Lo sguardo del lupo
di Gaetano Tarsitani
Presentazione di Vito Pirruccio

 
           

 

 

 

 

 

 

 

 



 


Lo sguardo del lupo

di Gaetano Tarsitani
Presentazione di Vito Pirruccio


Culti cauloniesi - Copertina del libro
   

Gli inizi di ogni capitolo, che nell’indice vestono il romanzo a mo’ di enciclica rappresentano una sorta di “continuazione di discorso interrotto”. Originale come scelta, perché crea suspence, tenendo col fiato sospeso il lettore.
Quei capitoli formalmente non titolati, ma, di fatto, scansionati, danno segno di come il lavoro è stato realizzato dall’autore. Io immagino, perché non l’ho mai chiesto a Gaetano, che lui abbia collezionato una serie di appunti commentati. In qualche modo, ha spulciato nel suo diario i pezzi più significativi della sua vita, li ha colorati magistralmente con la parola, vi ha dato anima attraverso passioni, sentimenti, recriminazioni, delusioni, vittorie e sconfitte e ha montato le scene principali, senza trascurare i sottofondi e le quinte, che non sono secondari nell’economia complessiva del racconto.
Su questa specie di palcoscenico di una vita ha chiamato ad esibirsi attori e comparse lasciando, in ultima analisi, al lettore, alla sensibilità di chi legge, la scelta di scoprire le parti, il ruolo e il peso che i vari personaggi hanno avuto in questo percorso autobiografico.

L’autore, infatti, anche se mette a nudo il suo vissuto, non opera scelte, non seleziona e non cinge di aureola i suoi protagonisti in base all’importanza che ricoprono nella storia di una vita intensa qual è quella di Ulisse. A prima vista, il lettore corre il rischio di attribuire ad Ulisse la parte del protagonista.
Ulisse non è il protagonista, sono le sue storie, le avventure, il messaggio che ne viene fuori che assurgono ad un ruolo di protagonismo. Anzi, dopo attenta riflessione, direi che nel romanzo esiste un protagonista di facciata che è Ulisse, ma dentro ogni storia c’è un protagonista che assegna, di fatto, ad Ulisse il ruolo di comprimario.

In tutto il romanzo esiste un filo sottile di nostalgia. Il lettore attento non si faccia sviare dalla cronaca del racconto. Tutto quello che viene raccontato è nostalgia di un vissuto. Nostalgia con quello che ne consegue. Nostalgia nel significato etimologico della parola (Nostos = ritorno e Algos = sofferenza). Una nostalgia che procura al suo autore piacevolezza nel ricordo, ma si tratta, pur sempre, di un ritorno di sofferenza.
Ma è una sofferenza che appartiene all’uomo Ulisse e, come tutte le appartenenze, costituiscono il bagaglio dell’esistenza.
Man mano che ci si addentra nella lettura de “Lo sguardo del lupo” il lettore si accorgerà di trovarsi dinanzi ad una di quelle vecchie scatole in cui le nonne riponevano periodicamente alcune rimanenze che all’occorrenza risultavano utili. E così si è mosso Gaetano Tarsitani. Quando ha deciso di scrivere, ha sollevato il coperchio della sua vita e si è trovato in mano tanti piccoli intagli che, con abilità d’artista di lungo corso, ha saputo comporre e ne è venuto fuori un mosaico romanzato dalle linee e dai contorni ben definiti.
Questa scatola è il tesoro dell’autore. Qualcosa di prezioso che Gaetano ha gelosamente custodito per anni e che recupera solo raccontandolo. Credo sia, anche questa, una chiave di lettura del romanzo: la voglia di raccontare.

Mentre rileggevo “Lo sguardo del lupo” ero alle prese con la lettura di un altro bellissimo libro: “L’ignoranza”, di Milan Kundera e pura coincidenza nel racconto dello scrittore boemo c’è un chiaro riferimento al personaggio omerico di Ulisse. Con un’interpretazione magistrale, che tento di accostare al personaggio creato da Tarsitani, lo scrittore boemo analizza le traversie di Ulisse parlando in questi termini: “Per vent’anni Ulisse non aveva pensato che al ritorno. Ma quando fu di nuovo a casa capì con stupore che la sua vita, l’essenza stessa della sua vita, il suo centro, il suo tesoro, si trovava fuori da Itaca, in quei vent’anni di vagabondaggio. E quel tesoro l’aveva perduto e l’avrebbe recuperato solo raccontandolo”.
Penso che altrettanto si possa dire del personaggio de “Lo sguardo del lupo”. La vera grandezza di Ulisse, del personaggio caro a Tarsitani, sta in questo eterno vagabondare. Se il prossimo libro di Gaetano ci dovesse consegnare un personaggio appagato, solo custode di ricordi, verrebbe meno lo stesso fascino che accompagna “Lo sguardo del lupo” e il suo autore.
L’autore ha dimostrato, in queste pagine di essere un profondo conoscitore degli intricati percorsi psicologici dell’essere umano e nel contempo ha evidenziato un’assoluta padronanza delle parole, creando magiche alchimie emozionali.
Ciò che innanzi tutto mi è saltato all’occhio, per così dire, leggendo il libro sono stati la forma e lo stile. Notevole, poi, il ritmo narrativo, che varia in un susseguirsi di velocità diverse e correlate al passo delle azioni descritte. Così, il lavoro coglie il movimento, il flusso della vita, la labilità del piacere, della tristezza, del dolore, e ferma gli istanti per per restituirne le emozioni.

Infine il libro si può proporre con un duplice livello di lettura. Al lettore per così dire più ingenuo esso scorre davanti scenicamente, mostrando l’aspetto e i discorsi dei personaggi in una serie di occasioni prescelte. Il lettore più attento, invece, noterà subito che l’enfasi del libro ricade sui cambiamenti della mente, del carattere del protagonista; nell’animo del quale risiede la parte più espressiva, più illuminante della storia.

Le linee generali del libro sono impressioni dipinte, non azioni, e i fatti esteriori della storia sono il trattamento di superficie, che ha il compito di produrre l’effetto finale.


   
Vito Pirruccio

 


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