico Cerchiara sa tutto di tutti e sa fare pure la faccia del fesso quando deve carpire la buona fede degli altri. Le idee patriottiche del Ciccarello e del Cerchiara si identificano e i due sono intelligentemente furbi con la differenza che distingue il disinteresse e quindi la non malizia del Ciccarello dalla mestierante abilità del Cerchiara. Così i due sono lieti di trovarsi insieme seduti di fronte a due piatti di spezzatino di capra vicino ad una botte che mandava un aspro odor di vino a rallegrare l'animo. Un bicchiere tira l'altro ed una confidenza tira l'altra... L'arresto Quando a mezzogiorno, dopo i fuochi di artificio, il simulacro della Madonna viene riportato in chiesa, indice che la festa è finita, i due amici si accomiatano per seguire due itinerari diversi. Nicola Ciccarello, accompagnandosi ed altre comitive, sale verso il Sorgente per raggiungere Castelvetere e recarsi al palazzo Campisi. Il vice capo urbano Cerchiara rintraccia le altre tre guardie civiche dislocate a Crochi per sedare eventuali nsse che sistematicamente tutti gli anni si verificano a causa delle abbondanti libagioni, percorre all'inverso lo stesso cammino fatto la mattina dal Ciccarello ed alle ore 14 arresta i quattro sventurati i quali non oppongono alcuna resistenza. Incatenati entrano in Casteivetere da Porta Amusa che pullula di gente, salgono lungo il vallone e, raggiunto il convento dietro la chiesa del Rosario, vengono rinchiusi in carcere. lI convento, già dei frati domenicani, era malridotto quando il terremoto della sera del 5 febbraio 1783, che si è manifestato fino al 30 giugno, ha fatto crollare le mura che cingevano il nostro paese, riducendo l'edificio, che sorgeva a piombo su parte di esse, a soli pochi vani utili del piano terreno. Durante la seconda occupazione francese del 1806 il convento era rifugio di ribelli che mal sopportavano gli invasori per cui, nel 1811, Gioacchino Murat decretò la sua chiusura e fece trasformare le restanti celle dei domenicani, in celle carcerarie |
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Quando i quattro sventurati attraversano le vie del Paese un grido si leva
dalla bocca di tutti: hanno arrestato i carbonari! Nell'interno del palazzo Nicola Ciccarello è di fronte a don Raffaele al quale aveva finito di assicurare che, entro la mezzanotte, i quattro amici sarebbero al sicuro nella scuderia. «Lasciate la porta aperta -stava concludendo - e poi vi avvertirò io dalla porta di dietro». |
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Raggiunta a stento la Piazza, trattenuto dalla gente che vuole sapere e avuta certezza dell'arresto dei quattro, imbocca la discesa di porta Amusa dove sa che a sinistra c'è la peggiore gargotta paesana e conclude la serata con una storica sbornia. In Paese c'è fermento. In più si grida che i prigionieri, in nottata, saranno liberati, ma ormai la posizione dei massoni e dei carbonari locali è precaria. A Gerace Marina (Locri) è già arrivato verso mezzogiorno il capitano Alessandro Nunziante che fa il suo dovere di ufficiale borbonico, lontano mille miglia dalle aspettative e speranze dei carbonari della nostra zona. Il sottocapo urbano Cerchiara, nel suo rapporto, un pò per averne tutto il merito e un pò per gratitudine verso il Ciccarello che, sia pure involontariamente lo aveva messo sulle tracce dei rivoltosi, non fa menzione di quest'ultimo né dei fratelli Campisi, rivelando una furbizia prudenziale degna di ogni lode. Cerchiara verrà poi premiato con la croce di cavaliere all'ordine di Francesco I e 2.000 ducato (circa dieci milioni di oggi) saranno divisi tra tutti coloro che hanno partecipato all'arresto dei cospiratori. Dopo l'unità d'Italia lo stesso Cerchiara, in forti ristrettezze economiche venderà la croce di cavaliere ad un babbeo di Campoli per 60 piastre pari a circa un milione e duecentomila lire di oggi. |
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