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l “Mizzotiru, sovrintendeva ad ogni operazione
eseguita nel frantoio, questi era coadiuvato
dal “Cannavaru”, addetto alla contabilità e
alla cucina, mentre la manzione del “Paleri”
consisteva nel rigirare tramite una ”pala”
di legno le olive sotto la macina girata da un bue o da
un animale da soma, operai generici, invece erano i “troppitari”
che prelevavano il raccolto delle olive e dopo averlo
consegnato in olio riconsegnavano lo stesso alle abitazioni
dei singoli proprietari.
Momento importante della vita del frantoio era
il rituale mediante il quale si attua la raccolta
dell’olio che dopo la macina nella “squeda”
e l’operazione di pressatura tramite il “consu”
veniva raccolto nei “tinedi”, ovvero tini di
legno contenenti dell’acqua atta a tenere sollevato l’olio.
Alla presenza dei proprietari il “Mizzotiru” assistito
dal “Cannavaru” dava inizio alla raccolta dell’olio.
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Il “Cannavaru” con il primo mezzo
“cafiso” ( 8 litri ) si pagava il lavoro dell’animale; a questa
prima misura si attribuiva la definizione
di “tagghiatura”, assolta questa sorta di tassa, il “Mizzotiru continuava
la raccolta sempre con il mezzo “cafiso” che di volta in volta mutava
denominazione: “ a nome se di ddeo”, “a
Vergine Maria”, “tutti i Santi”, “santu Nicola e quattro”, “cinque”,
“sei, “setti”, dopo aver assegnato l’olio
scadendo i su citati mezzi cafissi, il rituale proseguiva con l’interpellare
il proprietario delle olive se intendeva
pagare a “minuto” o all’ “ingrosso”.
Al “minuto” si intendeva quando la
conta si concludeva con i sette “mezzi cafissi” e in questo caso,
il proprietario pagava il frantoio con
una “pignata” pari a 4 litri d’olio, all’ingrosso invece, poiché,
c’erano ancora olive da molire, il “mizzotiru
continuava la sua conta partendo da “ottu” fino a “quattordici”
sicchè il quindicesimo mezzo cafiso era
ciò che spettava al frantoio.
Culminante momento della stagione
olearia era la divisione della parte dell’olio rimasta al frantoio
tra il proprietario dello stesso e i troppitari,
a cui faceva seguito un pranzo finale a base di capretto e vino
locale.
Il gruppo si lasciava con l’impegno
di trovarsi l’anno seguente e con l’augurio di un copioso raccolto
da poter prevedere fin dall’agosto successivo.
Quest’ultime affermazioni e il detto
popolare che introduce l’argomento di questo articolo fanno chiaramente
capire, già altre volte abbiamo avuto modo di accennarvi, come nel
nostro mondo contadino il sistema di vita
in genere ed in particolare il sistema produttivo obbediscono ad
una ciclicità ben definita, organizzata,
scandita nel tempo riutilizzata in modo da poter essere prevista
e controllata.
Questo sistema così liturgicamente
preordinato è sorretto e pervaso da una religiosità che è una sineresi
tra cultura cattolica, senz’altro presente in forma egemone e pratiche
che sanno quasi di magia.
In un mondo dove nessun altro supporto
può offrire garanzie è comprensibile il bisogno di una sicurezza
a livello psicologico contro “il negativo” che si avverte, “impotentemente”,
incombente e quindi anche il ricorrere
a pratiche propiziatorie e talvolta esorcizzanti.
Alla
riscoperta delle nostre radici:
Mizzotaru, Cannavaru, Paleri e Troppitari
di
Teresa Giamba e Gustavo Cannizzaro
Corriere
di Caulonia - Febbraio 1988
Un
grazie a Luigi Briglia
per le splendide
foto
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