Con
le recenti elezioni amministrative si è chiusa una fase, lunga
quasi un decennio, che ha visto il centro-sinistra- e i DS, in primo luogo-
governare gran parte delle città e delle province calabresi.
I comuni capoluoghi di provincia, tranne Cosenza, sono, oggi, amministrati
dal centro-destra, insieme a quasi tutti i comuni più popolosi
della regione.
L'esaurimento di quella fase è cominciato con le elezioni regionali
del 2000, è divenuto evidente con le politiche dell'anno successivo
e si è completato con le elezioni amministrative del maggio scorso.
Particolarmente gravi sono stati in tutte queste consultazioni i risultati
della provincia e della città di Reggio C. .
All'ammissione della sconfitta non è seguita, finora, nei DS e
nel centro-sinistra una seria ricerca delle ragioni di questo progressivo,
grave arretramento. Anzi, gli equilibri di vertice nei DS hanno finora
imposto il rifiuto di un approccio critico alla politica di questi anni
Ricercare le ragioni della sconfitta è il primo, ineludibile compito
per i DS e il centro sinistra.
I motivi sono diversi. C'è , però, un dato politico essenziale
che va messo al centro della discussione e delle scelte strategiche che
i DS devono compiere per cercare di risalire la china: lo sgretolamento
di una politica spregiudicata che ha mirato, in maniera esclusiva alla
presenza nelle giunte locali e regionali, prescindendo, spesso, alla fin
dei conti, dagli obbiettivi e dalla qualità del governo, dalla
natura delle alleanze, in molti casi intercambiabili e segnate da evidenti
fenomeni trasformistici. E' stata la politica pigliatutto che ha, in un
certo momento, con supponenza infantile e velleitaria, preteso di far
giocare ai DS un ruolo simile a quello avuto dalla DC: per la posizione
di maggior partito della coalizione, per la volontà d raccogliere
pezzi di personale politico e di apparati che della DC si sentivano orfani,
per il disincanto maturato sulla possibilità di un cambiamento,
giungendo alla conclusione che nel Mezzogiorno non fosse possibile fare
diversamente dal tradizionale modo di governare.
Problemi non semplici, certamente, si pongono nella politica delle alleanze,
ma la sostanziale rinuncia ad un progetto di trasformazione in grado di
traghettare la società calabrese verso una condizione di minore
subalternità e dipendenza, è stato il modo attraverso cui
,inevitabilmente, si è consentito che si tornasse indietro negli
orientamenti di quella parte di società che aveva guardato alla
sinistra.
Infatti, l'ipotesi della centralità DS non ha preso neppure quota,
ma il prezzo pagato è stato alto in termini di crescita di fenomeni
trasformistici, di depauperamento delle nostre forze, di cesura con le
nuove generazioni, di assenteismo elettorale.
Il deficit di politica meridionalista del centro-sinistra , proprio nella
fase della globalizzazione e della virulenta campagna della Lega contro
il Mezzogiorno, ha reso ancora più pesanti questi processi.
Gli anni '90 hanno visto un'accentuazione delle caratteristiche negative
della Calabria e l'indebolimento del suo ruolo nel contesto meridionale
e nazionale.Ciò è avvenuto nell'assenza di un'apprezzabile
azione di contrasto e di una forte iniziativa politico-culturale tendente
a indicare la possibilità di un percorso diverso.
Rispetto alla "modernità distorta" non sono avanzate
una visione e una proposta diverse.
In questo modo l'orizzonte si è ristretto, la politica è
divenuta più misera, il linguaggio delle varie forze è divenuto
simile, il confronto è divenuto una gara per la semplice gestione
di ciò che c'è.
Proprio mentre le differenze dovevano essere visibili e forti per dare
alternative credibili ad una società in crisi ed alla ricerca di
risposte ,si è creata più confusione, sono cresciuti i particolarismi,
i localismi , il livello della conflittualità politica si è
ridotto ed è dilagata la trasversalità.
Si è scelta la fallimentare strada di praticare il vecchio modello
di relazioni tra politica e società, riproponendo quel surplus
di intermediazione nell'uso delle risorse nella speranza -del tutto vana-
di intercettare il voto reso libero dalla destrutturazione dei vecchi
partiti di governo.
Di più, questa scelta ha determinato il riciclaggio e la nascita
di una nuova leva di mediatori del consenso che si sono posti, in modo
trasversale, come punti di snodo tra i diversi schieramenti oltre che
come collettori di voti.
I ribaltoni sono stati l'espressione di tutto ciò.
La sinistra è stata divisa tra Rifondazione comunista, attestata
su posizioni estremamente minoritarie e chi, tra questi soprattutto i
DS, ha fatto del governo a tutti i costi l'unica frontiera dell'azione
politica, perdendo così l'occasione di allargare consenso e rappresentanza,
utilizzando il nuovo quadro delle relazioni sociali, derivante dalla concertazione,
per affermare coerenti politiche riformiste.
Così si è persa una straordinaria possibilità di
costruire un nuovo rapporto tra politica ed economia, tra istituzioni
e società.
La sinistra, il centrosinistra dovevano essere in grado di esprimere il
massimo di capacità riformista e di collegamento con il nuovo.
Di nuovo, invece, c'è stato solo l'assimilazione di un vecchissimo
modo di fare politica.
I risultati di questa fase in termini di sviluppo, di crescita democratica,
di maturazione di una soggettività sociale autonoma sono stati,
inevitabilmente, deludenti.
Il centro-destra ha potuto, così, intercettare, da una parte, la
delusione e, dall'altra, il bisogno di trovare un ancoraggio, una sicurezza.
Ha potuto presentarsi come espressione più diretta di forze della
società, oltre i limiti dei partiti e, nello stesso tempo, dare
sicurezza agli apparati e a buona parte dei centri tradizionali di potere,
costringendo il centrosinistra nel recinto della vecchia politica.
In effetti, nel governo delle istituzioni locali e regionale, un certo
spostamento dei centri decisionali c'è stato: dai gruppi dei partiti
il potere di scelta è passato, in buona misura, a gruppi, organizzazioni,
lobbyes che operano direttamente nella società.
L'esperienza più positiva, in questa fase, è stata la stagione
dei sindaci, caratterizzata complessivamente dalla buona amministrazione,
dalla stabilità, da visibili risultati che hanno migliorato la
vita delle città. Il consenso dei cittadini ha premiato chi ha
saputo esprimere meglio il senso civico della comunità e ha dato
questa impronta alla sua rappresentanza e alla sua opera.
Anche questa esperienza è stata segnata dalla personalizzazione
della politica e dalla crisi dei partiti. I due aspetti sono stati speculari
l'uno con l'altro, per cui al governo cittadino né si è
accompagnata e né è stata stimolata un'azione politica volta
a creare o a consolidare orientamenti politici e culturali di discontinuità
rispetto al modo tradizionale di fare politica, a fare crescere un più
elevato spirito pubblico, ad articolare una soggettività sociale
autonoma.
Alla personalizzazione della politica ha dato certamente una spinta decisiva
il sistema maggioritario, ma non era inevitabile la riduzione dei partiti,
anche in buona misura il partito dei DS, ad un sistema di relazioni personali,
con scarsa capacità di rappresentanza sociale, di progettualità
politica e di proiezione di valori, fino a giungere ai partiti-taxi da
usare in base ad opportunità e convenienze personali. Ciò
è stato il prodotto di determinate scelte politiche e degli orientamenti
dei gruppi dirigenti.
La vicenda della Regione racchiude ed esalta, per molti aspetti, tutte
le tendenze a cui fin'ora si è fatto cenno.
Nel 95 e nel 2OOO si sono avute le sconfitte del centrosinistra a seguito
di operazioni politiche tipo "ribaltone", che hanno reso incerta
la distinzione fra i due schieramenti e hanno, anzi, regalato al centrodestra
la possibilità di presentarsi come novità .
Ancora, oggi, si stenta a cogliere significative differenze negli obbiettivi
programmatici delle due coalizioni. Il modo di fare politica e di rapportarsi
ai cittadini non è di netta distinzione; comune, nella sostanza,
è stata nelle esperienze di governo dei due schieramenti la rinuncia
ad una azione per modificare la struttura della Regione, dominata dalla
inefficienza, non sottoposta ad alcun controllo, permeabile alla corruzione,
smisurata nella sua dimensione. Anzi, negli ultimi anni alcune di queste
caratteristiche si sono accentuate e il processo in questa direzione continua,
spesso con l'avallo del centrosinistra.
Il fallimento del governo di centrodestra alla Regione di questi anni
è clamoroso. Così come deludente è stata fin'ora
l'azione del governo Berlusconi. Si stanno evidenziando nettamente le
ipoteche antimeridionali sulla politica governativa, gli enormi ritardi
nella definizione di una strategia della Regione per affrontare i problemi
derivanti dal processo federalista, dall'acquisizione da parte delle regioni
di nuovi poteri e nuove responsabilità, tant'è che per la
sanità si è risposto semplicisticamente con l'imposizione
di nuove tasse e ticket che colpiscono in maniera indiscriminata e pesano
in maniera odiosa sui ceti più deboli.
La linea che sta emergendo è quella di affidarsi ad una politica
di lavori pubblici, ancora in buona parte annunciata e senza certa copertura
finanziaria, svincolata da una politica di sviluppo, da un forte sostegno
alla dinamizzazione produttiva della economia e della società.
Si pone con urgenza il problema della rappresentanza degli interessi regionali,
in una fase di oggettiva competizione con le altre regioni, e di una azione
del governo regionale che abbia caratteristiche di unitarietà per
l'intero territorio calabrese.
Il problema della rappresentanza degli interessi regionali, non poteva
essere risolta dai sindaci, anche con il segno positivo che ha avuto la
loro azione, e non si è risolto nemmeno compiutamente con l'elezione
diretta del Presidente della Regione.
La rappresentanza istituzionale calabrese è debole, anche nel contesto
meridionale, perché priva di un progetto autonomo e di un rapporto
democratico con i cittadini ed è minata nella sua credibilità
dal predominio di visioni e pratiche particolaristiche e localistiche.
C'è il pericolo, non correggendo in tempo queste tendenze, di una
frattura della tenuta unitaria della regione.
In ciò sta la ragione principale del fallimento di Chiaravalloti.
Nei due anni di governo del centrodestra l'elemento dominante è
stato il permanente braccio di ferro, da cui sono scaturite ben tre giunte,
tra il Presidente Chiaravalloti e i vecchi o nuovi gruppi di potere dei
partiti. La posta in gioco è, naturalmente, il controllo della
stessa.
La debolezza politica di Chiaravalloti e la volontà di appropriazione
delle istituzione da parte dei gruppi di vari partiti, hanno prodotto
una modesta azione di governo, la paralisi in settori importanti della
spesa, non hanno permesso di affrontare con tempestività e serietà
i problemi derivanti dalla modifica della parte V^ della Costituzione,
hanno dato vita alla vicenda sconcertante dell'elaborazione del nuovo
statuto regionale.
Da questa evidente difficoltà del centrodestra non è scaturito
un maggiore consenso per il centrosinistra e i DS.
Il centrosinistra in questi due anni, non ha avuto, nella collocazione
di opposizione un pur minimo collegamento unitario, si è disarticolato,
non è stato immune dal trasversalismo deteriore, non ha contrapposto
una propria visione sulle questioni che si sono poste.
Di particolare gravità è stata la condotta fin qui seguita
nell'elaborazione del nuovo statuto della Regione. L'unica, avvertita,
visibile preoccupazione è stata quella dell'abolizione dell'elezione
diretta del Presidente della Regione, dando vita , a questo fine, ad un
indiscriminato schieramento di consiglieri regionali.
Il risultato finora conseguito è stato quello di trascurare una
necessaria, compiuta e radicale riforma dell'Istituto regionale alla luce
del fallimento di trent'anni di regionalismo e delle modifiche costituzionali.
Ci si è immersi, al contrario, in una ricerca confusa e per qualche
aspetto risibile di soluzioni che permettessero di mettere da parte l'elezione
diretta del Presidente della Regione, dando l'impressione di volere perpetuare
un modo tradizionale di governo della Regione basato sulla spartizione
della spesa tra i gruppi localistici di potere, quando, al contrario,
c'è urgenza di assicurare efficienza e trasparente responsabilità,
visione unitaria e rottura di pratiche basate su interessi clientelari
dando, un forte impulso, per questa via ad un necessario rinnovamento
della politica.
Il fallimento dell'azione di governo del Presidente Chiaravalloti è
da iscrivere non ad un eccesso di potere attribuitogli dall'elezione diretta,
ma alla sua debolezza politica ed al suo collocarsi nella sostanza nel
solco della politica tradizionale seguita nel governo della regione.
L'elezione diretta del Presidente della Regione deve essere un punto fermo
del nuovo statuto, all'interno di un progetto di riforma che veda il trasferimento
rapido e pieno della gestione a Comuni e Province, contro la tendenza
e la pratica di un nuovo centralismo regionale, facendo finalmente svolgere
alla Regione i suoi compiti primari di legislazione e di programmazione,
fin qui completamente trascurati, e dando, quindi, al Consiglio regionale
centralità e potere di controllo, anche attraverso nuovi ed appositi
istituti.
Il trasferimento di maggiori o esclusivi poteri alla Regione in molti
e vitali settori dell'organizzazione sociale dei servizi e dell'economie,
pone nuovi e non semplici problemi al governo della regione.
Il tradizionale ancoraggio ad una politica della spesa, senza controllo
e senza limiti, a carico dello Stato, sta per molti aspetti venendo meno,
senza che la Regione abbia impostato progetti e compiuto scelte per governare
al meglio la nuova situazione.
Come si è cominciato a vedere per la sanità, c'è
il concreto pericolo di una grave difficoltà a fronteggiare i problemi
che si pongono e può verificarsi un vero e proprio stato di crisi
in alcuni settori.
Da questa analisi deriva la necessità per la sinistra di una svolta
politica che operi una reale rottura con le vecchie pratiche e sia in
grado di affermare un nuovo agire politico ponendo al centro di esso il
lavoro, innanzitutto quello da creare, il suo valore sociale, la sua funzione
di affermazione delle persone.
Solo così per la sinistra sarà possibile ridare un senso
alla militanza e all'impegno politico, ricostruire il proprio insediamento,
recuperare il ruolo e la funzione dei Partiti e, per questa via rendere
possibile l'incontro con quei soggetti espressione dell'arcipelago di
movimenti che sono attivi nella società civile e nel volontariato.
Questa può essere la strada lungo la quale riprendere un rapporto
proficuo con le nuove generazioni che, al di là di tante mistificazioni,
sono disponibili all'impegno politico solo se esso è portatore
di valori, così come testimoniano i diversi movimenti che in Calabria,
seppure non in maniera adeguata, hanno dato vita a diverse iniziative
sul terreno della lotta alla globalizzazione liberista,per la pace, per
un informazione libera, per la difesa della scuola pubblica ecc.
Con questi movimenti i DS, e più complessivamente tutte le forze
della sinistra e del centro- sinistra, devono riannodare un confronto
stabile ed una proficua relazione, non per affermare improponibili egemonismi
o peggio ancora per fagocitarli, ma nella consapevolezza che lo schieramento
progressista non può divenire maggioritario se non è disponibile
ad una reale contaminazione culturale, e ad un confronto politico non
strumentale, per la definizione di un programma fondamentale di tutte
le forze di progresso della regione.
Solo con una impostazione di questo tipo è possibile definire una
reale alternativa allo schieramento di centrodestra, oggi largamente maggioritario
in Calabria, costruire un blocco politico e sociale di opposizione che
cominci a lavorare ad una credibile alternativa di governo.
Per fare questo è necessario siano espliciti e chiari i punti di
differenza con l'attuale governo di centro-destra e le discontinuità
con le nostre vecchie impostazioni.
Su questa base sarà possibile aprire una forte mobilitazione popolare.
Decisivo a questo fine sarà il modo in cui la sinistra calabrese
starà nella battaglia sociale e politica di quest'autunno. Da esso,
infatti, dipende la possibilità di riaprire il dialogo con una
parte del suo elettorato che nelle ultime tornate elettorali ha ripiegato
nell'astensionismo e trovare nuovi consensi.
La svolta che noi proponiamo deve essere sostenuta da un conflitto in
grado di fare lievitare una idea alta della politica e che abbia due fondamentali
punti di ancoraggio: un robusto riformismo programmatico; una forte e
coerente radicalità nel perseguire gli obiettivi.
Ancora una volta, cioè, alla sinistra calabrese si ripresenta la
questione di declinare, nel nuovo scenario nazionale ed europeo, una idea
dello sviluppo che abbia al suo centro la persona, i suoi diritti, il
bisogno di autoaffermazione, la rottura con vecchie e nuove dipendenze.
Solo così sarà possibile sconfiggere quella cultura individualista,
su cui la destra ha fatto leva, ed affermarne una che coniughi i bisogni
individuali all'azione collettiva, la ricerca di una condizione di soddisfazione
del singolo al benessere collettivo.
La sinistra deve introiettare la sostanziale convinzione del superamento
dell'idea che in Calabria tutto è immodificabile, che non si possono
ridislocare forze, soggetti, gruppi che oggi hanno scelto il disimpegno
o, in mancanza di una alternativa, la stessa destra.
Al contrario è realistico recuperare queste forze se saranno chiari
gli interessi e i valori che si intendono fare vivere e rappresentare,
e se le si chiamerà ad un protagonismo attivo.Ciò sarà
possibile se i DS, e la sinistra nel suo complesso, saranno capaci di
rompere con il passato, se ridanno centralità a chiare opzioni
programmatiche, se sapranno definire i punti di fondo su cui fare ruotare
l'insieme delle scelte che di volta in volta devono essere compiute.
La costruzione di un nuovo centrosinistra è questione particolarmente
urgente ed impegnativa in Calabria. Nuovo deve significare davvero significative
novità rispetto al passato in termini di contenuti, di modo di
fare politica, di partecipazione democratica, di regole certe.
Sono necessari fatti politici chiari per dare il segno tangibile di cambiamento
rispetto alle esperienze passate, in modo da restituire credibilità
e creare fiducia. Non è con qualche formula organizzativa che ciò
si realizza.
Da parte di tutti i partiti del centrosinistra si proclama la volontà
di tornare a vincere a cominciare dalle prossime elezioni provinciali
e regionali. Ma per raggiungere questo obbiettivo è indispensabile
costruire il nuovo centrosinistra nel fuoco di una lotta politica e sociale
da sviluppare ora.
Il compito prioritario del centrosinistra in Calabria è quello
dell'organizzazione e del dispiegamento di una forte, credibile e qualificata
opposizione alla Giunta regionale. Un'opposizione che sia svincolata anche
da particolarismi e da trasversalismi. Una politica che dall'opposizione
si misuri con le questioni sul tappeto, da quelle dai risvolti sociali
più urgenti a quelle del lavoro e dello sviluppo, dell'utilizzazione
dei fondi comunitari,del decentramento dei poteri.
Un'opposizione che si colleghi e faccia crescere i movimenti di lotta
sociale e civile.
Da parte delle forze del centrosinistra c'è stato un atteggiamento
di chiaro distacco dai movimenti, a volte apertamente proclamato se non
polemico. Anche lo stesso sostegno allo sciopero generale di Aprile è
stato privo di iniziative politiche adeguate.
Proprio chi spesso evidenzia una supposta parzialità dei movimenti
e si considera depositario della capacità di avanzare proposte
e di sintesi, non esercita, poi, realmente questo ruolo, limitandosi a
proclamarlo nel chiuso dei partiti.
I movimenti esprimono non una semplicistica protesta, ma sensibilità,
culture, indirizzi precisi riguardo a concreti problemi che la politica
e la società devono affrontare; utilizzano nuove forme e diversi
strumenti nel concreto dell'agire politico; richiedono un rinnovamento
della politica che comporti la messa in discussione dei tradizionali metodi
di raccolta del consenso e che veda i partiti uscire dal guscio in cui
si sono rinchiusi.
Qui è il vero banco di prova per la costruzione del nuovo centrosinistra,
che potrà consentire di affrontare con migliori possibilità
le scadenze dei prossimi anni.
La linea di costruzione del nuovo centrosinistra deve avere un suo pilastro
nell'elaborazione di un programma che racchiuda scelte discriminanti e
qualificate, indichi credibilmente un percorso di sviluppo, di democrazia,
di affermazione dei diritti e della legalità e su cui costruire
l'unità dello schieramento e il consenso dei cittadini, in particolare
di quelli che si sono allontanati non solo dalla politica e dai partiti
ma anche dalla partecipazione al voto.
Deve essere una linea di costruzione dal basso con le forze sociali, i
soggetti organizzati della società civile, nei luoghi di lavoro,
nelle scuole, nelle università, sul territorio, in maniera tale
da allargare le forze impegnate in un progetto di cambiamento.
I gruppi dirigenti devono, innanzitutto, in questa fase, stimolare la
crescita di questa partecipazione larga e plurale e raccoglierne il senso.
L'allargamento del centrosinistra deve avvenire certamente interessando
forze come Rifondazione Comunista e Italia dei Valori.
In Calabria, ed in particolare in alcune realtà, c'è la
necessità di una specifica attenzione verso le forze di tradizionale
estrazione socialista. Non ci convince il modo come fin'ora è stato
affrontato il problema e come si intende continuare a fare.
La via di un assemblaggio di pezzi di ceto politico - adesso qualcuno
vorrebbe includere spezzoni di estrazione socialista collocati nella maggioranza
di centrodestra - si è dimostrata foriera di incongruenze e contraddizioni
ed espone la sinistra al pericolo di una rinuncia alla sua caratterizzazione
innovatrice, con l'inglobamento dei DS in una lotta concorrenziale per
la gestione, non definita dalla linea del cambiamento. Tra l'altro questa
linea ha già dato origine alla riproposizione della contrappozione
tra gruppi del vecchio Partito Socialista, nella quale, anche i DS, rischiano
di rimanere invischiati.
I DS non possono rinunciare a portare nella ricerca unitaria un carico
di sensibilità, di interessi, di cultura, di valori che fanno la
loro ragion d'essere.
La via è quella di una ricerca unitaria che si basa sui contenuti,
sui metodi di governo che non siano quelli tradizionali, che allarghino
la democrazia, assicurino la legalità e il rispetto delle regole,
non favoriscano fenomeni trasformistici che causano ulteriore disaffezione.
Sarebbe un errore gravissimo se il personale politico che dirige i partiti
del centrosinistra, invece, di scegliere questa strada per costruire il
nuovo centrosinistra decidesse, come qualcuno di fatto propone, di impostare
unicamente un confronto di vertice per la scelta,ora, del candidato Presidente
della Regione. Un confronto che non potrà non tradursi in una lunga,
devastante fase di litigio per compiere questa scelta. Sarebbe intollerabile
impantanare le forze del centrosinistra, a quasi tre anni dalle elezioni,
in una disputa di questo genere, tanto più se, come pare, la scelta
della candidatura alla presidenza della Regione dovrebbe far parte di
un pacchetto preconfezionato, comprendente anche le candidature dei presidenti
delle province che voteranno nel 2004.
Il centrosinistra deve, al contrario, darsi regole certe che assicurino
la più ampia e democratica partecipazione alla scelta delle candidature.
Queste devono essere funzionali ai fatti politici nuovi che l'azione di
costruzione del centrosinistra saprà produrre, ai programmi, non
sottoposte ad equlibrismi di vertice, aderenti alle diverse realtà
e dovranno essere decise nei tempi opportuni per la loro efficacia.
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Questi
primi anni del 2000 vedono una Calabria che allarga il suo divario con
il resto dell'Europa e dello stesso Mezzogiorno. Infatti, cresce il numero
dei poveri, aumenta la disoccupazione e il tasso di occupazione non registra
segni particolari di ripresa. Ciò, in controtendenza con il resto
del Paese.In definitiva, si allarga la distanza sul terreno economico,
sociale e civile. Mentre in altre aree del Mezzogiorno si è avuto
un allargamento dell'area produttiva, la Calabria stenta nella sua capacità
di sviluppo, rimane ancorata ad una economia di consumo, per cui produciamo
quasi la metà,percentualmente,del centro-nord, ma consumiamo solo
un quarto in meno.
Senza indulgere in catastrofismi, si può realisticamente affermare
che la Calabria continua a rimanere su un difficile crinale: da una parte
la prospettiva di una consistente inversione di tendenza resa possibile
dalle potenzialità di realtà dinamiche; dall'altra il rafforzarsi
della marginalità e la debolezza del suo fragile apparato produttivo.
La sfida che, dunque, continua a rimanere aperta è quella della
rottura con il sottosviluppo e con la dipendenza assistita che continuano
a caratterizzare i tratti salienti della condizione economica e sociale
regionale.
E' una sfida resa ancora più difficile dalla assoluta inconsistenza
del Governo regionale e dalla perdurante crisi del sistema politico e
della sinistra che fa fatica a misurarsi, in modo innovativo, con i caratteri
della crisi calabrese.
Infatti, la Regione calabrese non ha saputo mettere in campo programmi,
nuovi strumenti di intervento e di gestione della spesa ordinaria e comunitaria
in grado di dare risposte adeguate alla fine del vecchio intervento straordinario.
L'unico tentativo è stato quello dell'elaborazione del POR Calabria(
per gli anni 2000- 2006), completamente vanificato nella sua attuazione
dalla giunta di centro-destra e su cui non si è fatta crescere
una forte mobilitazione.
Siamo la Regione che fa più fatica a dotarsi di strutture, apparati,
legislazione regionale funzionali alla gestione ordinaria delle risorse
e ai nuovi poteri derivati dalla riforma federalista dello Stato. Partire
da questa consapevolezza consente di leggere in modo più adeguato
i caratteri inediti della attuale crisi e progettare la svolta politica
che bisogna affermare.
A questo fine ci pare importante analizzare in modo più adeguato
i processi che hanno caratterizzato la fase successiva alla fine dell'intervento
straordinario, verso il quale non nutriamo rimpianti di alcun genere.
Questa fase, anche in conseguenza della priorità dell'opera di
risanamento dei conti pubblici, non ha visto dispiegarsi, da parte dei
governi, una politica meridionalista. Si sono avuti spezzoni di interventi,
provvedimenti in grado di intervenire su singoli aspetti, ma non si è
avuta una politica complessiva per il mezzogiorno.
La necessità di evitare un aggravamento della crisi economica e
sociale ha reso per molti versi ineludibile il ricorso ad un nuovo sistema
di relazioni sociali, anche alla luce degli indirizzi comunitari tesi
a favorire le pratiche di partneriato nella programmazione e allocazione
degli interventi.
Si è così affermata una dinamica concertativa, indispensabile
per tentare di passare da una logica meramente quantitativa dei trasferimenti
ad una pratica che, al contrario, privilegiasse la qualità degli
interventi e la loro funzionalità.
Tra l'altro, questa dinamica era favorita dalle trasformazioni istituzionali
e dal nuovo sistema di legittimazione della rappresentanza politico-istituzionale
derivata dalla riforma elettorale con il superamento del proporzionale
e dalla elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di provincia.
La concertazione e la programmazione negoziata, per molti versi, sono
stati i tentativi più efficaci di affermare, nel mutato panorama
istituzionale, un nuovo protagonismo dei soggetti sociali in grado di
attenuare quella asimmetria di legittimazione democratica che il sistema
elettorale produceva tra rappresentanza istituzionale, funzione dei corpi
intermedi della società, rappresentanza sociale e politica.
In Calabria, però, per grande parte dei soggetti politici, non
esclusa la sinistra, la concertazione è stata confusa con nuove
pratiche consociative, funzionali esclusivamente ad assicurare un continuismo
nelle dinamiche di trasferimento delle risorse pubbliche e, perciò,
incapace di affermare scelte strategiche che producessero una diversa
idea dello sviluppo e della sua qualità.
Questo eccesso di continuismo ha prodotto una crescita debole, non ha
favorito una significativa espansione del sistema produttivo, non ha sostenuto
l'autonomia dei soggetti della rappresentanza. In definitiva, ha fiaccato
un reale protagonismo democratico, risorsa indispensabile per qualsivoglia
politica di rinascita economica, sociale e civile della regione.
La
Calabria, secondo tutti i dati forniti dagli istituti di ricerca e di
statistica, risulta essere la regione europea con il più alto tasso
di disoccupazione e con quello più basso di occupati. Questo fenomeno
interessa soprattutto i giovani e le donne.
La disoccupazione colpisce le persone meno secolarizzate e professionalizzate
ed è il risultato di due elementi fortemente intrecciati tra di
loro: debolezza dell'apparato produttivo di beni e servizi; mancanza di
politiche attive del lavoro.
In questi ultimi anni sono ripresi i flussi migratori, essi riguardano
soprattutto le persone più professionalizzate, più sicure
di sé.
Per invertire questa tendenza, accanto alla lotta per una nuova politica
meridionalista del governo nazionale, è necessario riorientare
tutte le scelte di politica economica della Regione partendo dal fatto
che la Calabria dispone di una preziosissima risorsa: la grande fetta
di popolazione giovanile.
E' questo "capitale umano", soprattutto in un Paese come l'Italia
con indici demografici negativi, la più grande ricchezza e la vera
molla competitiva del sistema Calabria.
Perciò diviene fondamentale porre al centro di tutte le politiche
regionali l'accrescimento professionale di questo inestimabile capitale
sociale.
Con una battuta, si potrebbe dire che bisogna passare dalla centralità
del cemento e dei ponti alla centralità della persona.
In una società come quella odierna -che viene definita società
dei saperi- la conoscenza è la leva centrale dello sviluppo, della
crescita economica, della possibilità di attrarre investimenti
esterni.
Lo sviluppo, infatti, è sempre di più legato alle condizioni
di libertà, di civiltà, di democrazia e di funzionamento
della Pubblica amministrazione; la competizione tra aree territoriali
dipende dalla consistenza di beni civili e dalla rete delle relazioni
che in esse si realizzano.
Per questo motivo sono strategiche la scuola, l'Università, la
ricerca, i luoghi della produzione culturale..
Perciò bisogna contrastare e mobilitarsi contro le politiche del
centrodestra, orientate ad una vera e propria controriforma della scuola
e dell'università, e ad un ridimensionamento della ricerca e del
ruolo del pubblico in questi settori strategici per il futuro del Paese
(ne è testimonianza la minacciata chiusura di fatto del CNR).
Contemporaneamente. bisogna aprire una vera offensiva a livello regionale
per rilanciare il ruolo della formazione scolastica, professionale ed
universitaria attraverso misure di sostegno e di incentivi che favoriscano
la riqualificazione e l'integrazione del sistema formativo calabrese,
a partire da quello universitario.Accanto a ciò bisogna rivoltare
radicalmente tutto il sistema della formazione professionale regionale
diretta e indiretta chiamando a questa operazione, oltre le università
calabresi, i più prestigiosi istituti nazionali che si occupano
di formazione.
In definitiva, se la risorsa più preziosa della nostra regione
sono le ragazze e i ragazzi, è necessario che verso di loro si
orientino e riqualifichino la spesa e gli investimenti regionali affinché
vengano potenziati tutti gli interventi destinati a quell'accrescimento
professionale sempre più necessario in una società che incorpora
nuove conoscenze e saperi sia nelle vecchie che nelle nuove produzioni.
Da quanto abbiamo detto finora, è del tutto evidente che noi non
riteniamo queste politiche altro rispetto a quelle orientate all'allargamento
della base produttiva e del potenziamento infrastrutturale della regione,
al contrario ne sono presupposto e fondamento.
Quanto sta avvenendo in tutto il sistema economico e finanziario mondiale,
dopo l'ubriacatura degli anni novanta, ci dice quanto fossero fallaci
le teorie sulla fine del lavoro e come non è vero che lo sviluppo
è possibile anche senza un robusto potenziamento dei settori produttivi.
Proprio lo sviluppo tecnologico e l'affermarsi della società della
conoscenza e dell'informazione hanno reso più esplicito che non
c'è crescita duratura, sviluppo ed espansione economica senza un
allargamento della base produttiva e dell'apparato industriale.
La mancanza di politiche regionali -oltre che nazionali- conferma che
al di fuori di forti e selettive politiche di incentivo, in Calabria non
c'è crescita ed il divario con il resto del Paese e dell'Europa
riprende ad allargarsi determinando un vero e proprio gap di civiltà.
Se si leggono in parallelo i dati regionali relativi alla nascita di nuove
imprese e il tasso di disoccupazione (24%), si comprende che non siamo
in presenza di una reale crescita di imprese. Promuovere una fase di crescita
sarà possibile se si farà leva sui punti di forza che pure
esistono nel fragile sistema economico e produttivo calabrese. Questa
è la condizione per selezionare gli interventi, concentrare le
iniziative, specializzare i territori.
Perciò parliamo di politiche selettive, nel senso che esse devono
essere coerenti con l'obiettivo di potenziare le produzioni di eccellenza
e le diverse vocazioni dei territori, rafforzando per questa via gli elementi
di dinamismo che si sono manifestati e gli investimenti orientati all'accrescimento
delle esportazioni di beni e servizi.
Una impostazione di questo tipo è in netta controtendenza con quanti
continuano a proporre, anche a sinistra, la ricetta di una totale deregolamentazione
del mercato del lavoro, dell'abbattimento del suo costo e, dunque, dei
diritti come motore della crescita e dello sviluppo.
Quest'ultima è una vecchia e fallimentare idea che guarda a produzioni
a scarso valore aggiunto e a basso contenuto tecnologico. Chi pensa che
la competitività si gioca sul costo del lavoro e non sull'innovazione
di processo e di prodotto non si rende conto che su questa via si finisce
per competere, senza neanche successo, con i Paesi del terzo e del quarto
mondo.
A questa politica bisogna contrapporre una idea europea della Calabria
che vuole posizionarsi sui segmenti alti della produzione perché
solo così, tra l'altro, può esercitare un ruolo centrale
nel rapporto con i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo.
Una politica di crescita così concepita presuppone una forte connessione
con tutte le scelte destinate ad una valorizzazione delle risorse ambientali
e culturali, mettendo fine alla vecchia e stucchevole disputa che ha visto
contrapposti i fautori di una politica industriale incurante dell'ambiente
e coloro che hanno visto nel turismo l'unica via allo sviluppo della regione.
Questa contrapposizione ha prodotto l'ovvia conseguenza che non c'è
stata né crescita industriale, né un reale e qualificato
sviluppo dell'offerta turistica in grado di intercettare la sempre più
ampia domanda
Per noi l'allargamento della base produttiva ha come presupposti: la formazione;
infrastrutture utili (non il Ponte sullo Stretto); l'insieme dei servizi
civili (acqua, distribuzione energetica, credito, qualificazione e recupero
ambientale). In quest'ottica occorre riprendere i punti e l'ispirazione
che sostanziavano la proposta di utilizzazione dei fondi comunitari.
Accanto ad essi bisogna potenziare i beni civili a partire dalla qualità
della democrazia. Essa continua ad essere molto debole non solo a causa
del cattivo funzionamento delle Istituzioni, a partire dalla Regione,
ma soprattutto per il perdurare di una diffusa illegalità.
Questo dato rischia un pesante aggravamento anche a causa delle politiche
distorsive sulla giustizia messe in atto dal Governo Berlusconi che stanno
già producendo un abbassamento dello spirito pubblico storicamente
già debole in molti settori della società calabrese.
La sinistra ha il dovere di aprire una forte battaglia culturale nella
regione per affermare comportamenti trasparenti, una pratica della legalità
come condizione normale nella vita delle persone.
Perché, ciò non sia solo una aspirazione ed un richiamo
moralistico bisogna mettere in campo politiche che rendano esplicito che
il civismo paga ed è conveniente nella vita delle comunità
e dei singoli.
Affermare una cultura della legalità, però, vuole dire innanzitutto
riprendere la lotta alla criminalità organizzata e alla 'ndrangheta,
facendo di essa uno dei punti strategici su cui mobilitare la società
civile calabrese.
Alla fine degli anni ottanta e fino al 1995 anche in Calabria, come in
Sicilia, si è sviluppata una impegnata azione di contrasto ai poteri
criminali non solo per il preziosissimo lavoro delle forze dell'ordine
e della Magistratura, ma anche per una vasta mobilitazione sociale e per
l'impegno profuso da molte associazioni.
Questa tensione positiva è stata a nostro avviso fondamentale nell'affermazione
delle forze di sinistra in molte aree della regione ed ha consentito l'insediamento
in fondamentali realtà urbane della Calabria di amministrazioni
progressiste.
La mancanza da parte di gran parte delle forze politiche di un coerente
sostegno a queste esperienze non ha consentito un loro consolidamento.Oggi
la situazione appare preoccupante non solo per l'aumento dei crimini,
ma anche per la crescita della presenza della criminalità organizzata
in importanti settori dell'economia, in particolare nei lavori pubblici,
nei servizi e nel commercio, cui corrisponde una minore capacità
di contrasto da parte dello Stato.
La sottovalutazione,la disattenzione,l'abbassamento della guardia hanno
portato ad un rafforzamento della mafia e ad un suo rinnovato rapporto
con pezzi della politica e delle istituzioni.
Bisogna produrre un impegno davvero eccezionale contro tutti gli elementi
di sottovalutazione e di collusione e degli effetti che ciò produce
nell'economia, nelle relazioni sociali, sul grado di libertà delle
persone.
Lo sforzo continuo di minimizzazione del fenomeno, che si ammanta di un
falso garantismo, ha prodotto già notevoli guasti negli orientamenti
di importanti settori sociali e nasconde la volontà di mantenere
atteggiamenti di ambiguità , produttivi di vantaggi di carattere
elettorale.
La linea del governo di attacco alla magistratura viene letta come un
incentivo alla riduzione degli spazi di legalità in tutti i settori
della vita sociale e istituzionale.E' questo un punto di particolare rilevanza,
come i fatti , a cominciare da Lametia T. ma non solo, si stanno drammaticamente
incaricando di dimostrare. Se è vero che negli anni passati la
magistratura ha compiuto, a volte, erronee valutazioni e generalizzazione,
è soprattutto vero che in Calabria non si sono recisi i fili che
hanno tenuto legati la mafia e parti consistenti della politica e che
su questo terreno sono potuti proliferare nuovi collegamenti.
Alla magistratura, oggi, si deve richiedere non un minore, ma un maggiore
impegno ed efficacia nell'azione di contrasto alla criminalità
organizzata. Ad essa bisogna assicurare non minore autonomia,ma minori
condizionamenti e più autonomia. Ciò è condizione
essenziale per un'azione che faccia fronte alla maggiore pervasività
della mafia nell'economia e nella società.
Perciò le forze di progresso non possono abbassare il loro livello
di mobilitazione nella consapevolezza che lo sviluppo e la crescita della
regione passano attraverso la sconfitta della criminalità organizzata
che alterando le stesse dinamiche del mercato bloccano e disincentivano
gli investimenti.
Questo obiettivo sarà più efficacemente perseguito se nella
Pubblica Amministrazione, a partire da quella regionale, si affermerà
la trasparenza nella gestione della cosa pubblica, se si favorirà
la partecipazione popolare alle scelte amministrative e di governo facendo
in modo che ognuno percepisca che è possibile mettere l'Amministrazione
a servizio delle persone e dell'economia sana.
Il nostro obiettivo è affermare una cultura dei diritti e del diritto.La
questione dei diritti è la cartina di tornasole per ridefinire
un profilo riformista nell'azione politica della sinistra ed il discrimine
su cui costruire alleanze e schieramenti.
Si tratta non solo di riaffermare i contenuti delle nostre più
tradizionali battaglie su questo terreno, ma di rendere senso comune che,
sul terreno dei diritti negati, si consuma il divario di civiltà
della Calabria con il resto del Paese.
Oggi più che mai affrontare la questione dei diritti significa
misurarsi con il disagio esistenziale di gran parte delle nuove generazioni
calabresi, affrontare i temi delle vecchie e delle nuove povertà
determinate da una bassa offerta di servizi e di beni relazionali.
Ciò impone grandi processi di trasformazione nelle politiche di
Welfare che se da una parte passano dalla battaglia più generale
per la difesa e l'allargamento dei diritti in essere e di cui bisogna
affermare l'universalità, dall'altra presuppongono, alla luce dei
processi di federalismo realizzati, una nuova capacità di organizzazione
di un Welfare locale coerente alla necessità di dare risposta al
forte disagio sociale, ai vecchi e nuovi bisogni dei calabresi.
Infatti, sempre più diffusamente l'esigibilità dei diritti
passa attraverso sistemi sociali locali in grado di assicurare efficaci
reti di tutela.
Per tutti pensiamo al diritto alla salute, oggi strettamente dipendente
dalla qualità dei servizi sanitari organizzati regionalmente. Proprio
in questi mesi si è resa evidente l'urgenza di interventi orientati
a coniugare qualificazione e risanamento finanziario del settore in modo
da assicurare da una parte standard qualitativi delle prestazione in linea
con quelle nazionali ed europee e dall'altra interrompere la spirale dell'indebitamento.
Sanità, diritto allo studio, qualificazione del sistema formativo,
politiche attive di sostegno al reddito che, superando una logica meramente
assistenziale, ne determino una funzione promozionale sono il terreno
su cui la sinistra -che recupera senso di sé e del proprio agire
politico- deve aprire una offensiva nelle sedi istituzionali e una vasta
mobilitazione popolare.
Senza politiche sociali in armonia con l'obiettivo di rafforzare la crescita
delle persone ed il loro grado di sicurezza, le stesse flessibilità
nel lavoro hanno finito per alimentare una svalorizzazione del lavoro
e un diffuso senso di precarietà esistenziale, soprattutto tra
i giovani.
Per noi un moderno Stato Sociale non è solo spesa, ma anche elemento
di crescita economica e sviluppo della regione, di allargamento della
base occupazionale; può dare nuova linfa all'economia sociale non
solo attraverso l'impegno per la soddisfazione di tanti bisogni oggi insoddisfatti,
ma anche attraverso la valorizzazione dell'ambiente, il recupero urbano,
la produzione artistica e culturale.
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Con questo documento, aperto al contributo delle compagne e dei compagni
e di quanti vorranno proporre, nelle prossime settimane, suggerimenti
ed integrazioni, intendiamo promuovere un dibattito ampio nei DS, nel
centro-sinistra e nella società calabrese con le sue forze migliori.
Un confronto politico non più rinviabile ed al quale l'Associazione
Aprile in Calabria, con questo documento, vuole dare un contributo originale
e partecipato di elaborazione al servizio dei DS e dell'intero centro-sinistra.
Nell'ultimo congresso regionale dei DS il nuovo gruppo dirigente si era
impegnato a convocare, su nostra proposta, entro pochi mesi, un momento
di riflessione e di elaborazione sulla nostra regione, sui suoi cambiamenti,
sul programma da mettere in campo per i prossimi anni. E' passato un anno
e di quell'appuntamento non vi à ancora traccia. In questo modo,
ed in maniera costruttiva, come sempre del resto, intendiamo fare la nostra
parte perché ci stanno a cuore il futuro dei DS, della sinistra,
del centro-sinistra e, innanzitutto, della nostra regione.
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