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NOTE
BIOBIBLIOGRAFICHE
Domenico Romeo vive a Siderno dove esercita la professione
di Avvocato.
Cultore di Storia Patria e, in particolare, di Storia
calabrese, ha pubblicato: Vita ed Opere dell'Abate e
Filosofo Paolo Romeo da Siderno, Tip. Varamo, Polistena
(RC), 1994; Siderno nell'età feudale, Virgiglio
Editore, Rosarno (RC), 1995; Il Convento Domenicano
di Siderno, Virgiglio Editore, Rosarno (RC), 1996; Siderno
nel Settecento, AGE, Ardore M. (RC), 1997; Michele Bello,
Martire del Risorgimento Italiano, AGE, Ardore M. (RC),
1997; Storia di Siderno (1806-1912) Ardore M. (RC),
1999; L'apprezzo di Siderno del 1707, Corab 2000.
Ha curato la pubblicazione del volume di Domenico Antonio
Grillo Memorie storiche sugli avvenimenti politici avvenuti
nel Distretto di Gerace nel settembre dell'anno 1847,
AGE, Ardore M. (RC), 1999.
Collabora con le riviste Historica, Calabria Sconosciuta
e Rivista Storica Calabrese.
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LA
RIVOLTA DI CASTELVETERE DEL 1750 E LA COSTITUZIONE DI DUE
“ALLEANZE POLITICHE”TRA I CITTADINI
Nel corso del Settecento,
la città di Castelvetere divenne un feudo della famiglia
Carafa del ramo di Bruzzano, subentrata a quella del ramo
di Roccella, che aveva avuto nel principe Carlo Maria Carafa,
l’esponente più illustre (1).
Con Vincenzo Carafa, duca di Bruzzano, iniziò per il
feudo di Castelvetere un periodo poco felice, caratterizzato
da un aumento della pressione fiscale e da un conseguente
decadimento della qualità della vita, già di
per sè non buona.
Ciò provocò una costante diminuzione dei nuclei
familiari (fuochi), che passarono dai 491 del 1669 ai 448
del 1732.
Il 17 febbraio del 1728, Gennaro Maria Carafa subentrò
al padre Vincenzo nel possesso dei feudi calabresi e, pertanto,
anche in quello di Castelvetere, acquisendo il titolo di duca
di Bruzzano, IX marchese di Castelvetere e VI principe di
Roccella (2).
Il nuovo feudatario si distinse per i soprusi e le violenze
commesse nei confronti dei suoi sudditi e con la sua condotta,
non certo di buon amministratore, causò un ulteriore
decadenza delle sue terre feudali e dei centri abitati in
essi presenti.
Nel 1737 Castelvetere era tassata per 459 nuclei familiari,
a cui corrispondeva una popolazione di 2.600 abitanti circa.
La Università era indebitata con il fisco per una somma
di 1.927,80 ducati, di cui 869,99 ducati dovevano essere versati
alla Regia Corte, mentre la somma rimanente finiva nelle tasche
dell’appaltatore della riscossione delle tasse, il cosiddetto
assegnatario dei fiscali (3).
Castelvetere, comunque, era una città abbastanza grande
ed estesa, con una chiesa arcipretale detta Santa Maria Cattolica
e ben sette parrocchie: San Michele Arcangelo, San Teodoro,
San Zaccaria, Santa Maria de Minniti, San Biagio, San Nicola
de Campanaro, San Silvestro e Barbara. Vi erano, altresì,
le chiese di: 1) Santa Maria Gratiarum fuori le mura; 2) Santissima
Concezione; 3) Sant’Ilarione e Leone; 4) Santa Caterina;
5) San Geronimo; 6) San Francesco di Paola; 7) Santa Maria
Mercede; 8) San Lorenzo; 9) San Giuseppe; 10) San Sebastiano;
11) San’Antonio di Padova; 12) San Giovanni Battista;
13) San Felice; 14) San Nicola di Bari; 15) Santa Marina;
16) San Nicola; 17) San Vittorio; 18) Chiesa del Monastero
di Santa Maria di Valverde; 19) San Giovanni; 20) Sant’Antonio
Abate; 21) Santa Maria de Puntellis; 22) San Domenico. Vi
era poi l’eremo di Sant’Ilarione, un ospitale
per alloggiare i pellegrini e i viandanti ed un cimitero,
struttura innovativa per i tempi, visto che i cimiteri vennero
istituiti per legge nel corso del decennio francese (4).
Nell’anno 1741, la popolazione castelveterina era di
2.790 abitanti, così stanziati sul territorio: 444
abitanti nel distretto della parrocchia di San Biagio e Leone;
419 abitanti in quello della parrocchia di San Zaccaria; 502
abitanti in quello della parrocchia di Santa Maria de’
Minniti; 704 abitanti in quello della parrocchia di San Silvestro
e Barbara; 240 abitanti in quello della parrocchia di San
Nicola de Campanaro; 297 abitanti in quello di San Michele
Arcangelo e 184 abitanti in quello della parrocchia di San
Teodoro (5).
Nel corso del 1749 e nei primi giorni del 1750 lo scontro
tra i cittadini di Castelvetere ed il principe Gennaro Maria
Carafa, a causa dei soprusi continui di quest’ultimo,
si fece più aspro.
Da vari atti notarili (6) fatti rogare dai cittadini di Castelvetere,
dal sindaco e dagli eletti della città, veniamo a conoscenza
di molti risvolti della controversia.
Il Carafa, utilizzando i soldati della squadra baronale, minacciava
di continuo i cittadini, soprattutto coloro che non si piegavano
alla sua volontà ed ai suoi capricci.
Egli ordinò ai soldati di danneggiare il mulino utilizzato
dai cittadini poveri, fece distruggere parte dell’acquedotto
cittadino e fece allagare molti terreni soggetti a coltura,
causando così un grave danno ai proprietari ed ai braccianti,
in quanto l’acqua li trasformò in pantano, rendendoli
incoltivabili. Non contento di queste sue malefatte, fece
affiggere un pubblico bando per le vie della città
con il quale vietò a tutti i cittadini di uscire dalle
loro case di sera, di portare scopette e di andare a caccia
nelle montagne intorno alla città, considerate di sua
esclusiva pertinenza, pena l’arresto, violando apertamente
le Regie Prammatiche che invece permettevano ai cittadini
di portar con loro scopette.
Di fronte a questi atti illeciti che danneggiavano enormemente
i cittadini di Castelvetere, che si andavano ad aggiungere
ai quotidiani soprusi, Biagio Asciutti, sindaco dei nobili
della città e gli eletti dei nobili Alessandro Asciutti
e Ilario Hijerace, che costituivano il governo cittadino (reggimento),
con atto pubblico (7) invitarono il Carafa a “dovessino
ritirarvi da tante violenze, e da tante nuove oppressioni,
che pratticate, in pregiudizio di questo commune, e suoi cittadini,
ed astenervi da mantener qui detti uomini facinorosi, per
incuter timore alla povera oppressa gente; poiché per
ogni servizio che vi bisogna potrete servirvi del Mastro Giurato
locale, e suoi compagni; In altro caso se ne protestano contro
di voi di tutte le cose predette, e di tutte le cose lecite
a protestarsi, ed in caso d’ogni disordine, da adesso
per allora vi costituiscono in dolo, lata culpa, e mala fide,
e si riserbano di aver ricorso dalla prefata Maestà
del Re Nostro Signore”.
Il Carafa fu altresì invitato ad intervenire ad un
Pubblico Parlamento cittadino, per fornire spiegazioni del
suo operato, ma nonostante il Parlamento fu convocato per
tre volte, egli non si degno mai di parteciparvi, né
di rispondere all’invito (8).
Quindi, i cittadini di Castelvetere, sia coloro che facevano
parte del ceto dei gentiluomini, sia quelli che facevano parte
delle maestranze, così come gli ecclesiastici, per
tutelare meglio la loro incolumità, quella delle loro
famiglie, gli interessi della collettività e della
Università di Castelvetere dalle continue malefatte
del Carafa, costituirono tra loro una “Alleanza politica”,
decretata da due atti notarili stipulati in data 13 gennaio
e 16 gennaio 1750 dinanzi dal notaio Liberato Albanese (9).
Nei due atti sono contenuti gli “Statuti” costitutivi
delle due Alleanze politiche, che nei nove articoli sono identici
e con lo stesso scopo, sia per l’Alleanza costituita
tra i gentuiluomini e gli ecclesiastici, sia per quella costituita
tra le maestranze (mastri artigiani).
Le due “Alleanze politiche” costituite a Castelvetere
nel 1750 furono un fatto rivoluzionario e innovativo per l’epoca
e possono essere viste senza dubbio come le antesignane dei
partiti politici che si diffonderanno circa un secolo dopo.
L’Alleanza tra i gentiluomini e gli ecclesiastici era
composta da 15 gentiluomini della città e 14 ecclesiastici,
tra cui alcuni parroci. Quella tra le maestranze era composta
da 45 mastri ed altri due cittadini.
Negli articoli della “Statuto” costitutivo delle
Alleanze politiche si sancì che i cittadini “alleati”,
messi da parte vecchi rancori ed inamicizie o quelle che potevano
sorgere, rispettandosi l’un l’altro, dovevano
difendersi a vicenda sia personalmente che per mezzo di ministri
di giustizia da qualsiasi molestia e sopruso. Inoltre, si
impegnarono a difendere i cittadini più deboli, così
come le loro famiglie.
In merito all’Università, gli “alleati”
si impegnarono a tutelare qualsiasi interesse della stessa,
convocando il Parlamento per prendere le decisioni più
consone al perseguimento dello scopo; di eleggere alla guida
degli uffici universali persone capaci e valide e di consegnare
con appalto la riscossione delle imposte (cedole dei fiscali)
a persone del luogo e non a forestieri che speculavano a danno
dei cittadini.
Ognuno di loro si obbligava a pagare una rata prestabilita
per mantenere in Napoli un procuratore che difendesse i loro
interessi e quelli della Università.
Infine, gli “alleati” stabilirono che qualsiasi
controversia nasceva tra di loro, doveva essere ricomposta
dai signori Biase Asciutti, Donato Antonio Sergio, dai Reverendi
abati D. Giuseppe Antonio Calotta e D. Giandomenico Portaro,
che fungevano da giudici conciliatori o arbitri e non si dovesse
ricorrere alla giustizia ordinaria.
Il principe Carafa, venuto a conoscenza delle iniziative prese
dai cittadini di Castelvetere, agì a suo modo, ossia,
continuando le violenze e le minacce.
Inoltre, dopo i Parlamenti cittadini con i quali si era decisa
l’azione giudiziaria nei suoi confronti, fece rintracciare
dai suoi soldati alcuni cittadini che avevano partecipato
agli stessi e con false e infondate accuse li fece arrestare,
per poterli ricattare e fargli rilasciare dichiarazioni a
suo favore.
Ciò accadde al magnifico Candiloro Miano e a Tommaso
Squillacioti, che vennero incarcerati nelle carceri del castello.
Agli stessi, successivamente, venne offerta la libertà
in cambio di una deposizione, naturalmente falsa, a favore
del Carafa, consistente in “un attestato a beneficio
di detto Ill.stre Principe dichiarando di non aver loro inteso,
di dar voto nel Parlamento di doversi litigare con detto Ill.re
Principe, e che il Sindico di questa Città nel giorno
di Lunedì di Carnavale richiese al predetto costituto
Miano d’uscire con lui con le scopette per difendere
i cacciatori” (10).
I due cittadini carcerati, presi dalla paura per le minacce
subite, in un primo tempo acconsentirono, ma successivamente
si recarono dal notaio per attestare come erano andati realmente
i fatti.
Anche mastro Francesco Campise che partecipò ai suddetti
Parlamenti venne prelevato di notte dalla sua abitazione dai
miliziotti della squadra baronale inviati dal Carafa.
L’azione vendicativa del Carafa contro i suoi accusatori
continuò e a farne le spese furono pure alcuni parroci
e sacerdoti.
Il Carafa, venuto a conoscenza che il reverendo Nicola Hijerace,
per conto di alcuni ecclesiastici di Castelvetere stava partendo
per Napoli con lo scopo di recarsi “a’ piedi della
Maestà del Re Nostro Signore, che Iddio guardi, al
quale antecedentemente in unione d’altri ecclesiastici,
aveva avanzati alcuni ricorsi contro l’Ill.re Principe
della Roccella”, tramite l’abate Giuseppe Parlà,
giudice delegato dal vicario capitolare della Città
di Gerace, cercò di bloccarne la partenza.
Ma il sacerdote Hijerace non si fece intimorire, anzi si recò
dal notaio e con atto pubblico (11) accusò apertamente
il Parlà di essersi messo d’accordo con il Carafa
e con il suo erario baronale a Castelvetere, tale Antonio
Saporito, in maniera da creare accuse artificiose ed infondate,
con lo scopo di inquisire gli uomini di chiesa che si erano
schierati con i cittadini ed il Reggimento di Castelvetere
contro il Carafa ed avevano agito con lui, commissionadogli
il viaggio a Napoli.
Gennaro Maria Carafa, per fronteggiare le accuse mossegli,
cercò alleati e difensori anche tra i cittadini di
altre Città, a lui vicini, in modo da creare un movimento
d’opinione a lui favorevole.
Così, alcuni patrizi della Città di Stilo, in
un atto notarile rogato nel mese di marzo del 1750 (12) attestarono
di essere venuti a conoscenza della sollevazione di Castelvetere,
guidata dal sindaco Biagio Asciutti, facendo presente quanto
segue:
(...) Personalmente
costituti il sig. Francesco Antonio Giannotti, il sig. D.
Raimondo Castagna, il sig. D. Bruno Bono, il sig. D.Michele
Grillo, ed il sig. D. Saverio Giannotti Patrizi di questa
Città di Stilo, bene cogniti etc., li quali non per
forza, o dolo, ma spontaneamente, ed in ogni miglior modo
etc., asseriscono, e fan publico manifesto, qualmente sanno
per publica voce, e fama la sollevazione, ammutinamento, ed
armamento che si fece in Castelvetere ad istigazione del d.r
Biagio Asciutti, sindico di detta Città di Castelvetere,
e ciò s’intese e tuttavia s’intende, con
un scandalo universale, al che si tratta di far parte contra
del proprio padrone D. Gennaro Maria Carafa, che molto difendeva
e garantiva tutti i suoi vassalli, correndo parimenti la fama
ch’esso sindico fece una grand’Alleanza procurata,
e fomentata dal medesimo D.r Biagio Asciutti anche per via
d’Istrumenti per di Notar Albanisi; e molto più
sanno essi costituti, che le montagne di detta Città
passarono sempre da tempo immemorabile proprie di detto padrone
e che potea ben riservare la caccia, è stato l’inveterato
costume; e poi con gran scandalo hanno inteso che l’hanno
violate, e tutta via continuano quei abitanti a violarle,
tutto per opera di detto sindico Asciutti, con tutto che il
detto Sig. Principe potea fare l’esazione delle pene
ai trasgressori, esigendo anche la pena a coloro, che incidevano
quercie fruttifere; e si come, e sparsa voce per tutti i paesi
convicini, che tutta la maestranza di quel paese vien fumentata
e regolata da detto Sindico Asciutti, da cui totalmente dipende,
così ogn’uno resta attimorito del mal procedere
del medesimo Sindico, e molto più si accresce il mal
nome del medesimo adesso che si sente denegata dall’istesso,
e suoi allegati l’ubbidienza a Ministri di giustizia.
(...).
Chi si oppose con
tutte le sue forze ai soprusi del principe Gennaro Maria Carafa
fu il sindaco dei nobili Biagio Asciutti, promuovendo la convocazione
dei Pubblici Parlamenti tenutisi il 18 ed il 1 febbraio 1750,
nel corso dei quali si voto a favore dell’azione giudiziaria
contro il Carafa presso il S.R.C. di Napoli.
Sempre il sindaco Asciutti si oppose palesemente al divieto
imposto ai cittadini castelveterini dal Carafa, di non uscire
di sera da casa e di non portare scopette, convocando i cittadini
per discutere delle determinazioni da prendere per fronteggiare
l’azione carafesca.
L’Asciutti, in data 24 marzo 1750 (13), attestò
dinanzi al notaio che il governatore di giustizia della città,
Domenico Leocani, non aveva agito correttamente, lasciando
mano libera al Carafa ed ai suoi miliziotti.
La dichiarazione dell’Asciutti fu un vero atto di accusa
nei confronti del governatore, responsabile di non aver bloccato
il Carafa per le imposizioni contra legem emanate nei confronti
dei cittadini e per aver impedito allo stesso sindaco di esercitare
le sue funzioni, rivolgendo contro e “intento a trapazzare
i vassalli e defatigare detto Mag.co Sindico ed impedirlo
di non poter proseguire la sua incumbenza”. Fece, altresì,
presente come il Leocani tentò di inquisirlo per essersi
recato in alcuni conventi della città con i cittadini
“per alcune diligenze” (14).
Nella stessa dichiarazione rese noto come in qualità
di Sindaco e in base agli Ordini Reali inviati dal Preside
Provinciale era tenuto ad inviare un determinato numero di
persone - in ragione dei nuclei familiari della Città
- per formare la milizia provinciale. Castelvetere era tenuta
ad inviare nove individui.
A tal fine, l’Asciutti contattò alcuni cittadini
ed i miliziotti della squadra baronale, i quali pur di non
rispondere alla chiamata del sindaco per un eventuale invio
nella milizia provinciale, si dettero alla fuga.
Per tali motivi, l’Asciutti ordinò la cattura
dei miliziotti e dei cittadini fuggiti, partecipando personalmente
alle ricerche con l’aiuto di altre persone e congiunti.
Successivamente, per portare avanti la causa contro il principe
Carafa a Napoli e per affrontare le spese giudiziarie, il
sindaco Asciutti, gli eletti Donato Antonio Sergio e Ilario
Musco, nonché Agostino Zarzaca e Alessandro Asciutti,
presero “in prestito” a censo bollare (15) dalla
venerabile Cappella del Santissimo Sacramento 20 ducati e
50 ducati dal Sacro Monte (16).
NOTE
1
- Su Carlo Maria Carafa, cfr.: Racco Filippo, Una codificazione
feudale del Seicento calabrese - Gli Ordini, Pandette e Costituzioni
del principe Carlo Maria Carafa, Virgiglio Editore, Rosarno
1996.
2 - Pellicano Castagna Mario, Storia dei feudi e dei titoli
nobiliari della Calabria, volume II, Editrice CBC, p. 44.
3 - Zilli Ilaria, Imposta diretta e debito pubblico nel Regno
di Napoli, 1669-1737, ESI Napoli 1990, p. 158.
4 - Cfr.: Valente Gustavo, Le leggi francesi per la Calabria,
Frama Sud, Chiaravalle Centrale, 1983.
5 - Sezione Archivio di Stato di Locri (da ora S.A.S.L.),
fondo Gerace, volume 12.
6 - S.A.S.L., fondo notarile, notaio Liberato Albanese di
Castelvetere, busta 209, volume 2313.
7 - - S.A.S.L., fondo notarile, notaio Liberato Albanese di
Castelvetere, busta 209, volume 2313, atto del 16.1.1750,
folii 24v-26r.
8 - Ibidem.
9 - Si veda in appendice il documento I e il documento II.
10 - S.A.S.L., fondo notarile, notaio Liberato Albanese di
Castelvetere, busta 209, volume 2313, atto del 9.3.1750, folio
31v.
11 - S.A.S.L., fondo notarile, notaio Liberato Albanese di
Castelvetere, busta 209, volume 2313, atto del 10.3.1750,
folii 34r-35r.
12 - S.A.S.L., fondo notarile, notaio Giorgio taverniti, biusta
128, atto del 24.02.1750, folii 4v-5v.
13 - S.A.S.L., fondo notarile, notaio Liberato Albanese di
Castelvetere, busta 209, volume 2313, atto del 24.3.1750,
folii 41r-43r. Si veda in appendice il documento III.
14 - Ibidem.
15 - Con il contratto a censo bollare veniva data in prestito
un somma di denaro dietro garanzia, che veniva restituita
dal richiedente con gli interessi. A differenze del censo
perpetuo non si trasferiva agli eredi.
16 - S.A.S.L., fondo notarile, notaio Liberato Albanese di
Castelvetere, busta 209, volume 2313, atto del 26.04.1750,
folii 56r-57r.
APPENDICE
Documento
I
Die
decima tertia mensis Ianuarij decima tertia inditionis millesimo
septigentesimo quinquagesimo in Civitate Castriveterij Regnate
etc. ora quasi una noctis tribus luminibus accensis pro observandis
solemnitatibus a jure requisitis etc. Personalmente costituti
in presenza nostra, Giudice a contratto, e letterati personij
a questo atto specialmente rogati, e requisiti Il Barone D.r
Sig.r D. Biase Asciutti, Il D.r Sig. D. Donato Antonio Sergio,
Il D.r Sig. D. Ilario Musco, Il D.r Sig. D. Ilario Hijerace
di Domenico, Il D.r Fisico D. Ilario Arena, Il D.r Sig. D.
Biase Hijerace, Il Sig. D. Prospero Asciutti, Il Sig. D. Pietro
Asciutti, Il Sig. D. Alessandro Asciutti, Il Sig. D. Ilario
Oppedisano, Il Sig. D. Domenico Hijerace di Francesco, Il
Sig. D. Domenico Hijerace di Gaetano, Il Sig. D. Agostino
Zarzaca, Il Sig. D. Vincenzo Sergio, D. Antonio Presterà,
Reverendo Sig.r D. Gaetano Arciprete Abate Hijerace, Reverendo
Sig.r D. Giuseppe Antonio Parroco Calotta, Reverendo Sig.r
D. Giandomenico Parroco Portaro, Reverendo Sig.r D. Nicola
parroco d’Agostino, Reverendo Sig.r D. Nicola Parroco
Rossi, Reverendo D.r Fisico Sig.r D. Nicola Abate Hijerace,
Reverendo Sig.r D. Giacinto Romano, Reverendo Sig.r D. Giuseppe
Cimino, Reverendo Sig.r D. Ottavio di Blasi, Reverendo Sig.r
D. Francesco lavorata, Reverendo Sig.r D. Domenico de Luca,
Reverendo Sig.r D. Nicola Antonio Lucano, Reverendo Sig.r
D. Giuseppe Muscari, e Reverendo Sig.r D. Domenico Muscari
tutti di questa Città di Castelvetere bene cogniti
etc. li quali aggiscono et intervegono alle cose infrascritte
per loro stessi eredi, e successori etc. assensiendono le
suddette persone ecclesiastiche primieramente in Noi etc.
Asseriscono essi predetti signori spontaneamente nella presenza
nostra, qualmente l’esperienza delle cose ave loro dimostrato,
che la discussione sino adesso regnata fra tutti essi loro,
quella è stata cagione di molti mali; poiché
oltre de’ particolari disturbi tra l’una e l’altra
casa, ha parimenti partorita l’alienazione di loro stessi
degl’interessi della povera Università, che trovasi
per tal caggione ridotta in stato assai lacrimevole, anco
per tanti abbusi, e pregiudizij da tempo in tempo introdotti,
i quali vanno a ferire, tanto il ben publico, che il privato;
onde volendono evitare altri maggiori funeste conseguenze
rivolsero di commun consentimento, come interessati di loro
stessi, e della loro patria, di stabilire fra essi loro una
stretta, e rigorosa Alleanza, quale si obbligano inviolabilmente
osservare nell’infrascritto modo videlicet:
Primieramente mediante il di lor formal giuramento, et respectivamente
tacto pectore etc. promettono deponere, e detestare a piedi
del Santissimo Crocefisso ogni odio, e rancore per il passato
per qualunque causa fra loro contratta, e si obligano amarsi,
e servirsi un col altro, con vero amore di Cristiano a tenore
della Divina legge.
Per 2°- Col stesso giuramento, come sopra, s’obligano,
e promettono di difendersi un coll’altro fino ai loro
più stretti congiunti, e familiari di casa con ogni
rimedio di legge, e di fatto in ogni caso di qualunque persecuzione,
o molestia reale, e personale, che direttamente, o indirettamente
possa inserirsi a ciascheduno di loro, loro stretto congiunti,
e famigliari di casa, tanto per mezzo di ministri di giustizia,
che di qualunque altra persona di ogni ceto, e conditione,
con assumersi ciascun di loro il peso di soggiacere ad ogni
trapazzo, ed a qualunque dispendio, che bisognerà impiegarsi,
tanto per esimer colui che resterà soverchiato fra
i sudetti alleati, ed offeso dalla moletia inferenda, quanto
per vendicar l’offesa avanti a legittimi superiori,
e pagare partitamente ogni un d’essi la rata delle spese
che bisognerà erogarsi per l’effetto sudetto.
Per 3°: avendono mira alla poca gente che n’è
nella patria, che non è bastante alla coltura del territorio,
ed alle gravezze a cui soggiaciono i poveri cittadini, i quali
si ritrovano in circostanza di andare altrove a formare i
loro domicili, perciò col’istesso giuramento
s’obligano, e promettono di difendere, ed aiutare la
minuta gente con ogni mezzo necessario affine di esimerla
da quelle molestie, che la rendono angustiata.
Per 4°: col stesso giuramento, s’obligano, e promettono,
che se mai ad alcun di loro, suoi congiunti, e familiari di
casa inopinatamente fusse inferita qualche violenza reale,
o personale, che non possa istantaneamente ripararsi, con
ricorsi da legittimi superiori. In tal caso ad ogni semplice
avviso della persona soverchiata, siano tenuti subitamente
occorrere ad aiutarla in ogni luogo, ed in ogni tempo, in
quella maniera che giustamente possono, e devono, senza offesa
di Dio, né della giustizia.
Per 5°: col stesso giuramento promettono e s’obligano
di promovere ogni vantaggio di questa povera Università,
tanto nelle cose, che concernino l’aumento delle sue
rendite, quanto in quelle ove trattasi a vedersi quanti siano
i giusti pesi, che si devono dalla medesima sodisfarsi, e
per tal’effetto prendere ogni mezzo necessario per sollievo
di detta Università, e promovendosi un tal vantaggio
da uno, o più degl’alleati sudetti, siano tutti
gl’altri tenuti, sin come s’obligano di approvare
i passi che si daranno per tal effetto, anco se bisognasse
di ricorrere dal Regimento per convocare un Parlamento, affine
d’obligare questo commune a promovere detti interessi
a proprie spese.
Per 6°: coll’istesso giuramento s’obligano,
e promettono d’impiegare tutta la loro opera, affinché
l’uffizj universali cascassero in persona de’
cittadini più probi, e più zelanti della patria,
con farli andare in giro, affinché ogni uno, come sente
l’incommodo de’ pesi universali, così participasse
de’ giusti emolumenti che possono aversi.
Per 7°: coll’istesso giuramento promettono, e s’obligano
d’usare ogni maneggio, affinché le cedole universali,
non cascassero in mano di persone forestieri, e prepotenti,
da quali si praticherebbero asprezze a’ poveri cittadini,
e contro di cui sarebbe difficile di chiamarli a’ conti,
ma quelle annualmente incantare, o fare incantare, o per loro
conto proprio, o per altri cittadini, con soggiacere alla
rata del denaro che bisognasse, e con dividersi l’emolumento
fra essi loro, che mai potesse pervenire da detto appalto.
Per 8°: coll’istesso giuramento promettono, e s’obligano,
che bisognando l’accesso in Napoli di alcuna persona
di questa città, che meglio piaccia alli suddetti alleati
per causa gravezza o persecuzione reale o personale di ciaschedun
di loro, congiunti, e famigliari e di casa, o in ogni altra
parte dove bisognasse, in tal caso siano tenuti, ed obligati,
sin come si obligano ogni uno di loro alla rata delle spese
che occurreranno, ma bisognando l’accesso suddetto per
causa degl’interessi universali, debbano le spese correre
a danno della Università.
E finalmente promettono, e s’obligano coll’istesso
giuramento che se mai accadesse tra i sudetti alleati, loro
congiunti e famigliari di casa qualche civil differenza, o
passata, o che dovrà succedere, in tal caso per non
dismettersi detta loro armonia, e per coltivare la presente
pace, che tanto desiderano, debba la sudetta differenza compromettersi,
si come da mo’ per allora la compromettono in persona
delli D.ri Sig.ri D. Biase Asciutti, e D. Donato Antonio Sergio,
e delli Parochi Sig.ri D. Giuseppe Antonio Abate Calotta,
e D. Giandomenico Abate Portaro, alli quali concedono bastante
facultà di poterla determinare senza figura di giudizio,
ed accadendo la differenza fra l’uno, o più de’
sudetti arbitri, o altri de’ sudetti alleati, intendono
comprometterla, sincome la compromettono in persona de’
sudetti due Parochi, o dellaltri due, con cui non vi sia il
contrasto, alli quali concedono la stessa facultà,
e di potersi servire del parere di quel Dott.re da essi eligendo.
Per la sudetta Alleanza e capitulazione, come sopra convenuta,
promettono, e s’obligano esattamente osservarla ed eseguirla
in ogni futuro tempo. E mancandono d’adempire tutto,
o parte della suddetta loro convenzione vogliono, ed intendono,
che il presente istrumento si possa incusare, rescindere e
liquidare contro delle persone sudette che mancheranno, in
ogni Corte, loco, foro, e Tribunale avanti a legittimi superiori
respectivamente etc, e che respectivamente abbia l’esecuzione
contro ciascun di loro reale, et personale, etiam via ritus
M.ae C.ae Vicariae, et more pensionum domorum civitatis Neapolis,
et ad formam, R. Camere Apostolice etc.
E per osservanza delle cose predette etc. le parti predette
sponte nella presenza nostra si sono obligati, come anche
hanno obligato li loro eredi, e successori, e beni loro tutti
presenti, et futuri l’une alle altre, l’altre
alle une presenti, etc. sub pena, et ad penam dupli etc. medietate
etc. cum potestate capiendi etc. costitutione precarij etc.
renunciaverunt etc. iuraverunt in pettore more etc. et tactis
scripturis etc. Unde etc.
Praesentibus Iudice Hjilarione Femia Regio ad contractus,
Argentino Spanò, Josepho Portaro, Paolo Spanò,
et me Notario Liberato Albanese Rogante.
Documento II
Die
decima sexta mensis Ianuarij decima tertia inditionis millesimo
septigentesimo quinquagesimo in Civitate Castriveterij Regnate
etc. ora quasi secunda noctis tribus luminibus accensis pro
observandis solemnitatibus a jure requisitis etc. Personalmente
costituti in presenza nostra, Giudice a contratto, e letterati
personij a questo atto specialmente rogati, requisiti mastro
Antonio Romano di Giandomenico, mastro Domenico Nesci di Giuseppe,
mastro Vincenzo Garuccio, mastro Paolo Condò, mastro
Gio.Battista d’Agostino, mastro Saverio Lucano, mastro
Nicola Cursaro, mastro Giorgio Celi, mastro Nicola Ferrara,
mastro Nicola Nicoletta, mastro Nicola Lamberto, mastro Pietro
Ienari di Paolo, mastro Nunziato Taranto, mastro Marco Rigillo,
mastro Carlo Leotta, mastro Bruno Muscari, mastro Giuseppantonio
Fiorenza, mastro Nicola Stiglianò, mastro Cosimano
Placanica, mastro Carmine Melia, mastro Felice Fraija, mastro
Francesco Filocamo, mastro Giacinto Napolitano, mastro Giuseppe
di Leo, mastro Stefano Ieracitano, mastro Giuseppe Vumbaca,
mastro Michele Lagamba, mastro Domenico Nesci di Pietro, mastro
Antonio Nesci, mastro Ilario Armocida, mastro Giuseppantonio
Catanzarise, mastro Fortunato Riggio, mastro Giandomenico
Pazzaniti, mastro Antonio Romano di Nicola, mastro Tommaso
Vasile, mastro Giuseppe Portaro, mastro Giacinto Caristo,
mastro Giuseppe Ferrara, mastro Paolo Ursino, mastro Giuseppantonio
Scuteri, mastro Nicola Circosta, mastro Paolo Alvino, mastro
Fortunato Maurello, mastro Gio. Battista Leotta, mastro Domenico
Lamberto, Giuseppeantonio Cilea et Ilario Pachì tutti
qui presenti bene cogniti etc. li quali aggiscono et intervengono
alle cose infrascritte per loro stessi eredi e successori.
Asseriscono essi sopradetti nelli nomi di sopra spontaneamente
nella presenza nostra, qualmente l’esperienza delle
cose ave loro dimostrato, che la discussione fino adesso regnata
fra tutti essi loro, quella è stata cagione di molti
mali; poiché oltre de’ particolari disturbi tra
l’una e l’altra casa, ha parimente partorita l’alienazione
di lro stessi degl’interessi della povera Università,
che trovasi per tal cagione ridotta in stato assai lacrimevole,
anco per tanti abusi e pregiudizi di tempo in tempo introdotti,
i quali vanno a ferire, tanto il ben pubblico, che il privato;
onde volendono evitare altri maggiori funeste conseguenze,
risolsero di commun consentimento come interessati di loro
stessi, e della loro patria, di stabilire fra essi loro una
stretta, e rigorosa Alleanza, quale si obbligano inviolabilmente
osservare nell’infrascritto modo videlicet:
Primieramente mediante il di lor formal giuramento, et respectivamente
tacto pectore etc. promettono deponere, e detestare a piedi
del Santissimo Crocefisso ogni odio, e rancore per il passato
per qualunque causa fra loro contratta, e si obligano amarsi,
e servirsi un col altro, con vero amore di Cristiano a tenore
della Divina legge.
Per secondo, col stesso giuramento, come sopra, s’obligano,
e promettono di difendersi un coll’altro fino ai loro
più stretti congiunti, e familiari di casa con ogni
rimedio di legge, e di fatto in ogni caso di qualunque persecuzione,
o molestia reale, e personale, che direttamente, o indirettamente
possa inserirsi a ciascheduno di loro, e loro stretti congiunti,
tanto per mezzo di ministri di giustizia, che di qualunque
altra persona di ogni ceto, e conditione, con assumersi ciascun
di loro il peso di soggiacere ad ogni trapazzo, ed a qualunque
dispendio, che bisognerà impiegarsi, tanto per esimer
colui che resterà soverchiato fra i sudetti alleati,
ed offeso dalla molestia inferenda, quanto per vendicar l’offesa
avanti a legittimi superiori, e pagare partitamente ogni un
d’essi la rata delle spese che bisognerà erogarsi
per l’effetto sudetto.
Per terzo, avendono mira alla poca gente che n’è
nella patria, che non è bastante alla coltura del territorio,
ed alle gravezze a cui soggiaciono i poveri cittadini, i quali
si ritrovano in circostanza d’andare altrove a formare
i loro domicilj. Perciò col’istesso giuramento
s’obligano, e promettono di difendere, ed aiutare la
minuta gente con ogni mezzo necessario affine di esimerla
da quelle molestie, che la rendono angustiata.
Per quarto, col stesso giuramento, s’obligano, e promettono,
che se mai ad alcun di loro, e lor congiunti inopinatamente
fusse inferita qualche violenza reale, o personale, che non
possa istantaneamente ripararsi, con ricorsi da legittimi
superiori, in tal caso ad ogni semplice avviso della persona
soverchiata, siano tenuti subitamente occorrere ad aiutarla
in ogni luogo, ed in ogni tempo, in quella maniera che giustamente
possono, e devono, senza offesa di Dio, né della giustizia.
Per quinto, col stesso giuramento promettono e s’obligano
di promovere ogni vantaggio di questa povera Università,
tanto nelle cose, che concernino l’aumento delle sue
rendite, quanto in quelle ove trattasi a vedersi quanti siano
i giusti pesi, che si devono dalla medesima sodisfarsi, e
per tal’effetto prendere ogni mezzo necessario per sollievo
di detta Università, e promovendosi un tal vantaggio
da uno, o più degl’alleati sudetti, siano tutti
gl’altri tenuti, sincome s’obligano di approvare
i passi che si daranno per tal effetto, anco se bisognasse
di ricorrere dal Regimento per convocare un Parlamento, affine
d’obligare questo commune a promovere detti interessi
a proprie spese.
Per sesto, col stesso giuramento s’obligano, e promettono
d’impiegare tutta la loro opera, affinché l’uffizj
universali cascassero in persona de’ cittadini più
probi, e più zelanti della Patria, con farli andare
in giro, affinché ogni uno, come sente l’incommodo
de’ pesi universali, così participasse de’
giusti emolumenti che possono aversi.
Per settimo, col stesso giuramento promettono, e s’obligano
d’usare ogni maneggio, affinché le cedole universali,
non cascassero in mano di persone forestieri, e prepotenti,
da quali si praticherebbero asprezze a’ poveri cittadini,
e contro di cui sarebbe difficile di chiamarli a’ conti,
ma quelle annualmente incantare, o fare incantare, o per loro
conto proprio, o per altri cittadini, con soggiacere alla
rata del denaro che bisognasse, e con dividersi l’emolumento
fra essi loro, che mai potesse pervenire da detto appalto.
Per ottavo, col stesso giuramento promettono, e s’obligano,
che bisognando l’accesso in Napoli di alcuna persona
di questa città, che meglio piaccia alli suddetti alleati
per causa di qualunque gravezza o persecuzione reale o personale
di ciaschedun di loro, o lor congiunti , o in ogni altra parte
dove bisognasse, in tal caso siano tenuti, ed obligati, sin
come si obligano ogni uno di loro alla rata delle spese che
occurreranno, ma bisognando l’accesso suddetto per causa
degl’interessi universali, debbano le spese correre
a danno della Università.
E finalmente promettono, e s’obligano coll’istesso
giuramento che se mai accadesse tra i sudetti alleati, e loro
congiunti qualche civil differenza, o passata, o che dovrà
succedere, in tal caso per non dismettersi detta loro armonia,
e per coltivare la presente pace, che tanto desiderano, debba
la sudetta differenza compromettersi, si come da mo’
per allora la compromettono in persona delli D.ri Sig.ri D.
Biase Asciutti, e D. Donato Antonio Sergio, ai quali concedono
bastante facultà di poterla determinare senza figura
di giudizio.
Per la sudetta Alleanza e capitulazione, come sopra convenuta,
promettono, e s’obligano esattamente osservarla ed eseguirla
in ogni futuro tempo. E mancandono d’adempire tutto,
o parte della suddetta loro convenzione vogliono, ed intendono,
che il presente istrumento si possa incusare, rescindere e
liquidare contro delle persone sudette che mancheranno, in
ogni Corte, loco, foro, e Tribunale avanti a legittimi superiori
respectivamente etc, e che respectivamente abbia l’esecuzione
contro ciascun di loro reale, et personale, etiam via ritus
M.ae C.ae Vicariae, et more pensionum domorum civitatis Neapolis,
etc.
E per osservanza delle cose predette etc. le parti predette
sponte nella presenza nostra si sono obligati, come anche
hanno obligato li loro eredi, e successori, e beni loro tutti
presenti, et futuri l’une alle altre, l’altre
alle une presenti, etc. sub pena, et ad penam dupli etc. medietate
etc. cum potestate capiendi etc. costitutione precarij etc.
renunciaverunt etc. iuraverunt in pettore more etc. et tactis
scripturis etc. Unde etc.
Praesentibus Iudice Hjilarione Femia Regio ad contractus,
U.I.D.re D.no D. Blasio Asciutti, D.no Domenico Hijerace de
Gaetano, U.I.D.re D. Blasio Hijerace, D.no D. Hijlarione Oppedisano,
et me notario Liberato Albanese Rogante.
Documento
III
Die
vigesima quarta mensis martij decimae tertiae inditioniss
millesimo septigentesimo quinquagesimo In civitate Castriveteris
Regnante etc. A preghiere fatteci dal Magnifico Dottor Biase
Asciutti Sindaco dei Nobili di questa Città di Castelvetere,
Noi sottoscritti notaro, Regio Giudice a contratto, e letterati
presenti a questo atto specialmente rogati, e requisiti, ci
abbiamo personalmente conferiti di Voi Magnifico D.r D. Domenico
Leocani attual Governatore di detta Città, in questa
casa di nostra residenza, sita, e posta nel distretto della
Parrochia di S. Teodoro, ove con animo protestativo, vi facemo
sentire per parte del medesimo, come a tenore degli Ordini
Relai distribuiti dell’Ill.mo Signor Preside Provinciale,
sono stati caricati tutti i sindici della Provincia ad eleggere,
e formare i Miliziotti per lo Regimento provinciale ogniun
per ragione de’ fuochi della sua Università,
ed essendosi ratizzati a questo commune il numero di nove
individui da eligersi, e formarsi a tenore delli Reali Istruzioni,
si assunse perciò esso predetto magnifico Sindico,
il suo peso di formarli; Per il qual’effetto, e per
agevolare maggiormente l’esecuzione di detto Real servizio,
dopo che ha conosciuta la poca attenzione, che si è
praticata da’ soldati della squadra baronale, e da altri
paesani, dai quali più tosto si dava luogo alla fuga
de’ sudetti individui, come accadde in persona di alcuni,
che da loro sono stati liberati in campagna, dove l’avevano
catturati, pensò egli di non più confidare ai
medesimi; ma assistere lui medesimo di persona nella cattura
di detti miliziotti e di farsi assistere per maggior servizio
del Re N. Signore che Iddio guardi, da propri di lui congiunti,
anco per sottrarsi alle comminate pene, come in effetto la
maggior parte sono stati incappati colla presenza, ed intervento
de’ suddetti suoi congiunti, e di altri suoi affezionati
sincome è notorio ad ogniuno, e sincome ha pratticato
la maggior parte de’ sindici degl’altri luoghi,
che dovettero ancora loro medesimi impugnare il focile per
la cattura sudetta. Dopo di che avendo Voi magnifico Governatore
in odio de’ cittadini di questa Città, ed a vendetta
fatta proibire l’asportazione della scopetta, e dell’incesso
notturno, con rigorose pene, anco per impedire detto magnifico
sindico a disimpegnare detto Real servizio, a motivo de’
noti ricorsi, che si sono avanzati alla Maestà del
Re Nostro Signore, che Iddio guardi, per le gravezze, ed oppressioni
che qui si soffrono, con altre infinite proteste, vi fece
sentire che le suddette proibizioni, così vaghe e generali,
si rendevano in pregiudizio a detto Real servizio, quale non
potevasi disimpegnare senza l’asportazione delle scopette,
e senza caminarsi la notte, e vi fece particolare istanza,
almeno per la sospenzione o modificazione de’ banni
sudetti; Ma Voi solamente intento a trapazzare i vassalli,
ed a defatigare detto magnifico sindico, ed impedirlo di non
poter proseguire la sua incumbenza, vi avete fatto sordo alle
sue dimande, anzi richiesto ad intervenire in alcune diligenze,
che far dovevansi per lo stesso affare, l’avete risposto
che non potete far lo sbirro, ed invece di aiutarlo nelle
sudette diligenze e da lui poi praticate nelli Conventi della
Città, avete cercato di farlo inquisito, con tutti
coloro che intervennero per servizio di Sua Maestà,
con vari procurati e mendicati pretesti; tanto che per nostra
colpa non ha potuto egli finora disimpegnare intieramente
detta sua incumbenza, benché con altre proteste vi
avesse priegato, e fatto priegare di permetterli a questo
atto solamente l’asportazione della scopetta, e l’incesso
notturno, una colle persone da lui deputate per tal’effetto,
non avete però voluto giammai di accordaglielo, scusandovi
artificiosamente che eravate pronto a darli l’aiuto
della squadra, e degli altri giurati della Corte, quando che
sapevate che detto magnifico sindico, fin da più tempo
non ha potuto confidare ai medesimi, e molto meno può
confidare adesso per la nemicizia già contratta col
Ill.re Principe della Roccella util signore di questo feudo;
Anzi per farvi conoscere di non aver egli d’impegno,
che di eseguire il Real servizio, vi ha fatte già presenti
le persone che dovevano e potevano catturarsi, quali sono
Ilario Napolitano, Domenico Spanò Calandrella, Antonio
Ienari ed Antonio Lucano del Baggiano, ed altri, quali sarebbero
di misura, affinché non volendo lasciarlo nella sua
libertà di farlo seguire dalla gente da lui deputata,
l’avessino Voi fatti catturare, sempre che stimassino,
che la squadra baronale, e giurati potessero disimpegnare
detto Real servizio. Laonde non volens aliud agere, e non
potendo egli contrastare colla nostra potenza, nuovamente
se ne protesta contro di Voi, e contro di ogni altro, da cui
potesse aver causa detto impedimento, tanto di detto attrassato
Real servizio, quanto di tutti danni, spese, ed interessi,
che per nostra colpa accaderanno, tanto ad esso magnifico
Sindico, che alla sua Università, costituendovi sempre
in dolo, lata culpa, e mala fide, e si riserba di aver ricorso
da detto Ill.mo Preside, e da Sua Maestà, che Iddio
guardi.
De quibus omnibus sic per actis praefactus U.I.D.r D. Blasius
Asciutti Sindicus nobilium huius Civitatis Nos requisivit
etc. quod de praedictis omnibus Publicum conficere deberemus
actum etc. Nos autem. Unde etc.
Praesentibus Iudice Petro Dominico Maurello Regio ad contractus,
Thoma Prinzi, Brunone Muscari, Antonio Maltise et me Notario
Liberato Albanese Rogante.
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